CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2018, n. 15875

Tributi – Imposte sui redditi – Accertamenti bancari – Società di capitali – Estensione ai conti formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali

Fatti di causa

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, (hinc: CTR), indicata in epigrafe che – in controversia avente a oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento, emesso nei confronti S. Srl, con sede legale in Acireale, notificato anche a S.S., in qualità di legale rappresentante della società, per l’anno 1996, che determinava maggiori ricavi (per lire 8.893.682.000), e quindi maggiori IRPEG e ILOR – confermava l’annullamento dell’atto impositivo.

Il giudice d’appello, dopo la premessa che l’accertamento è stato compiuto ai sensi dell’art. 32, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ha ritenuto infondata la pretesa dell’Ufficio in quanto: a) l’attività di controllo (svoltasi in due distinte fasi, nel 2000 e nel 2001) è stata generica perché non è stato compiuto alcun riscontro, nella contabilità, tra gli importi rilevati e quelli contabilizzati; b) non è stato mosso alcun rilievo alla società verificata in merito alla tenuta della contabilità ordinaria; c) la documentazione riguardante i conti correnti bancari consentiva di evincere l’estraneità alla società delle operazioni sul conto corrente intestato a P.S., «soggetto estraneo al contribuente»; d) l’Ufficio non ha dato prova dell’intestazione fittizia dei conti correnti a quest’ultimo, che neppure era socio della S. Srl; e) l’Amministrazione finanziaria si è avvalsa della presunzione legale derivante dall’utilizzazione dei dati bancari, senza però dimostrare, in giudizio, che i: «contestati movimenti di conto corrente siano in effetti attribuibili alla Società verificata» (cfr. pag. 5 della sentenza).

La S. Srl, in liquidazione, è rimasta intimata, mentre si è costituito, in proprio, S.S., il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, per essere la società estinta, e il proprio difetto di legittimazione passiva e, per il resto, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

0. Preliminarmente occorre vagliare le eccezioni di S.S..

Gli atti processuali attestano che il ricorso per cassazione, oltre che alla società, è stato notificato anche allo S. in proprio; è ovvio che tale seconda notifica equivale a una mera denuntiatio litis, poiché la pretesa impositiva dell’Ufficio è diretta alla società e non al suo amministratore, sicché neppure si pone una questione di legittimazione passiva di quest’ultimo che, ovviamente, è soggetto autonomo e distinto rispetto all’ente commerciale di cui è stato amministratore (e perciò legale rappresentante).

D’altra parte, la sua doglianza circa l’estinzione della società è generica poiché il controricorrente neppure specifica quando sarebbe avvenuta la cancellazione dell’ente commerciale dal registro delle imprese.

Inoltre, contrariamente a quanto dedotto da S., manca in atti la visura camerale attestante la suddetta estinzione della S. Srl.

1. Primo motivo di ricorso: «Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.».

L’Ufficio lamenta che la CTR non abbia dato conto delle ragioni poste a base del proprio convincimento e si sia limitata a recepire, in modo acritico, le argomentazioni della società, senza considerare che quest’ultima non aveva fornito alcuna spiegazione sui movimenti dei conti bancari e, nel PVC della Guardia di finanza, si era giustificata asserendo di non avere reperito la documentazione necessaria.

In tal modo, secondo la prospettazione difensiva, la sentenza impugnata non ha tenuto conto che l’ordinamento tributario, con una presunzione legale, pone in relazione gli accrediti e gli addebiti sui conti correnti bancari con il reddito imponibile dell’impresa, salva la dettagliata prova del contrario, da parte del contribuente, consentita anche in sede contenziosa.

Sostiene, infine, la legittimità dell’estensione dell’indagine a P.S., quale soggetto «terzo», ossia non direttamente interessato all’attività di controllo, in quanto questi – padre di S.S., amministratore e socio, insieme con il coniuge Angela Caltabiano, dell’ente commerciale verificato – durante l’accertamento fiscale si era qualificato come preposto, delegato dall’amministratore a parteciparvi.

2. Secondo motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2 del DPR 29 settembre 1973, n. 600 – Art. 630, comma 1, n. 3 c.p.c.».

