CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 ottobre 2020, n. 22183
Tributi – Imposte di successione – Avviso di liquidazione maggiori imposte – Applicabilità condono ex art. 16, della Legge n. 289 del 2002. – Contenzioso tributario – Procedimento – Ricorso in cassazione – Sentenza fondata su una doppia ratio decidendi – Impugnazione riferita soltanto ai profili attinenti uno solo degli aspetti procedurali – Inammissibilità
Ritenuto che
1. con sentenza n. 71/13/13, depositata il 14 ottobre 2013, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 223/6/02 della CTP di Modena, con compensazione delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di avvisi di liquidazione con cui l’Agenzia delle Entrate, ai fini dell’imposta di successione, INVIM ed altri tributi speciali, aveva rettificato i valori dei beni dichiarati dagli eredi di M.A., con la dichiarazione di successione del 16 gennaio 1999, ritenendo inammissibili le passività;
3. la CTP, previa riunione dei separati giudizi proposti dagli eredi, aveva accolto i ricorsi; in pendenza del termine lungo per impugnare i contribuenti avevano presentato istanza di condono ex I. n. 289 del 2002;
4. proposto appello dall’Ufficio, sul presupposto che la controversia fosse suscettibile di condono limitatamente alle passività non ammesse e sostenendo la legittimità dell’atto impositivo per la parte residua, la CTR ne aveva dichiarato l’inammissibilità per tardività con sentenza cassata con rinvio da questa Corte;
5. riassunto il giudizio, la CTR aveva respinto l’appello ritenendo sia legittimo il ricorso da parte degli eredi alla definizione agevolata di cui all’art. 16, comma 8, della I. n. 289 del 2002, in riferimento all’atto impugnato nel suo complesso e non limitatamente alla parte relativa alle passività come sostenuto dall’Agenzia, sia rilevante che l’Ufficio non avesse emanato, né notificato, alcun atto di diniego parziale dell’istanza di sanatoria, limitandosi a contestarne in giudizio la validità;
6. avverso la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC il 3-22015, affidato ad un unico motivo; i contribuenti M.R.P. e M.R.G. hanno resistito con controricorso e depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., M.R.F. è rimasto intimato.
Considerato che
1. con unico motivo l’Agenzia ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 16, commi 6 e 8, della I. n. 289 del 2002 e dell’art. 33, comma 2, del d.lgs. n. 346 del 1990, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., rilevando che gli adempimenti amministrativi previsti per la procedura di definizione non erano soggetti a termini perentori, sicché l’effetto di portare a conoscenza dei contribuenti che l’istanza di condono fosse stata solo parzialmente accolta era stato efficacemente raggiunto con la notifica dell’appello.
Osserva che
1. Il ricorso va ritenuto inammissibile.
1.1. L’Agenzia delle Entrate a fronte di una sentenza fondata su una doppia ratio decidendi, quali, da un lato il riconoscimento per la controversia in esame, avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione con cui erano stati parzialmente rettificati i valori dichiarati ai fini dell’imposta di successione, della possibilità di definizione agevolata ai sensi dell’art. 16 della I. n. 289 del 2002 in riferimento al provvedimento per intero e non solo in parte, come ritenuto dall’Ufficio in sede di gravame, e dall’altro la censura della mancata adozione da parte dell’Ufficio di un atto di diniego parziale della sanatoria comunicato agli istanti, si è limitata a censurare solo i profili attinenti al secondo aspetto procedurale, ritenendo legittimo che il parziale accoglimento fosse stato portato a conoscenza direttamente con l’atto di impugnazione.
2. Nella specie è invece indubbio che avendo la controversia ad oggetto la contestata applicabilità del condono all’atto impositivo nel suo complesso, e la conseguente pretesa dei contribuenti all’estinzione del giudizio, l’ammissibilità alla procedura di definizione agevolata ritenuta dalla CTR costituisse una autonoma, se non addirittura la fondamentale ratio decidendi della sentenza impugnata, eppure non oggetto di alcuna censura da parte dell’Amministrazione ricorrente.
2.1 Ebbene costituisce orientamento consolidato che “Il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione. (Vedi Cass. n. 16314 del 2019; n. 18641 del 2017; n. 4293 del 2016; n. 7932 del 2013 e n. 3386 del 2011).
3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
3.1. Segue la condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare ai controricorrenti le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di € 11.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
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