CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 gennaio 2019, n. 769
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Contraddittorio in fase amministrativa – Giustificazioni del contribuente – Mancanza di prove documentali a supporto della difesa – Convalida studi di settore
Rilevato che
l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Basilicata aveva accolto l’appello di A. Di N. avverso la sentenza n. 249/3/2010 della Commissione Tributaria Provinciale di Potenza, che aveva respinto il ricorso proposti dalla medesima avverso avviso di accertamento con applicazione di maggiori imposte IRPEF IVA IRAP per l’anno 2004;
l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi;
con il primo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., <<violazione e falsa applicazione degli artt. 62 bis e 62 sexies del D.L. 30 agosto 1993 n. 331, convertito con modificazioni dalla legge n. 427 del 29 ottobre 1993>>;
con il secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., <<violazione e falsa applicazione dell’art. 39 DPR n. 600/73 e 2697 c.c.>>;
la contribuente indicata in epigrafe si è costituita deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso
Considerato che
1.1. il ricorso è fondato sulla base delle considerazioni che seguono;
1.2. secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabiIità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente;
1.3. l’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte;
1.4. in tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (cfr. Cass., Sez. U, n. 26635/2009);
1.5. nel caso di specie la sentenza impugnata contiene affermazioni in contrasto con tali principi;
1.6. pacifico essendo in causa che il contraddittorio sia stato attivato, i giudici d’appello non hanno ritenuto idonee le risultanze degli studi di settore a fondare l’accertamento affermando, in merito alla prova da parte della contribuente di circostanze in grado di giustificare il minor reddito dichiarato, che <<la ricostruzione della realtà reddituale della attività di estetista dalla stessa esercitata in una zona estremamente periferica di Potenza, in un locale di 50 mq., compreso il deposito e sala d’attesa, e con prezzi al 50% rispetto al normale può in effetti andare incontro a elementi potenzialmente negativi>>;
1.7. al riguardo, giova notare che la mancanza di prove documentali atte a supportare le difese del contribuente è, a ben vedere, incontestata, risolvendosi la tesi difensiva della contribuente nell’assunto che, ad escludere la rilevanza degli studi di settore ai fini detti, basterebbe in realtà solo dedurre elementi probatori di qualsiasi specie;
1.8. a paralizzare l’utilizzabilità degli studi di settore, non è sufficiente tuttavia la sola allegazione, ossia la sola asserzione dell’esistenza di circostanze idonee in astratto a contrastare la presunzione di maggior reddito, con conseguente onere sull’amministrazione di giustificare l’affermazione contraria, in quanto tale assunto risponde ad una lettura erronea delle norme, difforme da quella riassunta nel principio sopra ricordato;
1.9. si ricava infatti dal surricordato principio la chiara affermazione che, nel riparto degli oneri, al contribuente è assegnato quello non solo di allegare ma anche di provare – ancorché senza limitazioni di mezzi e di contenuto – la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore incombe l’onere della dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (cfr. ex multis Cass. n. 3415/2015);
1.10. parlando di elementi, anche presuntivi, su cui fondare (da parte del contribuente) la contestazione dei risultati dell’applicazione degli studi di settore e (da parte del giudice) la valutazione della fondatezza dell’accertamento in quanto fondato su detti studi, si intende comunque far riferimento a una qualche informazione ricavabile comunque da una fonte di prova acquisita al processo con qualsiasi mezzo, non già dalla mera asserzione della parte: laddove per fonte di prova si intendono le persone, gli enti, le cose che forniscono la detta informazione e per mezzo lo strumento con il quale essa è acquisita; con l’aggettivo presuntivo si intende poi semplicemente richiamare il criterio logico razionale, di tipo inferenziale, che consente di giungere dal risultato probatorio proprio di quella informazione, una volta vagliata la credibilità della fonte e la sua stessa attendibilità, al diverso fatto da provare (esistenza di condizioni economiche legate alla specifica attività considerata che ne giustificano l’allontanamento dal modello tenuto presente dagli studi di settore);
1.11. ammettere dunque il contribuente a offrire – in sede di contraddittorio e/o nel giudizio – elementi, anche presuntivi, idonei a contrastare l’opposta presunzione fondata sugli studi di settore «senza limitazione di mezzi e contenuto» significa soltanto che non vi sono regole di esclusione che possano ostare alla acquisizione al processo di una data informazione rilevante ai detti fini (salvo quelle che derivano dal principio del contraddittorio e della norme processuali generali o proprie del processo tributario), ma non significa certo che veicolo per tale acquisizione possa essere – nel processo civile come nel processo tributario – direttamente e soltanto l’asserzione della parte stessa che ad essa abbia interesse;
1.12. discende dalle considerazioni che precedono la fondatezza dei due motivi di ricorso proposti dall’Ufficio finanziario, da esaminare congiuntamente, con cui si lamenta che la CTR, con errata inversione dell’onere della prova, abbia ritenuto inattendibile lo studio di settore pur non avendo la contribuente giustificato in base a prove documentali o comunque <<ad elementi certi ed idonei>> lo scostamento reddituale, e pur avendo, al contrario, l’Ufficio supportato l’accertamento in base a plurimi elementi relativi all’antieconomicità nella gestione imprenditoriale;
1.13. la sentenza impugnata si basa, invero, sul presupposto erroneo che spettasse all’amministrazione indicare e dimostrare fatti specifici idonei a confermare l’attendibilità del metodo presuntivo, onere invece predicabile solo ove non sia stato instaurato il contraddittorio ovvero quando, attivato quest’ultimo, il contribuente abbia offerto elementi sia pure presuntivi in grado di giustificare lo scostamento, atteso che, in caso contrario, ove cioè, come nella specie, il contraddittorio sia stato attivato e il contribuente si sia limitato a mera attività assertiva, senza addurre elementi concreti in grado di supportarla, a fondare l’accertamento ben può bastare, di per sé, l’applicazione dello studio di settore;
2. la sentenza impugnata, nei limiti di cui in motivazione, deve essere cassata, in relazione ad entrambi i motivi e la controversia, non potendo essere decisa nel merito, va rinviata alla CTR competente, in diversa composizione, la quale procederà a nuovo esame della controversia, uniformandosi ai principi espressi, oltre a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese processuali del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, in diversa composizione.
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