CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 novembre 2019, n. 29707
Tributi – Reddito di impresa – Costi di sponsorizzazione – Contestazione di operazione fittizia – Onere di prova contraria a carico del contribuente
Fatti e ragioni della decisione
Con quattro distinti avvisi di accertamento emessi nei confronti della società OMR s.n.c. e dei tre soci G. D., G. A. e B. P. e relativi all’anno di imposta 2006, l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Rieti – riprendeva a tassazione costi indeducibili ed IVA sul rilievo dell’inesistenza oggettiva di un’operazione di sponsorizzazione oggetto di una fattura emessa dall’associazione sportiva dilettantistica pro-calcio Contigliano nei confronti della contribuente.
In seguito alle impugnazioni proposte dai contribuenti, la CTP di Rieti accoglieva i ricorsi e annullava gli atti impugnati.
La CTR Lazio confermava la decisione appellata dall’Ufficio con la sentenza indicata in epigrafe, ritenendo raggiunta la prova dell’effettività dell’operazione sulla scorta delle risultanze documentali prodotte nonché inerenti i costi di sponsorizzazione sostenuti dalla contribuente in relazione alle dimensioni economiche dell’impresa esercitata.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
La società intimata ha resistito con controricorso.
L’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973 e degli artt. 2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3), c.p.c. Prospetta, in particolare, che la CTR non avrebbe fatto buon governo dei principi di questa Corte in ordine al tenore della prova contraria richiesta in capo ai contribuenti in caso di contestazione di operazioni inesistenti, fondando il proprio convincimento “sulla base di mere soggettive congetture”.
Il motivo con il quale si prospetta l’erronea applicazione della disciplina in tema di operazioni inesistenti e di ragionamento probatorio fondato su presunzioni, è fondato nei termini di seguito esposti.
Giova premettere che in tema di accertamento delle imposte sui redditi la presenza di fatture formalmente regolari non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la fattura stessa possa considerarsi relativa ad un’operazione oggettivamente inesistente.
In tali casi, pertanto, l’Ufficio può contestare la veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti con successivo spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente in ordine all’effetti esistenza delle attività risultanti dalla fattura.
Ed infatti, questa Corte è ferma nel ritenere che “In tema d’imposte sui redditi, è legittimo il ricorso all’accertamento analitico -induttivo del reddito d’impresa ex art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, anche in presenza di una contabilità formalmente corretta ma complessivamente inattendibile, potendosi, in tale ipotesi, evincere l’esistenza di maggiori ricavi o minori costi in base a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, per cui assolvimento, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, da cui il fisco ha dedotto l’inesistenza delle passività dichiarate, non è sufficiente né la regolare annotazione delle fatture nelle scritture contabili né l’effettività delle spese ( Cass., V, n. 23550/2014; Cass., V, n. 23626/2016; Cass., V, n. 11109/2003).
Le considerazioni appena espresse valgono anche in materia di Iva, avendo questa Corte ribadito specificamente una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova, anche mediante elementi indiziari, dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente dimostrarne, di contro, l’effettiva esistenza, senza che, tuttavia, sia sufficiente a tal fine l’esibizione della fattura, documentazione di solito utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass., V, n. 26453/2018; Cass., V, n. 17619/2018; Cass., VI, n. 18118/2016).
Si è ancora aggiunto che “nell’ipotesi di inversione dell’onere probatorio, la prova gravante in capo al contribuente non potrà ritenersi soddisfatta con la mera esibizione della fattura, né con la sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali, notoriamente, vengono utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (tra le altre, Cass. n. 16437/2015, Cass. nn. 15228/2001, 12802/2011).
Orbene, qualora detto onere probatorio sia assolto mediante la deduzione di presunzioni semplici, è necessario richiamare la giurisprudenza di questa Corte per cui “In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento” (Cass., Sez. VI, 5, n. 5374/2017, Cass., Sez. VI, 5 n. 9108/2012).
Orbene, la CTR Lazio ha fatto errata applicazione dei principi in materia di onere della prova dell’effettività dell’operazione contestata e di valutazione delle presunzioni.
Il giudice di merito, infatti, ha, per un verso, totalmente tralasciato di considerare la genericità del contenuto dei contratti di sponsorizzazione stipulati e la presenza di precedenti decisioni emesse contro la associazione sportiva dilettantistica Pro-Contigliano -sentenza della CTP Roma n. 78/2/2014, concernente la violazione degli obblighi dichiarativi da parte della stessa e l’emissione di fatture false per operazioni inesistenti – tra cui quella di cui in contestazione – che l’Ufficio aveva richiamato a dimostrazione dell’inesistenza oggettiva dell’operazione di sponsorizzazione.
Per altro verso, la CTR ha valorizzato elementi totalmente privi di valenza presuntiva, quali i documenti bancari attestanti il versamento del corrispettivo in denaro dell’operazione, inoltre richiamando genericamente le riproduzioni fotografiche dell’evento sponsorizzato, senza individuarne il contenuto e specificarne il contesto e la collocazione spazio temporale.
In conclusione, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Lazio, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Lazio, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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