CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 ottobre 2021, n. 28067
Collegio sindacale – Attività di vigilanza – Omissione – Deterioramento significativo del “portafoglio crediti” – Provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia – Responsabilità per fatti antecedenti l’assunzione dell’incarico
Ragioni in fatto e in diritto della decisione
Il dott. P.D.P. ha proposto ricorso, sulla scorta di quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma che, pronunciandosi sulla sua opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia n. 1122440 del 3 dicembre 2012, ha confermato la sussistenza degli illeciti a lui ivi addebitati nella sua qualità di Presidente del Collegio Sindacale della B.I.I.G. S.p.A.; illeciti consistenti:
a) nella carenza nei controlli da parte dei componenti del Collegio sindacale (punto 5 del provvedimento sanzionatorio);
b) nel mancato rilievo di posizioni creditorie ad andamento anomalo e previsioni di perdite non segnalate all’Organo di Vigilanza (punto 6 del provvedimento).
La Corte capitolina ha accolto l’opposizione del dott. D.P. soltanto in punto di quantificazione della sanzione irrogata per il primo di tali addebiti, riducendola da € 24.400 ad € 12.250 sul rilievo che il medesimo, essendo entrato in carica il 25 giugno 2010, non rispondeva del deterioramento dei crediti concessi prima di tale data.
La Corte d’appello, per quanto ancora interessa, ha disatteso le censure proposte dal dott. D.P. in ordine al merito delle contestazioni mosse dalla Banca d’Italia riportandosi alle motivazioni – che trascrive – della sentenza n. 6433/2017, che essa stessa aveva pronunciato, sull’opposizione avanzata avverso il medesimo provvedimento sanzionatorio dell’Organo di vigilanza da altri due componenti del Collegio sindacale della B.I.I.G. S.p.A., i sigg.ri P.A. e R.D.
In sostanza, in disparte la riduzione della sanzione per l’addebito su a), l’opposizione del dott. D.P. viene rigettata sul rilievo che il controllo affidato al Collegio sindacale è di natura sostanziale e non meramente formale, cosicché esso non si esaurisce nella formulazione di rilievi, ma postula la verifica dell’effettiva rimozione delle criticità ad opera dell’organo di amministrazione, ossia, in sostanza, un ruolo proattivo che nel caso di specie sarebbe mancato.
Con il primo motivo di ricorso, riferito al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per motivazione inesistente e/o apparente, per essere detta motivazione la pedissequa trascrizione della parte motiva di altra sentenza resa dalla medesima corte di appello nella vicenda processuale “D.-A.”; in proposito il dott. D.P. argomenta che le difese da lui proposte erano diverse, anche sul piano delle allegazioni probatorie documentali, rispetto a quelle prospettate dai sindaci D. e A. nel distinto procedimento giurisdizionale da loro instaurato, cosicché la corte capitolina, traslando la medesima motivazione da una vicenda ad un’altra, avrebbe omesso di valutare l’effettività delle sue difese e produzioni, formulando una motivazione di puro stile.
Con il secondo motivo di ricorso, riferito al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., il sig. P.D.P. deduce la violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4 c.p.c. nonché, in termini generali, dell’obbligo di corredo motivazionale imposto per tutte le decisioni dall’art. 111, comma 6, Costituzione. La carenza di motivazione oggetto della prima censura, costituirebbe, si argomenta, non soltanto motivo di nullità della sentenza, ma anche vizio di legittimità ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. La Corte d’appello, omettendo di considerare le specifiche difese e il corredo probatorio allegato dal sig. D.P., avrebbe dunque violato la norma processuale sopra citata, che richiede che il giudice indichi i «motivi in fatto ed in diritto della decisione».
Con il terzo motivo di ricorso, riferito al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., il dott. D.P. deduce l’omesso esame circa una pluralità di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente, innanzitutto, rileva che il presupposto unitario (“l’architrave”) su cui si fonda il provvedimento della Banca d’Italia, impugnato in corte d’appello e da quest’ultima in buona parte confermato, è che vi sia stato, nel biennio 2010-2012, un deterioramento significativo del “portafoglio crediti”, non rilevato e non segnalato dal Collegio Sindacale all’Organo di Vigilanza.
