CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 dicembre 2020, n. 28586
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza – Motivazione apparente
Rilevato che
l’Agenzia delle entrate, con avviso emesso ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. num. 600/1973, accertò nei confronti della S.R. s.r.l., maggiori ricavi non dichiarati, ai fini dell’ Ires, dell’Irap e dell’Iva dell’anno di imposta 2006. In particolare, si rilevò: l’indeducibilità dei compensi erogati agli amministratori e di provvigioni occasionali, ritenute non inerenti e non documentati, nonché uno scostamento dagli studi di settore e una notevole sproporzione tra il volume di affari dichiarato e l’utile conseguito che conduceva a rideterminare indirettamente i ricavi.
Il ricorso proposto dalla Società avverso l’atto impositivo veniva parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale la quale riteneva indeducibili i compensi degli amministratori e le provvigioni occasionali ma annullava l’accertamento per la ricostruzione dei ricavi effettuata con metodo analitico-induttivo.
La decisione, appellata dalla contribuente e dall’Agenzia delle Entrate, veniva riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.) la quale in accoglimento dell’appello della parte pubblica e rigettando quello della parte privata, confermava integralmente l’atto impositivo.
Per la cassazione della sentenza la Società ha proposto, affidandolo a quattro motivi, ricorso cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.
Il ricorso è stato fissato, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 – bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, in camera di consiglio in prossimità della quale la Società ha depositato memoria.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso la Società deduce la violazione e, o, falsa applicazione di legge perpetrata dalla C.T.R. laddove aveva riconosciuto la legittimità dell’accertamento analitico induttivo, pur nell’assoluta carenza dei presupposti fissati dall’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 54, secondo comma, del d.P.R. n. 633/1972.
2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ., l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla percentuale media 86% di restituzione di sapone base dalle quantità di materie prime utilizzate quale risultante dal verbale di contradittorio e utilizzata dall’Ufficio per determinare la percentuale di resa.
3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli articoli 112 c.p.c. e 36 d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod.proc.civ. In particolare, secondo la prospettazione difensiva, la sentenza impugnata sarebbe radicalmente nulla in quanto la C.T.R. avrebbe del tutto omesso, sia nello svolgimento del processo che nella motivazione, qualsiasi riferimento agli specifici motivi di impugnazione dell’atto impositivo svolti in primo grado (e accolti dal primo Giudice) e ribaditi in sede di controdeduzioni all’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, relativi: all’utilizzo da parte dell’Agenzia delle entrate di una percentuale media 86% di restituzione di sapone base dalle quantità di materie prime impiegate palesemente errata; all’utilizzo di una percentuale di ricarico errata in quanto calcolata su un costo del venduto che non teneva conto delle materie prime che la stessa Agenzia delle Entrate contestava essere state acquistate senza fatturazione; l’errata applicazione al maggior imponibile della aliquota IVA ordinaria del 20% invece della aliquota media del 10,99%, applicabile in virtù dell’effettuazione da parte della Società di cessioni all’esportazione e di operazioni intracomunitarie.
4. I motivi, rivolti al medesimo capo di sentenza, possono essere trattati congiuntamente con l’esame da primo, per priorità logico giuridica delle questioni ivi sollevate, del terzo.
4.1. Il passo motivazionale, oggetto di censura, così recita: relativamente ai maggiori ricavi, l’Ufficio effettua un’analisi puntigliosa, che partendo dalla quantità di materia prima acquistata e degli altri fattori, calcola la presunta produzione e, dal costo del venduto aumentato di una percentuale di ricarico, trova il prezzo di vendita ed il ricavo complessivo. Tecnicamente il calcolo dell’Ufficio è corretto e le incongruenze rilevate dal contribuente non appaiono verificate.
4.2 Trattasi, all’evidenza, di motivazione meramente apparente che non tiene conto, ovvero omette di fornire motivazione alcuna, delle specifiche eccezioni che la contribuente aveva avanzato in primo grado e ribadito in appello in ordine all’erroneità sotto diversi profili (ivi compresa l’aliquota IVA applicata) della ricostruzione operata dall’Agenzia delle entrate nella rideterminazione dei ricavi e quindi, in definitiva, della stessa misura dello scostamento rispetto alle risultanze dello studio di settore, fondante l’accertamento analitico-induttivo.
4.3. Ne consegue l’accoglimento del mezzo e l’assorbimento, non solo del secondo motivo, con il quale si era dedotto l’omesso esame di un fatto, ma anche del primo presupponente un diverso accertamento, nella specie del tutto omesso.
5 Con il quarto motivo, infine, si deduce la violazione e, o falsa applicazione, degli articoli 95, 109 e 163 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 cod.proc.civ., laddove la C.T.R. aveva confermato il rilievo attinente alla indeducibilità dei compensi degli amministratori perché, anche se fatturati, non erano giustificati dalle delibere assembleari e dal consiglio di amministrazione.
5.1. Tale censura è infondata alla luce dei principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 21933 del 2008 (ribaditi dalla Sezione quinta con sentenza n. 20265 del 04/09/2013) secondo cui <<Qualora la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389, primo comma cod. civ., non sia stabilita nell’atto costitutivo, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, atteso: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea (art. 2630, secondo comma cod. civ., abrogato dall’art. 1 del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61); la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 cod. civ); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 cod. civ.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, cod. civ.). Conseguentemente, l’approvazione in sé del bilancio, pur se contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori, non è idonea ai predetti fini, salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori>>.
6. In conclusione, in accoglimento del solo terzo motivo, assorbito il primo e il secondo, rigettato il quarto, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti del motivo accolto, con rinvio alla C.T.R. della Lombardia la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e regolerà le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo del ricorso, assorbiti il primo e il secondo. Rigetta il quarto motivo.
Cassa la sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
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