CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 febbraio 2022, n. 4991
Licenziamento – Società cooperativa – Principio mutualistico – Richiesta di tutela risarcitoria avanzata ex lege n. 604
Rilevato che
con sentenza in data 21 gennaio 2019, la Corte d’Appello di Lecce ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato inammissibile la domanda avanzata da L. V. nei confronti della Soc. Coop. N. R. a.r.l., volta ad ottenere la declaratoria di nullità ovvero l’annullamento del licenziamento intimatole in data 8 gennaio 2016;
in particolare, la Corte, oltre a ritenere legittimo l’utilizzo di uno stesso atto per fa cessare sia il rapporto di lavoro sia quello sociale e a reputare inconferente il rilievo circa l’utilizzazione da parte della società cooperativa di lavoratori privi della qualità di associati – ciò che, secondo l’appellante, avrebbe fatto venir meno il rispetto del principio mutualistico – ha ritenuto fondata la censura circa l’omesso sindacato in ordine alla richiesta di tutela risarcitoria avanzata ex lege n. 604 del 1966, escludendo, tuttavia, nel merito, sulla base dell’esame delle dichiarazioni rese da 88 dipendenti, che potesse reputarsi sussistente l’espletamento di attività lavorativa da parte della V. alle dipendenze della società;
per la cassazione della pronuncia propone ricorso L. V., affidandolo a cinque motivi;
resiste, con controricorso, assistito da memoria, la società Cooperativa N.R. a r.l.; il pubblico ministero ha rassegnato conclusioni scritte.
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non aver la Corte pronunziato sulla questione della tardività del licenziamento;
con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 2700 cod. civ. e dell’art. 5 legge n. 604 del 1966 per aver la Corte erroneamente fondato l’accertamento della giustificazione del licenziamento su un verbale ispettivo dell’INPS che non riporta fatti percepiti direttamente dal verbalizzante ma solo dichiarazioni di terzi;
con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 comma 2 n. 4 cod. proc. civ., per aver fondato l’accertamento della giustificazione del licenziamento su dichiarazioni rese in altro giudizio;
con il quarto motivo si censura la decisione impugnata ai sensi degli artt. 24 e 111 Cost. nonché 2721 cod. civ. e 244 e segg. cod. proc. civ. nonché 5 l. n. 604 del 1966 per non essere stata ammessa la prova circa lo svolgimento di attività lavorativa; con il quinto motivo si deduce violazione dell’art. 2 L. 142 del 2001, 3 comma 2 e 35 Cost. per aver la Corte territoriale affermato che il licenziamento del dipendente di una cooperativa è sanzionato esclusivamente con l’indennità di cui all’art. 8 L. n. 604 del 1966;
tutti i motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico — sistematiche, non possono trovare accoglimento;
giova evidenziare, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 112, che, nel giudizio di legittimità, deve essere tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne abbia data il giudice di merito: nel primo caso, infatti, si verte in tema di violazione dell’art. 112 cpc e si pone un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta; nel secondo, invece, poiché l’interpretazione della domanda e la individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento dei fatti riservato, come tale, al giudice di merito e, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (fra le altre, Cass. 7.7.2006 n. 15603; Cass. 18.5.2012 n. 7932; Cass. 21.12.2017 n. 30684);
in particolare, poi, con riguardo alla dedotta omessa pronuncia, occorre evidenziare che il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni prospettazione od allegazione, risultando sufficiente che egli esponga in misura concisa gli elementi di fatto e di diritto su cui la decisione si fonda dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti che, seppur non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata o con “l’itel” argomentativo seguito; ne consegue che il vizio di omessa pronuncia, configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto — non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere ne comporti il rigetto (fra le tante, Cass. n. 24953 del 2020; Cass. n. 2830 del 2021); va poi rilevato che, secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite, per la violazione delle disposizioni che presiedono all’ammissione delle prove, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione delle relative norme, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr., SU n. 20867 del 20/09/2020), ed inoltre anche una violazione delle disposizioni concernenti le prove non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960);
deve, poi, rammentarsi che il vizio di motivazione di cui al’art. 132 comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 111 Cost. può ipotizzarsi esclusivamente là dove la decisione riveli una obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade essenzialmente qualora non sussista alcuna disamina logico — giuridica da cui si evinca il percorso argomentativo seguito (ex plurim4, Cass. n. 3819 del 2020);
quanto, infine alla violazione delle norme costituzionali, secondo quanto statuito dal Supremo Collegio (cfr., S.U. n. 25573 del 2020), la stessa non può essere prospettata direttamente con i motivi di ricorso per cassazione in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma considerata; orbene, appare evidente, dalla piana lettura del contenuto della decisione impugnata che tutte le domande formulate da parte ricorrente e le conseguenti censure avanzate nel presente giudizio di legittimità debbano ricondursi alla ritenuta insussistenza di una ipotesi di rapporto di lavoro subordinato fra la ricorrente e la Cooperativa;
in particolare, la Corte ha evidenziato come le informazioni assunte in sede ispettiva da ben 88 dipendenti ed ex dipendenti della Cooperativa inducessero ad escludere la qualifica di lavoratore subordinato in capo alla ricorrente: è emerso, infatti, dalle stesse la non configurabilità di una ipotesi di lavoro subordinato fra le V. e la società, essendo, anzi, stata negata con fermezza la stessa prestazione di qualsivoglia attività lavorativa per essere emersa, al più concedere, una conoscenza meramente fattuale connessa al vincolo familiare della V. con l’amministratore della società S.P.;
in particolare, la Corte ha sottolineato che, in assenza di conferme circa l’espletamento di attività lavorativa, nonché di iscrizione negli appositi registri che ciascuna struttura facente capo alla cooperativa medesima trasmetteva mensilmente alla stessa, soltanto quattro – già cessati dal lavoro – degli ottantotto dipendenti ascoltati, hanno riferito di aver visto la V. presso gli uffici amministrativi della società senza, tuttavia, saper riferire nulla circa le reali mansioni dalla stessa svolte, riferendo di una presenza saltuaria e non riconducibile ad orario di lavoro definito;
la Corte territoriale ha poi richiamato le dichiarazioni di analogo tenore rese innanzi al giudice investito dell’opposizione proposta dalla società al decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto dalla V. per titoli connessi al rapporto) di lavoro subordinato, giudizio) conclusosi con la revoca del decreto opposto e la condanna della opposta al pagamento delle spese;
orbene, ritiene il Collegio che tale motivazione in base alla quale la Corte ha ritenuto insussistente qualsivoglia rapporto di lavoro fra la ricorrente e la società debba reputarsi congrua sotto il profilo motivazionale in quanto assente da vizi logici e, pertanto, incensurabile in sede di legittimità;
in particolare, la Corte, sulla base del proprio libero convincimento ha escluso, in considerazione degli elementi probatori acquisiti, la stessa configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra la V. e la società cooperativa né, in considerazione del convincimento raggiunto, può censurarsi in questa sede la questione afferente la mancata acquisizione di ulteriori elementi probatori; deve, quindi, concludersi che parte ricorrente, nel formulare le proprie censure mediante ricorso per cassazione, non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso) esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 14476 del 2021);
alla luce delle suesposte argomentazioni, pertanto, il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo; sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 —bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 4000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 —bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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