Nel mezzo di impugnazione si sostiene, al contrario, che tale assunto deriverebbe dall’omesso esame di una serie di documenti prodotti dall’opponente in giudizio. In tal senso sarebbe dirimente, si argomenta, la perizia D., resa dalla società incaricata, insieme alla società PWC, della revisione legale del bilancio e dell’informativa finanziaria della B.I.I.G.. Da tale perizia emergerebbe il fatto, decisivo, della riduzione (da circa € 510.000.000,00 a circa € 382.000.000,00) dei crediti “problematici” avvenuta nel periodo compreso tra il 30 giugno 2010 e il 30 giugno 2012 ed emergerebbe altresì che circa il 95% di tali crediti erano sorti già prima dell’assunzione della carica da parte del dott. D.P. o, al più tardi, nei sei mesi successivi, sicché solo il residuo 5% risalirebbe al periodo compreso tra fine dicembre 2010 e il 30 giugno 2012. Quanto, poi, all’esposizione creditoria della B.I.I.G. nei confronti dei gruppi C. e G., la perizia dimostrerebbe anche in tal caso una consistente riduzione dell’esposizione pregressa, con riclassificazione in bonis delle dette posizioni. Infine, quanto all’asserita carenza di un comportamento “proattivo” volto a limitare i forti poteri dell’amministratore delegato (il sig. P.D.), il ricorrente richiama la memoria difensiva del 15/11/2016, dalla quale emergerebbero, quali fatti decisivi omessi, vari interventi contenitivi adottati dal Collegio Sindacale, tra i quali l’acquisizione di due pareri legali (Avv. Z. e Avv. P.) in punto di conflitto di interessi del medesimo D.
Con il quarto motivo di ricorso, riferito al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., il sig. P.D.P. deduce la violazione degli artt. 14, comma 1, lett. b) e 19, comma 3, del d.lgs. n. 39/2010, nel testo all’epoca vigente, in ordine alla revisione legale dei conti. L’asserito deterioramento del portafoglio crediti nel biennio 2010-2012 investe, a detta del ricorrente, una prerogativa specifica della società di revisione, non dei sindaci, giacché è in sede di revisione che si dovrebbe verificare la regolare tenuta della contabilità e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili e dare atto delle eventuali carenze nel sistema di controllo interno. La sentenza sarebbe dunque viziata nella parte in cui attribuisce al collegio sindacale compiti di verifica e controllo che il sopracitato decreto pone a carico della società di revisione.
La Banca d’Italia ha presentato controricorso con ricorso incidentale, cui a sua volta il dott. D.P. resiste con controricorso.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, riferito ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., la Banca d’Italia deduce insieme la violazione di legge, la nullità per motivazione apparente e l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto che la responsabilità dell’ex componente del Collegio sindacale per i carenti controlli sulla gestione non si estenda ai crediti erogati prima che costui assumesse la carica.
Le carenze nei controlli addebitate ai sindaci della B.I.I.G. riguardano infatti l’intero comparto creditizio, tanto per i crediti pregressi quanto per quelli di nuova erogazione, senza che la data di concessione del credito possa essere presa in considerazione per escludere il dovere di corretta gestione.
La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio dell’11 gennaio 2021, per la quale entrambe le parti hanno depositato una memoria.
Iniziando dal ricorso principale, i primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, perché entrambi lamentano – rispettivamente sotto il profilo della nullità della sentenza (art. 360 n. 4) e sotto il profilo della violazione di legge (360 n. 3 c.p.c., con riferimento all’132 c.p.c.) – che la motivazione dell’impugnata sentenza, nella parte relativa alle censure di merito mosse dall’opponente al provvedimento sanzionatone, si risolve nella mera trascrizione della motivazione di altra sentenza relativa all’opposizione proposta da altri componenti del Collegio sindacale della B.I.I.G. avverso il medesimo provvedimento sanzionatorio. Il motivo va disatteso alla stregua del principio, più volte enunciato da questa Corte che la motivazione per relationem della sentenza, ai sensi dell’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., può fondarsi anche su precedenti di merito, e non solo di legittimità, allo scopo di massimizzare, in una prospettiva di riduzione dei tempi di definizione delle controversie, l’utilizzazione di riflessioni e di schemi decisionali già compiuti per casi identici o caratterizzati dalla decisione di identiche questioni (vedi Cass. n. 2861/2019, Cass. n. 21978/2018, Cass. n. 17403/2018). Va, d’altra parte, escluso che la motivazione della sentenza impugnata possa essere giudicata meramente apparente, ossia che essa non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (cfr. Cass. n. 13248/2020).
Va invece accolto il terzo motivo del ricorso principale.
Il ricorrente argomenta che, se la corte d’appello avesse esaminato i documenti da lui prodotti (in particolare, una perizia di parte redatta dalla società di revisione D.) avrebbe rilevato che nel periodo in cui il ricorrente è stato presidente del collegio sindacale la situazione del portafoglio crediti era migliorata e non peggiorata.