L’Ufficio si duole che la sentenza impugnata non abbia fatto corretta applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, d.P.R. n. 600/1973, laddove ha escluso la legittimità dell’estensione dell’indagine bancaria a P.S. sebbene, nel corso della verifica fiscale, fossero emersi i suoi forti legami con la società.

3. I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati.

Il nucleo logico del processo decisionale della CTR, come suaccennato, consiste in ciò, che viene escluso che l’Ufficio abbia fornito la prova che le operazioni eseguite da P.S. sui propri conti correnti fossero riferibili alla S. Srl.

Tale asserzione, in sé generica e apodittica, si pone in contrasto con il precetto dell’art. 32 cit. e, inoltre, tradisce un’incolmabile lacuna dell’appartato argomentativo della sentenza impugnata.

È il caso di richiamare il consolidato orientamento della Corte, secondo cui: «In sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 37, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie di conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati. Ne consegue in ordine alla distribuzione dell’onere probatorio che una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti intestati alle persone fisiche con essa collegate, l’Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma al contrario la corretta interpretazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/73 impone alla società contribuente di dimostrare l’estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa» (ex multis, Cass. 22/04/2016, n. 8112; 2/07/2013, n. 16575; 24/09/2010, n. 20199; 12/09/2003, n. 13391).

Il giudice d’appello, oltre a non interpretare correttamente il meccanismo probatorio desumibile dall’art. 32 cit., è incorso nel vizio motivazionale denunciato dall’Amministrazione finanziaria in quanto, con espressioni generiche e persino contraddittorie, ha prima negato che l’Ufficio abbia fornito la prova dell’intestazione fittizia, a P.S., dei conti riferibili, in realtà, alla società, ed è poi pervenuta alla conclusione che dalla documentazione bancaria sarebbe desumibile l’estraneità dell’ente alle operazioni intestate allo S..

Osserva la Corte che, diversamente da quanto statuito dalla CTR, l’Ufficio aveva assolto all’onere di provare, per presunzioni, la riferibilità alla società dei conti intestati allo S., per lo stretto vincolo intercorrente tra quest’ultimo e l’ente commerciale, confermato da alcuni puntuali e convergenti elementi di fatto, sottoposti dall’Agenzia delle entrate alla cognizione del giudice d’appello – che, come suaccennato, nel tracciare lo sviluppo argomentativo della decisione, non li ha adeguatamente apprezzati, ossia: P.S., padre di S.S., amministratore S. SRL, società a stretta base familiare (soci dell’ente erano lo stesso S.S. e la moglie del medesimo), era il preposto della società, non svolgeva altra attività lavorativa e si occupava, in prima persona, della gestione dell’impresa (con specifico riferimento agli acquisti e alle vendite), oltre ad avere il potere di firma sui conti correnti intestati alla società e oltre a partecipare alla verifica fiscale come persona a ciò delegata dal figlio, in qualità di amministratore.

Orbene, a fronte di un simile quadro indiziario, idoneo a dimostrare, sia pure indirettamente, con un ragionamento presuntivo, la riferibilità alla società dei conti (formalmente intestati a P.S.) sui quali erano avvenute le operazioni sospette, la società – che, nel rispetto della distribuzione dell’onere della prova desumibile dall’art. 32 cit., avrebbe dovuto dimostrare l’estraneità, alla propria attività d’impresa, delle movimentazioni dei conti correnti intestati al proprio preposto – non ha fornito giustificazione, secondo quanto documentato dal PVC della Guardia di finanza.

Sicché il giudice d’appello, dopo avere presuntivamente collegato i conti alla società, avrebbe dovuto fare applicazione del meccanismo probatorio in virtù del quale i prelevamenti e i versamenti su conti correnti utilizzati per il compimento di operazioni riferibili alla società contribuente si presumono (con presunzione legale) inerenti a ricavi non contabilizzati, qualora la stessa contribuente non dimostri di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito o che essi non riguardano l’attività d’impresa.

4. All’accoglimento di entrambe le censure consegue la cassazione della sentenze e il rinvio alla CTR, in diversa composizione, per il riesame della controversia, nel rispetto dei principi di diritto appena enunciati, e anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata;

rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.