CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 marzo 2019, n. 7346
Tributi – Accertamento – Raddoppio dei termini – Violazioni con rilevanza penale – Utilizzo di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti
Rilevato che
1. In controversia relativa ad avviso di accertamento emesso nell’anno 2009 nei confronti della società contribuente e dei soci per ritenuta indeducibilità dei costi di cui a fatture che, sulla scorta delle risultanze di una p.v.c. della G.d.F. del 27/02/2009, risultavano essere state emesse nell’anno d’imposta 2003 per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, con la sentenza impugnata la CTR respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado e quindi confermava l’annullamento dell’atto impositivo perché emesso oltre il termine di decadenza, ritenendo inoperante nella specie il raddoppio di tale termine per essere stata trasmessa la denuncia penale all’autorità giudiziaria oltre la scadenza dello stesso.
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre con un unico motivo l’Agenzia delle entrate, cui i soci intimati replicano con controricorso e ricorso incidentale affidato a quattro motivi.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale i controricorrenti hanno depositato memoria.
Considerato che
1. Preliminarmente, sul rilievo che la O. Import Export di S. I. & C. s.a.s. è stata cancellata dal registro delle imprese in data 8/02/2011, ovvero nelle more del processo di primo grado, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti della stessa, ma non nei confronti dei controricorrenti, già parti del giudizio d’appello, con la conseguenza che è infondata l’eccezione da questi ultimi sollevata al riguardo nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis, secondo comma, ultima parte, c.p.c., così come pure l’eccezione di intervenuto giudicato interno nei loro confronti.
1.1. La mancata costituzione in giudizio della società estinta esonera dal provvedere sulle spese processuali.
1.2. Manifestamente infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa specificazione della qualità dei controricorrenti di successori della società estinta, non necessaria al fine predetto e, peraltro, del tutto pacifica tra le parti.
1.3. Manifestamente infondata è, inoltre, l’eccezione di inesistenza della notifica del ricorso al controricorrente I. S., in quanto effettuata, al pari del ricorso in appello, nel cui giudizio era rimasto contumace, nello studio di un difensore presso il quale non aveva eletto domicilio. Premesso che è lo stesso controncorrente ad affermare (memoria, pag. 4) – ma la circostanza risulta dal ricorso alla CTP prodotto in allegato al controricorso e dal mandato difensivo allegato al medesimo – che in primo grado era assistito da due difensori (dott. G. e dott. A.) ed aveva eletto domicilio presso il primo, la tesi sostenuta dal controricorrente non può essere condivisa in quanto impatta con il principio giurisprudenziale secondo cui « l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elemend costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640604, che ha altresì precisato che « Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia “ex tunc”, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c. p.c.». V. anche Cass. n. 7703 del 28/03/2018, Rv. 648261 nonché Cass., Sez. 5, ordinanza n. 11485 del 11/05/2018, Rv. 648022). Ne consegue che nel caso di specie il ricorso d’appello venne notificato correttamente presso il domicilio eletto in primo grado (presso il difensore dott. Gismondi) mentre la nullità della notificazione del ricorso per cassazione (presso quel domicilio pure notificato) è stata sanata dalla costituzione in giudizio dell’intimato.
2. Passando, quindi, al merito del ricorso, l’Agenzia ricorrente con il mezzo di cassazione lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 , 57 d.P.R. n. 633 del 1972, 2 d.lgs. n. 128 del 2015, 1, comma 132, della legge n. 208 del 2015 e 15 delle preleggi, per avere la CTR delle Marche, con la sentenza impugnata, affermato l’insussistenza dei presupposti per il c.d. “raddoppio dei termini” per l’emissione dell’avviso di accertamento per essere stata inoltrata la notitia criminis all’Autorità giudiziaria penale il 23/03/2009, allorquando il termine di decadenza era spirato il 31 dicembre 2008.
2. Il ricorso è parzialmente fondato.
3. L’impugnazione è centrata correttamente su principi regolativi ora certificati da Cass., Sez. 5, Sentenza n. 26037 del 16/12/2016, laddove si afferma che, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche apportate dalla legge n. 208 del 2015, il cui art. 1, comma 132, ha introdotto, peraltro, un regime transitorio che si occupa delle sole fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo del precedente regime transitorio – non oggetto di abrogazione – di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, in virtù del quale la nuova disciplina non si applica ne agli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 né agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione conosciuti dal contribuente entro il 2 settembre 2015 e seguiti dalla notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatola entro il 31 dicembre 2015 (conf. Cass., Sez. 6-5, ordinanza n. 17986 del 20/07/2017; conf. Cass., Sez. 6-5, ordinanza n. 2195 del 2018).
