CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 marzo 2018, n. 6292
IVA – Detrazione – Ricavi non contabilizzati – Regime del margine – Impresa di noleggio auto
Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza in atti della CTR Marche che, in parziale riforma della sentenza emessa dalla CTP di Ascoli Piceno, ha respinto l’appello principale proposto dall’Ufficio erariale, accogliendo quello incidentale della S.A. snc di S.A. & S.E., quantificando in euro 10.127,00 i ricavi non contabilizzati.
Considerato in diritto
1. Il mezzo erariale è impostato su quattro motivi ai quali replica la parte avversa con controricorso e ricorso incidentale.
Il procuratore Generale ha presentato le proprie richieste concludendo per l’accoglimento del ricorso.
1.1. Con il primo motivo del ricorso principale, afferente alla statuizione relativa al regime del margine, l’Agenzia censura a mente dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. l’errore in cui è incorsa l’impugnata sentenza nel dare applicazione all’art. 36 d.l. n.41 del 1995, perché, sul rilievo che “l’intestazione originaria dell’auto ad una società di noleggio non possiede di per sé quel carattere di oggettività in base al quale un successivo acquirente possa presumere l’inapplicabilità del regime del margine. Non è illogico, infatti, pensare che l’impresa di noleggio, al fine di rendere più competitivo il prezzo in caso di cessione a privati, può aver ritenuto opportuno non effettuare la detrazione dell’Iva…”, la CTR ha ritenuto non condivisibile l’assunto dell’Ufficio secondo cui, trattandosi di beni provenienti da società estere di autonoleggio, questo dato escludeva in radice l’applicazione del regime del margine.
1.2. Il secondo motivo lamenta l’insufficiente motivazione in relazione ad un fatto non controverso e decisivo del giudizio a mente dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., sul presupposto che le affermazioni della C.T.R. di Ancona, censurate con il primo motivo di ricorso, risultano essere prive di adeguata motivazione.
1.3. Con il terzo motivo del ricorso principale, l’Agenzia censura a mente dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 36 d.l. n.41 del 1995, sul rilievo che la C.T.R. di Ancona, nel respingere la pretesa erariale, ha disatteso il principio di diritto secondo il quale il cessionario nazionale, al fine di escludere che il proprio acquisto non si inserisca all’interno di una frode Iva, è tenuto ad appurare, attraverso verifiche contabili e fiscali, la natura ed il contenuto dei rapporti tra i primi cessionari ed i successivi operatori comunitari e nazionali al fine di accertare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime del margine, non essendo, a tal fine, sufficiente la mera dichiarazione da parte del venditore nazionale.
2.4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (articolo 360 n. 5 cod. proc. civ.) sulla circostanza di cui al precedente motivo del ricorso .
2. Il ricorso incidentale è affidato a tre motivi.
Con i quali lamenta: l’omessa pronuncia in ordine al giudicato della sentenza di prime cure in punto di difetto di motivazione ed indebito utilizzo del regime Iva del margine nonché la violazione dell’articolo 112 del codice di procedura civile in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4 stesso codice, sul rilievo che la C.T.R. di Ancona avrebbe omesso di statuire in ordine all’eccezione preliminare volta a rilevare il giudicato della sentenza gravata per assenza di specifica impugnazione da parte dell’ufficio, limitatamente alla riscontrato difetto di motivazione dell’atto impositivo e all’annullamento del rilievo dell’indebito utilizzo del regime Iva del margine (primo motivo); l’omessa pronuncia in punto di nullità dell’avviso di accertamento per violazione e falsa applicazione dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 nonché per violazione dell’articolo 112 del codice di procedura civile in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4 stesso codice, sul rilievo che la contribuente aveva depositato presso l’agenzia delle entrate apposita istanza di interpello con la quale si chiedeva un riscontro circa la correttezza del trattamento fiscale adottato, senza che l’ufficio erariale avesse fornito alcuna risposta e così essendo maturato il silenzio – assenso sull’istanza di interpello fondante la conseguente declaratoria di nullità dell’atto impositivo ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 (secondo motivo); l’omessa pronuncia in punto di motivazione dell’atto impositivo nonché violazione dell’articolo 112 del codice di procedura penale in relazione all’articolo 360, comma, n. 4 stesso codice, sul rilievo che la C.T.R. di Ancona avrebbe omesso di pronunciarsi in relazione alle doglianze dell’ufficio e alle relative controdeduzioni avanzate dal contribuente in punto di motivazione dell’atto impositivo (terzo motivo).
3. I motivi del ricorso principale possono essere congiuntamente esaminati essendo tra loro strettamente connessi.
Essi sono fondati.
Come ha opportunamente segnalato il Procuratore generale, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno enunciato il principio di diritto, così massimato: «in tema di IVA, il regime del margine – previsto dall’art. 36 del d.l. n. 41 del 1995, conv. con modif. in I. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato – costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggia a leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole» (Sez. U – , n. 21105 del 12/09/2017, Rv. 645308 – 01).