Nell’ambito di questa premessa, nel mezzo di gravame si individuano specifici fatti decisivi il cui esame sarebbe stato omesso dalla corte territoriale:
a) il 95% dei crediti problematici era stata concessa prima dell’insediamento del ricorrente o nei primi sei mesi del suo mandato;
b) dal 30 giugno 2010 al 31 dicembre 2012 i crediti problematici si erano ridotti di quasi il 25%;
c) nel biennio 30 giugno 2010 – 30 giugno 2012 l’esposizione verso i gruppi C. e G. si era ridotta del 20%
d) il Collegio sindacale aveva tenuto i seguenti comportamenti proattivi per limitare i poteri dell’amministratore delegato D.:
1) con delibera del 14.3.2011 il Collegio sindacale aveva formulato la proposta (poi approvata dal CdA) di limitare i poteri dell’amministratore delegato;
2) con delibera del 18.10.2012 il Collegio sindacale aveva disposto la rilevazione delle operazioni in potenziale conflitto di interessi;
3) il Collegio sindacale aveva richiesto due pareri legali sul conflitto di interessi dell’amministratore delegato;
4) il Collegio sindacale aveva richiesto report periodici all’amministratore delegato;
5) il Collegio sindacale aveva richiesto approfondimenti su una operazione immobiliare poi non conclusa;
6) il Collegio sindacale aveva adottato una iniziativa volte a chiedere l’autorizzazione della capogruppo nella deliberazione dei prestiti maggiori di € 5.000.000
7) il Collegio sindacale aveva adottato una iniziativa volta alla costituzione di una unità di crisi;
8) le relazioni della società di revisione non registravano criticità.
Il complesso dei suddetti fatti, della cui deduzione in sede di merito si dà puntualmente conto in ricorso (dove si fa specifico riferimento alle risultanze della perizia di parte D. ed ai fatti esposti nella memoria difensiva del 15.11.2016, nonché ai documenti che li comproverebbero, allegati nel fascicolo di merito e riprodotti, per autosufficienza, nel fascicolo per la Cassazione) avrebbe dovuto formare oggetto di esame da parte della corte territoriale, che avrebbe dovuto verificarne la dimostrazione e la concludenza, valutandone le ricadute in punto di responsabilita dell’opponente. Il silenzio della sentenza su tali emergenze processuali, integra il denunciato vizio di omesso esame di fatto decisivo.
Va infine rigettato il quarto motivo di ricorso, con cui si contesta la violazione delle norme sulla ripartizione dei compiti tra collegio sindacale e società di revisione e si assume che la corte territoriale avrebbe trascurato che compete a quest’ultima, ai sensi dell’articolo 19 d.lgs. n. 39/2010, la regolare tenuta della contabilità sociale e la rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili.
La sentenza impugnata si colloca infatti, correttamente, nel solco della giurisprudenza di questa Corte alla cui stregua, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società di investimenti non può comportare l’esclusione od anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functionem, gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare a garanzia degli investitori – e, dall’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d’Italia ed alla Consob (Cass. 6037/2016).
Passando all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo la Banca d’Italia censura la statuizione dell’impugnata sentenza – sulla cui base è stata dimezzata la sanzione irrogata all’opponente per l’illecito sopra indicato sub a) – secondo cui la responsabilità dell’opponente non si estenderebbe al deterioramento dei crediti erogati prima della assunzione, da parte del medesimo, della carica di sindaco.
Il motivo, contrariamente a quanto argomentato nel controricorso a ricorso incidentale del dott. D.P., è ammissibile, perché la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le censure ivi ” cumulativamente prospettate (cfr. SSUU n. 9100/2015), le quali risultano argomentate in termini sufficientemente specifici.
Il motivo è altresì fondato, perché, come questa Corte ha già chiarito nella sentenza n. 18770/2019, non è sufficiente ad esonerare i sindaci della società da responsabilità, in presenza di una illecita condotta gestoria posta in essere dagli amministratori, la dedotta circostanza di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, qualora i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori. Ha dunque errato la corte di appello nell’escludere la responsabilità del dott. D.P. per il deterioramento dei crediti erogati prima che egli entrasse in carica senza esaminare come il Collegio sindacale abbia adempiuto ai propri doveri di vigilanza sulla funzionalità degli apparati di controllo interno e sulla correttezza dell’attività degli organi amministrativi in relazione al monitoraggio ed alla gestioni di tali crediti. Il dovere di vigilanza dei sindaci, infatti, non si limita al profilo della concessione di nuovi affidamenti ma investe anche il profilo della gestione delle posizioni creditorie in essere.
In definitiva vanno rigettati il primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso principale e vanno accolti il terzo motivo di tale ricorso e l’unico motivo del ricorso incidentale.
La senza gravata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che esaminerà i fatti di cui al terzo motivo del ricorso principale e si atterrà al principio di diritto richiamato in riferimento all’unico motivo di ricorso incidentale, provvedendo altresì alle regolazione delle spese del giudizio d cassazione .
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale; rigetta gli altri motivi del ricorso principale; cassa la sentenza gravata in relazione ai motivi accolti; rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma, anche per la regolazione delle spese del giudizio di cassazione.
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