CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2018, n. 15876
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Notificazione – Recuperi fiscali – Maggior reddito
Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle entrate notificava ad A.E.I. un avviso di accertamento con la rettifica del suo reddito per l’anno 1999, ai fini Irpef ed addizionale, tenendo conto che vi era stata una segnalazione della Agenzia delle entrate ai sensi dell’art. 41 bis d.p.r. 600 del 1973, in quanto era stato in precedenza emesso un avviso di accertamento nei confronti della società A. s.r.I., a “ristretta base azionaria”, con l’imputazione al socio dei maggiori ricavi accertati nei confronti della società, sulla base della quota di partecipazione del 30%.
2. Avverso tale avviso proponeva ricorso il contribuente rilevando che vi era carenza assoluta di motivazione dell’avviso di accertamento, non essendo sufficiente a tale fine il richiamo ad una segnalazione ed all’avviso emesso nei confronti della società, senza la allegazione, appunto, di quest’ultimo, che era solo apparente la motivazione in ordine a “recuperi fiscali” uguali ai “maggiori utili distribuiti”, non essendovi stata prova alcuna sulla “trasformazione monetaria” dei presunti redditi societari in utili monetari in capo ai soci, che era carente la motivazione dell’atto in ordine alla presunta percezione di redditi da parte del ricorrente, dovendo l’Agenzia adempiere a tale onere della prova, che non era dimostrata la sussistenza della ristretta base azionaria, che vi era stata violazione del divieto della doppia imposizione, che non si potevano imputare automaticamente ai soci i redditi della società, salvo il caso delle società di persone, che non era definitivo l’accertamento nei confronti della società.
2. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, in quanto l’Agenzia delle entrate non aveva fornito la prova di avere allegato all’avviso nei confronti del socio l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società.
3. Proponeva appello l’Agenzia delle entrate.
4. Resisteva con controdeduzioni il socio evidenziando tutte le doglianze già oggetto del ricorso di primo grado e quindi:la carenza assoluta di motivazione e la nullità dell’avviso di accertamento, la motivazione apparente conseguente all’assunto recuperi fiscali equivalenti a maggiori utili distribuiti, la carenza di motivazione e prova in ordine alla presunta percezione di redditi da parte del ricorrente, l’assenza dei presupposti della ristretta base azionaria, per una società con capitale sociale di € 775.000,00 e con collegio sindacale ed un ordinario revisore dei conti, la violazione del divieto della doppia imposizione, l’impossibilità di imputazione automatica del reddito, la definitività dell’accertamento all’A..
5. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate in quanto l’accertamento emesso nei confronti della società era stato impugnato dalla stessa in persona del suo legale rappresentante , I.A.E., sicchè il contenuto dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società era conosciuto dal contribuente.
6. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il socio.
7. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione dell’art. 112 c.p.c (sotto il profilo dell’infrapetizione), in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.”, in quanto la Commissione regionale dopo aver ritenuto l’avviso di accertamento nei confronti del socio legittimo sotto il profilo formale, in quanto il socio conosceva il contenuto dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, non ha poi deciso sulle questioni, che facevano già parte del giudizio sin dal ricorso introduttivo e che sono state singolarmente riproposte in sede di controdeduzioni in appello da contribuente, sì da non potersi ritenere rinunciate ai sensi dell’art. 346 c.p.c..
1. Tale motivo è fondato.
Invero, il socio, sin dal ricorso introduttivo, ha chiesto espressamente l’annullamento dell’avviso di accertamento a lui notificato quale socio, oltre che per la nullità della motivazione per relationem, non essendo stato allegato l’avviso emesso nei confronti della società, anche perchè non era possibile estendere automaticamente al socio il maggior reddito imponibile accertato in capo alla società, mancava la prova della presunta percezione dei maggiori redditi da parte sua, non vi erano i presupposti della sussistenza di una società a ristretta partecipazione societaria, vi era stata violazione del divieto della doppia imposizione, non era ancora divenuto definitivo l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società.
