CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 marzo 2018, n. 6276
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Donazione di terreni agricoli a seguito di successione ereditaria
Ritenuto che
L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della C.T.R. dell’Emilia Romagna, n. 69/16/09 dep. il 1 luglio 2009, che su impugnazione di avvisi di accertamento per Irpef anni 2000 e 2001, notificati a R.M. ex art. 37 comma 3, dpr 600/73, ha rigettato l’appello dell’Ufficio.
Il contribuente aveva donato in data 21 aprile 2000 quote di terreni agricoli, ricevuti per successione ereditaria, ai figli P. e S.M., i quali, in pari data, avevano trasferito detti immobili alla società ACMAR. L’Agenzia delle entrate, ritenendo sussistere simulazione dell’atto di donazione e interposizione fittizia di persona, unicamente allo scopo di ottenere un indebito risparmio d’imposta, notificava gli avvisi di accertamento, che su ricorso del M., la C.T.P. di Ravenna accoglieva, con decisione confermata dalla C.T.R..
La C.T.R. ha in particolare analizzato gli elementi indiziari offerti dall’Ufficio per dimostrare “che gli effetti si sarebbero realizzati direttamente in capo all’originario proprietario e non in capo ai donatari, per cui la donante avrebbe dovuto soggiacere alla imposta sulla plusvalenza”, considerati inidonei gli elementi addotti, in quanto integranti presunzioni prive dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., che “non possono portare univocamente alla conclusione cui giunge l’ufficio”; ha ritenuto decisivo che “i denari derivanti dalla vendita siano stati incassati dai donatari”, elemento che inequivocabilmente porta a concludere che in effetti il donante abbia voluto beneficiare i donatari.
R.M. si costituisce con controricorso.
Considerato che:
1. col primo motivo del ricorso si deduce violazione di legge, degli artt. 37 comma 3 d.P.R. 600/73 e art. 2697 c.c. e dei principi in tema di abuso del diritto, per avere la C.T.R. respinto l’appello dell’Ufficio per mancata dimostrazione della simulazione della donazione e quindi della natura fittizia dell’operazione.
2. Col secondo motivo si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione sulla sussistenza di ragioni economicamente apprezzabili riscontrate nell’incasso del prezzo di vendita da parte dei donatari, laddove, in mancanza di ragioni alternative rispetto alla mera aspettativa del beneficio fiscale, il giudice d’appello avrebbe dovuto valutare gli elementi, obiettivi e non contestati, posti a base del provvedimento impositivo e offerti nel giudizio di merito.
3. Il motivo è infondato.
3.1. La Commissione Tributaria Regionale ha fatto corretta applicazione dei principi in materia di presunzioni e dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. 600/73, il quale espressamente prevede che “in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”.
La C.T.R., lungi dall’affermare che l’intento elusivo non si può ricavare da semplici indizi, seppur gravi precisi e concordanti, ha attestato con congrua motivazione l’inconsistenza degli elementi addotti dall’Ufficio a sostegno del preteso intento elusivo dell’operazione, in quanto superati dalle prove positive addotte dalla contribuente.
3.2. Giova al riguardo precisare che la disciplina dell’interposizione prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, come nel caso dell’interposizione fittizia, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali (v. Cass. n. 5937 del 2015; v. anche Cass. nn. 12788 del 2011, n. 449 e n. 25671 del 2013, 21794 del 2014). Ma in casi del genere, come quello in esame, trattandosi di rapporti patrimoniali tra padre e figli, deve pur tenersi conto della libertà di pianificazione della propria successione da parte del genitore e del carattere genuino della donazione (v. Cass. 21952 del 2015; n. 16158 del 2016).
3.3. Ora, il giudice d’appello, come accennato in narrativa, ha escluso, sulla base di una serie di accertamenti e valutazioni di fatto, che in capo al M., padre donante, potesse configurarsi, anche in via presuntiva – come aveva ritenuto l’Ufficio nell’avviso di accertamento e continua a sostenere nel presente ricorso – l’imputazione del reddito, costituito dalla plusvalenza derivante dalla cessione di un terreno (che sarebbe stata quindi effettuata dai figli quali meri soggetti interposti), stipulata nella stessa data dell’atto di donazione. E ciò sulla base dell’essenziale considerazione che detta area era stata venduta dai figli donatari ad una società – ACMAR – per un corrispettivo quasi corrispondente al valore dichiarato nell’atto di donazione, e senza il riscontro di indici (quali: il versamento di acconti al donante; la partecipazione di questo alle trattative per la vendita), idonei a far pensare all’assenza dello spirito di liberalità e alla strumentalità dell’operazione finalizzata unicamente ad evitare il carico fiscale della plusvalenza.
3.4. Sicché, nella specie, non è ravvisabile abuso del diritto, pure invocato dall’Ufficio, avendo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità specificato che esso si traduce in un principio antielusivo che consente all’Amministrazione di disconoscere e dichiarare non opponibili le operazioni e gli atti in sé privi di valide ragioni economiche e diretti al solo scopo di conseguire vantaggi fiscali diversamente non spettanti (v., fra le altre, Cass. n. 4561 del 2015), fermo restando che incombe sull’Amministrazione la prova del disegno elusivo (v. ex multis Cass. n. 4603 del 2014): prova nella specie non fornita.
4. Il ricorso si rivela pertanto infondato e va rigettato.
5. In considerazione dell’epoca di formazione della giurisprudenza di riferimento, si ravvisano giusti motivi per dichiarare compensate fra le parti le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
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