4. Va però precisato che, poiché quello che assume rilevanza ai fini del raddoppio dei termini di accertamento è la circostanza che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti, esso non opera con riferimento all’IRAP posto che, «non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione ternporis (cfr. Cass. n. 20435/2017; n. 4775/2016 n. 26311 del 2017, n. 23629 del 2017, n. 2195, n. 4758 e n. 14440 del 2018).
5. Da quanto detto al precedente § 3 discende l’infondatezza del primo motivo di ricorso incidentale, con il quale i contribuenti, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 58, comma 2, e 32, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, lamentano che la CTR aveva ammesso la produzione tardiva, perché effettuata dall’amministrazione finanziaria solo in grado di appello, della denuncia penale inoltrata dalla G.d.F. alla Procura della Repubblica di Ancona in data 23/03/2009. Mezzo di cassazione con il quale, comunque, i contribuenti sostengono una tesi manifestamente contrastante con la lettera della legge (art. 58, comma 2, d. lgs. citato, che prevede che «è fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti» in appello) e con il consolidato orientamento di questa Corte (ex multis, Cass., Sez. 5, sent. n. 2111A del 22/11/2017, Rv. 646223).
6. Con il secondo motivo del ricorso incidentale i contribuenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., un vizio motivazionale, sostenendo che la CTR ha omesso l’esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, consistente nel «non avere effettuato la valutazione ora per allora (c.d. prognosi postuma) della insussistenza di oggettivi presupposti per l’obbligo di denuncia penale anche in relazione alle prove offerte dai ricorrenti in primo grado ed al pvc GdF 38/2009» (ricorso pag. 19).
7. Con il terzo motivo di ricorso incidentale viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi in materia di riparto dell’onere della prova, sostenendosi che la CTR aveva ritenuto fondata la pretesa impositiva «trascurando le prove documentali prodotte dai ricorrenti in primo grado» e ponendo a carico dei medesimi un onere probatorio invece gravante sull’amministrazione finanziaria.
8. Con il quarto motivo di ricorso incidentale viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2320 cod. civ. per avere i giudici di appello ritenuto la socia accomandante C. P.illimitatamente responsabile delle obbligazioni tributarie della s.a.s.
9. I motivi sono inammissibili ancorché per ragioni diverse da quelle indicate nella proposta.
10. Invero, con i predetti motivi i controricorrenti censurano la sentenza d’appello là dove la CTR ha affermato di rigettare l’appello dell’ufficio «pur ritenendo fondato il merito dell’accertamento operato dall’ufficio circa la contestazione delle fatture di acquisto e di vendita rispettivamente utilizzate ed emesse dalla società accertata siccome oggettivamente inesistenti alla luce degli elementi addotti dall’Agenzia delle Entrate siccome sinteticamente esposti in premessa e contro i quali i contribuenti non hanno fornito prova contraria a cui erano tenuti, rilevando altresì la legittimità dell’emissione e dell’invio dell’avviso di accertamento anche nei confronti della socia accomandante a mente dell’art. 2320 c.c.».
10.1. Va però rilevato che i giudici di appello, dopo aver fatto tale premessa, hanno precisato di non poter «non rilevare la necessità del preventivo esame della preliminare eccezione sollevata dal contribuente in merito alla tempestività o meno dell’azione accertatrice dell’ufficio in quanto la decisione potrà rilevarsi decisiva, laddove accolta, e assorbente di ogni altra questione sollevata».
10.2. Orbene, tale precisazione rende evidente che le premesse fatte dalla Commissione d’appello in ordine alla fondatezza dell’accertamento fiscale non costituiscono ratio decidenti e, pertanto, sono incensurabili in sede di legittimità, dovendo, le questioni poste dai controricorrenti con accertamento della loro tempestiva riproposizione (cfr., ex multis, Cass. n. 8817 del 2012 e n. 134 del 2017).
11. Conclusivamente, quindi, va accolto il motivo di ricorso principale nei termini di cui in motivazione, ovvero limitatamente alle imposte diverse dall’IRAP, mentre in relazione a quest’ultima imposta il ricorso va rigettato e, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.civ., accolto nel merito quello originariamente proposto dai contribuenti.
Va rigettato il primo motivo di ricorso incidentale e dichiarati inammissibili gli altri. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo di ricorso principale accolto e la causa rinviata alla competente CTR che rivaluterà l’intera vicenda processuale alla stregua dei suesposti principi e provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti della società cancellata.
Accoglie il ricorso principale nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara inammissibili il secondo e terzo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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