CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 dicembre 2020, n. 28621
Nullità del contratto di lavoro a tempo determinato – Mancata indicazione delle ragioni di carattere tecnico, organizzativo o produttivo – Indennità risarcitoria – Determinazione
Rilevato che
Il Tribunale di T. accoglieva parzialmente la domanda presentata da P.L. nei confronti della T.F. s.r.l. Unipersonale, dichiarando la nullità del contratto di lavoro a tempo determinato sottoscritto dalle parti il 1.6.11, della durata di un mese, poi prorogato sino al 31.7.11, stante la mancata indicazione delle ragioni di carattere tecnico, organizzativo o produttivo di cui all’art. 1 d.lgs n. 38/01; per l’effetto condannava la società al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 32 L. n. 183/10, nella misura di 2,5 mensilità; rigettava invece la domanda diretta ad accertare l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ritenendola preclusa dall’art. 36 del d.lgs n. 165/01.
Avverso tale sentenza proponeva appello la L.; resisteva la società.
Con sentenza depositata il 26.4.17, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia impugnata, dichiarava sussistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal 31.7.11, condannando la società alla refusione delle spese del doppio grado.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società T. illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c.
Considerato che
1 – Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 n.4 c.p.c. per non aver esaminato e motivato la conferma della declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro de quo.
Il motivo è infondato.
Deve infatti evidenziarsi che la sentenza di prime cure venne impugnata solo dalla L. mentre la società si limitò a chiedere il rigetto della domanda, sicché la Corte capitolina non aveva alcun obbligo di statuire in ordine alla illegittimità del termine apposto al contratto, già dichiarata dal Tribunale con statuizione sul punto passata in giudicato.
2 – Con secondo motivo la società denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs n. 165/01 relativamente alla disposta conversione del rapporto, trattandosi di società a capitale interamente pubblico mentre la sentenza impugnata aveva ritenuto che le società a capitale pubblico non fossero di per sé escluse dall’applicazione del regime privatistico in materia di rapporti di lavoro, ed in particolare, per quanto qui interessa, la società odierna ricorrente (Cons. Stato n. 570/13).
Il motivo è fondato.
Deve infatti osservarsi che se, in tema di società partecipate, il capitale pubblico non muta, in via di principio, la natura di soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, ciò avviene salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. Cass. S.U. n. 24591/2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759/2017); nella specie la disposizione di segno contrario, come posto in evidenza da Cass. n. 3621/2018 e Cass. n. 3662/19, intervenuta in materia di società “in house”, è rappresentata dall’art. 18 del D.L. n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008 che, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 102/2009 di conversione del D.L. n. 78/2009, al comma 1 estende alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dall’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, ed al comma 2 prescrive alle «altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo» di adottare «con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità», prevedendo, inoltre, al comma 2 bis che « le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/01, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale ne’ commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311; la violazione di tali disposizioni, di carattere imperativo, comporta che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali previste dal c. 1 e di quelle selettive, richiamate nel c. 2, impedisce la conversione dei rapporti dedotti in giudizio in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (Cass. n. 3621/2018, Cass. n. 21378/18).
Il secondo motivo di ricorso va pertanto accolto perché risulta per tabulas che il primo dei contratti di lavoro dedotti in giudizio fu stipulato successivamente all’operatività delle disposizioni contenute nell’art. 18 del richiamato D.L. n. 112 del 2008 (22.10.2008, sessanta giorni successivi all’entrata in vigore della legge di conversione), convertito con modificazioni dalla L. n. 133 del 2008.
In definitiva, rigettato il primo motivo, la sentenza impugnata deve cassarsi in relazione al secondo motivo accolto, con rinvio ad altro giudice in dispositivo indicato per l’ulteriore esame della controversia.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
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