Le Sezioni Unite – dopo avere delineato la nozione, la ratio e i presupposti del regime impositivo del margine (regolato dall’art. 36 del d.l. n. 41, conv. con modif., in I. n. 85 del 1995, e dagli artt. da 311 a 325 della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio e, già dall’art. 26 bis della VI Direttiva n. 77/388/CE del Consiglio) – hanno evidenziato che, trattandosi di un regime speciale, facoltativo e derogatorio del sistema generale in materia di I.V.A. (meno oneroso per il contribuente, in ragione della ridotta base imponibile), la disciplina concernente il suo ambito applicativo deve essere interpretata restrittivamente, nei soli limiti di quanto necessario al raggiungimento dell’obiettivo dell’istituto.
Le Sezioni Unite hanno perciò affermato che, qualora l’amministrazione finanziaria contesti al contribuente (sulla base di elementi specifici e concreti) di avere indebitamente fruito del regime del margine, spetta a quest’ultimo fornire la prova liberatoria, che – per quanto riguarda i presupposti soggettivi del regime applicato – si risolve nella dimostrazione della sua buona fede, intesa non solo come assenza di consapevolezza che il suo acquisto si iscrivesse in un contesto di un’evasione dell’I.V.A. ma anche come uso della necessaria diligenza – e cioè come adozione di tutte le misure ragionevolmente esigibili nei confronti di un operatore accorto (secondo il principio di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto) – al fine di assicurarsi che tale evenienza fosse da escludere. Una volta offerta tale prova, deve ritenersi legittimamente applicato il regime del margine, anche se in base a successivi controlli (che solo l’amministrazione può compiere, in virtù degli strumenti investigativi di cui dispone) dovesse poi emergere l’assenza dei presupposti per la sua fruizione.
Nell’enunciare tale principio, la Suprema Corte ha riportato una recentissima sentenza della Corte di Giustizia (Corte di giustizia 18 maggio 2017, causa C- 624/15, Litdana), evidenziando che in essa trova sostanziale conferma l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di questa Sezione, ora ribadito dalle Sezioni Unite, con riferimento al richiamo al canone della buona fede e al correlato onere del cessionario di adottare in via preventiva tutte le precauzioni ragionevolmente esigibili, al fine di assicurarsi di non essere coinvolto, col proprio acquisto, in un’evasione fiscale.
Con specifico riferimento alla cessione di veicoli usati, le Sezioni Unite hanno inoltre precisato, confermando anche sotto questo aspetto un orientamento già in precedenza affermato, che rientra tra le precauzioni senz’altro esigibili dal cessionario l’esame della “storia” del veicolo, quanto meno con riferimento all’individuazione dei precedenti intestatari risultanti dalla carta di circolazione (necessariamente in possesso dell’acquirente, essendo indispensabile per il perfezionamento dell’operazione), potendo in questo modo egli accertare – senza che ciò di regola comporti la pretesa di oneri investigativi inesigibili – la qualità dei cedenti e dei precedenti proprietari e quindi verificare, eventualmente mediante l’acquisizione di ulteriori dati di rapido reperimento, se essi siano o meno soggetti legittimati ad esercitare il diritto di detrazione dell’I.V.A. In caso negativo, si può ritenere che i beni siano pervenuti al consumo finale, con conseguente possibilità di applicazione del regime del margine. In caso positivo, qualora i precedenti intestatari risultino compiere professionalmente operazioni nell’ambito del mercato dei veicoli (attività di rivendita, di noleggio o di leasing), opera invece la presunzione (contraria, in base al criterio di normalità probabilistica) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’I.V.A., assolta a monte per l’acquisto di tali beni, in quanto destinati all’esercizio dell’attività d’impresa, con conseguente negazione del diritto alla fruizione del trattamento fiscale più favorevole.
Ne deriva che incombe sul cessionario l’onere di eseguire i controlli necessari per potersi ritenere in buona fede circa la detrazione da parte del cedente dell’Iva sui beni ceduti e conseguente applicazione del regime del margine in favore del cessionario stesso, sul quale pertanto grava anche l’onere della prova di “usufruibilità” del beneficio.
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla C.T.R. Marche, in diversa composizione, cui è demandato anche di provvedere sul regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
4. Non è fondata l’eccezione di giudicato, sollevata con il ricorso incidentale, perché il primo giudice non si è pronunciato sulla domanda posta a fondamento dell’eccezione tendente a rilevare il difetto di motivazione dell’atto impositivo.
Nel resto, il ricorso incidentale è inammissibile per difetto di interesse perché le censure non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì nei confronti di questioni sulle quali, come lo stesso ricorrente incidentale ammette, il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza, la quale costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime, che rimngono impregiudicate, al giudice del rinvio, nell’ipotesi, nella specie ricorrente, di annullamento della sentenza (Sez. 5, n. 574 del 15/01/2016, Rv. 638333 – 01).
Le eccezioni di inammissibilità del ricorso principale sono infondate, essendo stati sufficientemente esposti i fatti di causa e indicati gli atti sui quali il ricorso dell’ufficio si fonda.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale; rigetta l’eccezione di giudicato; dichiara inammissibile, per il resto, il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR delle Marche, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
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