CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2022, n. 19255

Rapporto di lavoro – Collaboratrice domestica – Accertamento – Inidonea allegazione dei fatti dedotti in giudizio – Insussistenza

Rilevato che

Con sentenza del 26 gennaio 2020, la Corte d’Appello di Salerno ha confermato la decisione emessa dal locale Tribunale che aveva respinto la domanda proposta da C. V. L. nei confronti di A. M. volta ad accertare il rapporto di lavoro in qualità di collaboratrice domestica, addetta all’assistenza della resistente, dal 23/05/2005 sino al 16/03/2012 con prestazioni svolte tutti i giorni dalle ore 9,00 alle 23,00 incluso l’accudimento notturno;

in particolare, la Corte ha ritenuto del tutto generiche le indicazioni contenute in ricorso, non supportate da specifiche allegazioni e, nel loro contenuto, non confermate dalle dichiarazioni rese dalla ricorrente in sede di interrogatorio;

per la cassazione della sentenza propone ricorso C. V. L., affidandolo a un motivo articolato in diverse censure;

resiste, con controricorso, A. M.;

entrambe le parti hanno presentato memorie;

è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Considerato che

Con l’unico, articolato motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 326 comma 1, 3 e 5 cod. proc. civ., perplessità, superficialità e approssimazione della motivazione, omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, mancato apprezzamento di tutti gli elementi di fatto e di diritto, omessa istruttoria d’ufficio e mancata ammissione di tutte le prove richieste, mancato apprezzamento e rilevanza del giudicato implicito contenuto nella prima sentenza;

l’unico motivo di ricorso (erroneamente indicato come violazione dell’art. 326 comma 1 e 3 e n. 5 cod. proc. civ.) oltre ad essere inammissibilmente formulato in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure denunciando violazioni di legge e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contesta l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta insussistenza di idonee allegazioni – prima ancora che prove — dei fatti dedotti in giudizio, con doglianze intrise di circostanze fattuali; come risulta da consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., sul punto, Cass. n. 17224 del 2020) il principio di specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c. richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia; giova poi evidenziare, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);

 nella specie, la Corte analizzando le deduzioni di parte ricorrente, ha escluso che le stesse fossero sufficientemente precise e supportate da specifiche allegazioni reputandole carenti sotto il profilo descrittivo delle circostanze di fatto da cui potesse evincersi una sostanziale univoca relazione di soggezione al potere datoriale unilaterale che la controricorrente M. avrebbe esercitato sulla propria collaboratrice-badante;

il giudice di secondo grado ha, inoltre reputato le enunciazioni contenute in ricorso intimamente contraddittorie rispetto a quanto asserito dalla ricorrente in analogo ricorso proposto quattro anni prima di quello in oggetto e diretto ad ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, sempre avente ad oggetto l’assistenza ad A. M. ma con la configurazione, quale datrice, della sorella di quest’ultima, F.;

ha aggiunto che, nell’assenza di ulteriori elementi probatori, la ricorrente ha dichiarato, nel corso del libero interrogatorio, di essere retribuita proprio da F. in quanto la “nonnina A.” non le diceva cosa fare;

orbene, ritiene il Collegio che, in assenza di qualsivoglia adeguata allegazione circa il rapporto di lavoro in oggetto, non possa essere censurato in sede di legittimità il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi, mentre deve concludersi che parte ricorrente, nel formulare le proprie censure mediante ricorso per cassazione, non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 14476 del 2021);

alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;

le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

P.Q.M.

respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 —bis dello stesso articolo 13, se dovuto.