CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 novembre 2018, n. 29319
Tributi – Accertamento – Redditi di impresa – Determinazione – Indeducibilità costi per operazioni soggettivamente inesistenti – Acquisti di auto – Natura fittizia dell’impresa cedente
Ritenuto che
la A. Auto s.r.l. impugnava un avviso d’accertamento, fondato su verbale della Guardia di Finanza, con il quale si disponeva la rettifica – ai fini Irpeg/Irap – per l’anno di imposta 2001 a carico del contribuente, avendo fatto figurare in contabilità acquisti di auto rappresentati da fatture emesse per operazioni di cessione soggettivamente inesistenti dalla G.C. di D. R., impresa dalla natura fittizia;
che il contribuente deduceva che non vi era prova che le fatture in contestazione fossero relative a operazioni soggettivamente inesistenti, e tantomeno che la A. Auto s.r.l. ne fosse a conoscenza;
che la Commissione tributaria provinciale di Sondrio accoglieva il ricorso ritenendo che l’Ufficio non avesse dimostrato che le fatture fossero relative a operazioni soggettivamente inesistenti e che la A. Auto s.r.l. fosse a conoscenza della frode attribuita alla G.C.;
che la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate ritenendo che l’Amministrazione fosse onerata della prova dell’inattendibilità delle scritture contabili della controparte e della inesistenza delle operazioni di cui alle fatture in contestazione. Ha evidenziato inoltre che dal processo verbale risultava che la frode era ascrivibile alla G.C. e che la A. Auto s.r.l. risultava una mera acquirente dell’autovettura in virtù di fatture emesse in conformità alla legge e regolarmente pagate, mentre non era stato dimostrato che la A. Auto s.r.l. fosse a conoscenza che G.C. fosse una “cartiera” e dunque che le fatture fossero relative ad operazioni soggettivamente inesistenti;
che l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi;
che resiste il contribuente con controricorso.
Considerato che
con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 75 d.P.R. n. 917/86, nonché degli artt. 2697 c.c., 2727-2729 c.c. in combinato disposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Parte ricorrente deduce che le fatture emesse dalla ditta G.C. di D. R., relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, non erano inidonee a documentare detti costi ai fini Irpeg e Irap. Evidenzia, al riguardo, che il contribuente che voglia dedursi un costo dall’imponibile Irpeg e Irap ha l’onere di dimostrare l’esistenza e l’entità del costo con l’esibizione della fattura di acquisto del bene o servizio al quale il costo è correlato, ma se la fattura attiene a operazione soggettivamente inesistente non è più idonea a darne prova. L’Erario, essendo estraneo all’operazione fatturata, ove voglia inficiare la capacità dimostrativa di una fattura in quanto relativa a una operazione soggettivamente inesistente non ha l’onere di dimostrare l’inesistenza soggettiva dell’operazione fatturata, ma solo l’esistenza di elementi che fondino il ragionevole sospetto di quella inesistenza. Risulta pertanto errata la decisione della Commissione tributaria regionale lì dove ha affermato che l’Amministrazione aveva l’onere di dimostrare l’inattendibilità delle scritture della A. e la falsità delle fatture emesse dalla G.C., in quanto all’Agenzia spettava esclusivamente il compito di dimostrare che vi erano elementi di fatto idonei a fondare il ragionevole sospetto che le operazioni fatturate da G.C. fossero soggettivamente inesistenti. La pronuncia impugnata, inoltre, avrebbe dato rilievo ad elementi del tutto irrilevanti, quale la conformità formale delle fatture alle disposizioni vigenti e l’effettuazione di pagamenti rispetto alle stesse. L’Amministrazione, sotto altro profilo, non aveva l’onere di dimostrare che la A. Auto s.r.l. fosse a conoscenza che la G.C. era una “cartiera” e che l’operazione da questa fatturata era soggettivamente inesistente. La fattura emessa per un’operazione soggettivamente inesistente è un documento potenzialmente falso e come tale sempre e comunque inidoneo a dimostrare alcunché. In subordine, parte ricorrente evidenzia che la fattura emessa dal cedente apparente per un’operazione soggettivamente inesistente conserva la sua capacità per il cessionario di documentare il costo solo ove questi dimostri di aver ignorato senza sua colpa l’inesistenza soggettiva dell’operazione;
che con il secondo motivo ci si duole della motivazione omessa o insufficiente su di un fatto decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.) in ordine alla circostanza che l’Amministrazione avesse allegato e dimostrato elementi idonei a fondare il ragionevole sospetto che le operazioni fatturate da G.C. fossero soggettivamente inesistenti. Secondo quanto argomentato, l’Amministrazione, nell’atto d’appello, aveva dedotto talune circostanze che palesavano nella G.C. gli elementi tipici della “cartiera” coinvolta in una frode carosello e che pertanto fondavano il ragionevole sospetto che le operazioni da questa fatturate fossero soggettivamente inesistenti (soggetto privo di strutture che figurava acquistare autovetture da soggetti comunitari e rivendere a soggetti italiani; soggetto di breve esistenza giuridica, sostanzialmente inosservante di tutti i suoi obblighi fiscali e operante secondo un agire apparentemente antieconomico, come era stato riconosciuto dagli organi inquirenti);