La Commissione regionale, invece, dopo aver accolto l’appello della Agenzia delle entrate in ordine alla validità dell’avviso di accertamento perchè sorretto da motivazione adeguata, in relazione alla conoscenza dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, da lui impugnato quale legale rappresentante della stessa, ha omesso però di pronunciare su tutte le altre doglianze proposte dal socio sia nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado sia nelle controdeduzione nel giudizio di appello.
Sussiste, quindi, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su tutte le questioni diverse dal vizio di motivazione dell’avviso di accertamento.
2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione degli art. 102 c.p.c. , 14 e 59, comma 1, lettera b, d.lgs. 546/92, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.”, sussistendo una ipotesi di litisconsorzio necessario tra la società ed i soci, in quanto nelle società a ristretta partecipazione si verifica la medesima situazione che connota la società di persone, ossia l’unicità dei fatti in contestazione sia nel processo relativo alla società sia in quello relativo ai soci.
2.1. Tale motivo è infondato.
Invero, per la Suprema Corte nel giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di socio di società di capitali, avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati a carico della società partecipata, non sussiste litisconsorzio necessario con la società (Cass.Civ., 29 agosto 2017, n. 20507).
3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.”, sicchè, seppure “in via meramente subordinata”, si evidenzia che la Commissione regionale avrebbe dovuto sospendere il processo promosso dal socio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio promosso dalla società avverso l’avviso di accertamento di maggiore imponibile in capo alla stessa.
3.1.Tale motivo è fondato.
Anzitutto, si rileva che, ai sensi dell’art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992 nella formulazione anteriore al d.lgs. n. 156 del 2015, applicabile “ratione temporis”, nel processo tributario non opera la sospensione ex art. 337 c.p.c., sicché il giudizio pregiudicato, in caso di decisione non ancora passata in giudicato della causa pregiudiziale, è suscettibile di sospensione ex art. 295 c.p.c., restando ammissibile, avverso la relativa ordinanza, regolamento di competenza ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 42 c.p.c. (Cass. Civ., 1 giugno 2016, n. 11441).
Quanto al merito della doglianza si evidenzia che, in tema di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, l’accertamento relativo agli utili extracontabili della società, anche se non definitivo, è presupposto dell’accertamento presuntivo nei riguardi del singolo socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali, sicché l’impugnazione dell’accertamento “pregiudicante” costituisce, fino al passaggio in giudicato della pronuncia che lo riguarda, condizione sospensiva, ex art. 295 c.p.c., ai fini della decisione della lite sull’accertamento “pregiudicato” relativo al singolo socio, la cui esistenza e persistenza grava sul contribuente che la invochi sotto forma di allegazione e prova del processo scaturente dall’impugnazione del provvedimento impositivo (Cass.Civ., 7 marzo 2016, n. 4485).
La sospensione necessaria del processo, di cui all’art. 295 c.p.c., è applicabile anche al processo tributario, qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità, tale che la definizione dell’uno costituisca indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati (la S.C., con pronuncia n. 21765 del 20 settembre 2017 ha cassato con rinvio la decisione della Commissione tributaria regionale che non aveva disposto la sospensione del processo relativo all’avviso di accertamento avente ad oggetto il recupero del maggior reddito in attesa della definzione del giudizio afferente la rettifica delle perdite, da ritenere pregiudicante).
Nella specie, il socio ha fornito la prova della pendenza del giudizio relativo alla impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società (cfr. pagina 30 del ricorso per cassazione “tale secondo avviso è stato ritualmente impugnato dalla società dinanzi la CTP, poi in appello, ed attualmente pende ricorso per cassazione R.G. 17044/09- all. g”).
Tale processo è stato deciso dalla Cassazione con sentenza 16 gennaio 2015, n. 686, che ha cassato la sentenza della Commissione regionale con rinvio alla Commissione regionale del Lazio in diversa composizione.
4. La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento dei motivi primo e terzo, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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