CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 febbraio 2019, n. 4584
Tributi – ICI – Esenzione per abitazione principale – Prova della residenza abituale nell’immobile – Consumo non esiguo per energia e riscaldamento
Ritenuto che
in data 30.10.2012 il Comune di Mairago notificava a G.G. l’avviso di accertamento ICI avente ad oggetto l’imposta comunale sull’abitazione principale oltre ad interessi e sanzioni per l’anno 2010, provvedimento emesso in quanto l’immobile sito in Mairago di proprietà della G., da accertamenti assunti dal Comune, risultava carente del requisito di abitazione principale, necessario per l’ottenimento dei vantaggi fiscali relativi all’ICI secondo l’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Proposto ricorso avverso detto avviso di accertamento ICI, con sentenza in data 19.10.2012 la CTP di Lodi rigettava il gravame ritenendo che l’interessata non avesse fornito la prova di avere diritto alla applicata riduzione. La contribuente proponeva appello avverso detta pronuncia deducendo il difetto di motivazione degli atti impugnati nonché la violazione del d.lgs. n. 504 del 1992 e dell’art. 97 Cost., posto che detti atti erano stati emessi prima della conclusione del procedimento avviato dal Comune per la cancellazione dalle liste anagrafiche.
La CTR della Lombardia con sentenza in data 28.4.2014 accoglieva l’appello ritenendo che, poiché la contribuente svolgeva l’attività di agente di commercio, avrebbe potuto non essere presente in alcuni giorni della settimana o del mese aggiungendo che, quanto alle spese, “dalla documentazione esibita al Comune., negli anni 2010 e 2011 sono stati sostenuti costi per energia e riscaldamento non certo di esiguo importo anche in considerazione dell’utilizzo dell’abitazione da parte della contribuente”.
Avverso detta pronuncia il Comune di Mairago proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi cui resisteva con controricorso la contribuente.
Parte ricorrente depositava memoria ex art. 378 c.p.c.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.). Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Violazione o falsa applicazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992” parte ricorrente deduceva che l’ordinamento non prevede quale presupposto per l’ottenimento dell’agevolazione fiscale l’iscrizione del contribuente nel registro anagrafico comunale di talché appare inconferente la motivazione in diritto della sentenza impugnata; inoltre oggetto del contenzioso è l’avviso di accertamento n. 27 del 29 giugno 2012 e non già il provvedimento di cancellazione del contribuente dalle liste anagrafiche comunali.
2. Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)- Violazione art. IlI Cost., dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 62 del d.lgs. n. 546 del 1992 per omessa motivazione” parte ricorrente deduceva che la motivazione della sentenza impugnata era apparente in quanto non esprimeva alcuna considerazione logica o valutazione fattuale.
3. Con il terzo motivo di ricorso rubricato “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.)” parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata ha omesso di considerare gli elementi in fatto decisivi fatti oggetto di discussione tra le parti non esponendo alcun elemento per cui i consumi sono stati ritenuti “non esigui”.
Il primo motivo è infondato.
Ed infatti, anche se presupposto dell’agevolazione Ici risiede nell’adibire l’immobile ad abitazione principale ed è diverso da quello considerato nel procedimento amministrativo per cancellazione dalle liste anagrafiche, tuttavia l’accoglimento del motivo non ha carattere di decisività in quanto la sentenza è basata su una duplice ratio e, dunque, anche su quella basata sul consumo non esiguo di importi per utenze che costituisce elemento rilevante al fine della prova della residenza abituale nell’immobile.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto si traducono in censure sul merito della decisione impugnata non consentite in sede di legittimità.
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
La regolamentazione delle spese di lite segue la soccombenza.
Ricorrono le condizioni per l’applicazione al ricorrente dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella misura di Euro 300,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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