che i motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati;
che secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema d’Iva, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga a operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base a elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (Cass. 18 maggio 2018, n. 12258; Cass. 9 settembre 2016, n. 17818; Cass. 5 dicembre 2014, n. 25778);
che ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);
che, nel caso concreto, la pronuncia impugnata dà per accertata, sulla base della documentazione in atti, la natura di “cartiera” della G.C., incentrandosi la relativa motivazione sul mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine all’inattendibilità delle scritture contabili del contribuente e alla consapevolezza, da parte di quest’ultimo, della natura fittizia della ditta G.C.;
che l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obiettivi e specifici, che spetta all’Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza e alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare e afferenti alla sua sfera di azione (Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);
che, nel caso di specie, il giudice d’appello ha escluso, senza alcuna effettiva motivazione, che la A. Auto s.r.l. fosse a conoscenza della natura fittizia della ditta, evidenziando genericamente che dagli atti di causa non fosse possibile dimostrare tale consapevolezza e richiamando la mancanza di presunzioni gravi precise e concordanti idonee a dimostrare la correttezza dell’accertamento fiscale compiuto. La motivazione, premessa e assunta la natura di “cartiera” della G.C., non ha in alcun modo esaminato le deduzioni dell’Amministrazione che fondavano il ragionevole sospetto che il contribuente, anche in relazione alla qualità professionale ricoperta e alle concrete modalità di scelta e realizzazione dell’operazione commerciale, “sapeva o avrebbe dovuto sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza” che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta. Al riguardo, il ricorso dell’Agenzia delle entrate evidenzia puntualmente diverse circostanze di fatto, sottratte pertanto al sindacato di legittimità, che avrebbero dovuto indurre il giudice del gravame a una specifica valutazione (in ricorso si evidenzia come sia stato dedotto che la G.C. – a seguito di verifica della G. di F. di Sondrio e prima ancora di Torino – risultava essere un soggetto privo di strutture, di breve esistenza giuridica, sostanzialmente inosservante di tutti i suoi obblighi fiscali, operante secondo un agire apparentemente antieconomico che figurava acquistare autovetture da soggetti comunitari e rivendere a soggetti italiani). La Commissione tributaria regionale non ha considerato tali elementi, incorrendo nel vizio di motivazione denunciato;
che avendo l’Amministrazione finanziaria fornito idonei elementi probatori della natura di “cartiera” della società collocata a monte della cessione – sulla base delle specifiche circostanze dedotte e riportate in ricorso – spettava alla società contribuente, che con tale società aveva intrattenuto rapporti commerciali, fornire la prova di aver svolto tali trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente;
che la mera regolarità della documentazione contabile e l’effettivo pagamento delle fatture non costituiscono elementi dimostrativi idonei in ordine alla buona fede del contribuente, essendo del tutto compatibili con la possibilità che le fatture fossero relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass. 15 maggio 2018, n. 11873; Cass. 5 dicembre 2017, n. 29002; Cass. 14 gennaio 2015, n. 428);
che, tuttavia, in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4 bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. in legge 26 aprile 2012 n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, quale jus superveniens con efficacia retroattiva in bonam partem, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (Cass. 17 dicembre 2014, n. 26461);
che, nel caso di specie, in relazione ai costi sostenuti per l’acquisto delle autovetture – utilizzate non per commettere reati bensì per essere commercializzate – deve accertarsi in sede di merito, non essendo possibile il relativo accertamento in sede di legittimità, se tali costi fossero stati effettivi e correttamente imputati al conto economico dell’esercizio di competenza, ai fini della loro deducibilità, a prescindere dall’eventuale falsità ideologica delle relative fatture;
che, pertanto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale competente, anche per le spese del giudizio di cassazione;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
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