CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 luglio 2019, n. 18932
Lavoro – Socio e amministratore unico – Pagamento di contributi da versare alla gestione commercianti dell’Inps – Avviso di addebito
Rilevato che
1. L.H., socio e amministratore unico della “M. s.r.l.” (già M. s.a.s.) e della M.P. s.r.l., propose opposizione contro l’avviso di addebito avente ad oggetto il pagamento di contributi da versare alla gestione commercianti dell’Inps per l’anno 2013;
2. Il Tribunale di Bolzano accolse l’opposizione e annullò gli avvisi di addebito, ritenendo che a) la pendenza dinanzi allo stesso tribunale ed in corte d’appello di giudizi di opposizione contro avvisi di pagamento relativi alla medesima pretesa contributiva rendeva illegittimo l’avviso di addebito per la violazione dell’art. 24 del d.lgs. n. 46/1999 e 30 comma 14, d.l. 78/2010, conv. in L. 122/2010; b) la mera attività di locazione a terzi di immobili espletata dalle società non poteva essere considerata attività commerciale, costituendo invece attività di mero godimento dei beni, sicché difettava il presupposto per l’iscrizione nella relativa gestione.
3. Su appello dell’Inps, la corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza pubblicata il giorno 20/7/2016, ha rigettato l’impugnazione.
4. Contro la sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. La parte intimata resiste con controricorso.
5. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.
Considerato che
1. con il ricorso in esame l’Inps deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1 L. 22/7/1966, n. 613; dell’art. 1 L. 27/11/1960, n. 1397, come modificato dall’art. 1, comma 203 e ss. L. n. 662/1996; dell’art. 2 L. n. 1397/1960 e degli artt. 2313, 2318 e 2697 cod. civ.;
2. il ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis, n.1, cod.proc.civ., avendo la Corte territoriale deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo non offre elementi per mutare l’orientamento espresso in fattispecie analoghe (cfr. Cass. 6/9/2016, n. 17643, 25/8/2016, n. 17328; Cass., ord. 14/2/2017, n. 3931; Cass. 27/11/2017, n. 28279, che ha deciso tra le stesse parti);
3. presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti è – per il disposto della L. 23 dicembre 1996 n. 662 , art. 1 comma 203 – che sia provato lo svolgimento di un’attività commerciale che, nella specie, risulta essere stato escluso con un accertamento in fatto da parte della Corte di appello supportato da una motivazione adeguata ed immune dai denunciati vizi;
4. la Corte ha rilevato che la “M. s.a.s. “, successivamente denominata M. S.r.l. di cui H. era socio e amministratore, non svolgeva alcuna attività diretta all’acquisto e alla gestione di beni immobili limitandosi alla riscossione dei canoni relativi alle locazioni degli immobili di cui era proprietaria;
5. ha altresì accertato che dal 2006 la società, divenuta s.r.l., era di fatto inattiva, non concedendo più in affitto il capannone di sua proprietà;
6. la decisione della Corte è il linea con il principio già espresso da questo giudice di legittimità secondo cui la società di persone che svolga una attività destinata alla locazione di immobili di sua proprietà ed a percepire i relativi canoni di locazione non svolge un’attività commerciale ai fini previdenziali a meno che detta attività non si inserisca in una più ampia di prestazione di servizi quale l’attività di intermediazione immobiliare (Cass.11/2/2013, n. 3145, Cass. n. 845/2010, e ribadito di recente in Cass. 6/9/2016, n.17643 e Cass. 29/1/2019, n. 2454);
7. non rileva di per sé il contenuto dell’oggetto sociale, ma si deve considerare lo svolgimento in concreto di un’attività commerciale (Cass. n. 25017/2016), sicché diviene irrilevante la circostanza che ad esercitare l’attività di godimento del bene sia una società commerciale (Cass. n. 3145/2013), così come non rileva che la parte ricorrente fosse l’unico socio accomandatario o l’amministratore, né che lo stesso non abbia dedotto di svolgere altra attività lavorativa indicando chi, al suo posto, abbia svolto attività di gestione della società;
8. l’eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento, in implicito contrasto con il disposto dell’art. 2248 c.c., non può trovare una sanzione indiretta nel riconoscimento di un obbligo contributivo di cui difettino i presupposti propri, per come sopra ricostruiti;
9. l’accertamento della sussistenza (o meno) dei requisiti necessari per l’iscrizione è stato compiuto dalla Corte territoriale, che, in coerenza con i principi regolatori della materia, ha espresso il suo convincimento con motivazione adeguata ed immune da vizi;
10. dall’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo;
11. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna l’Inps al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 1.500,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, al rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del dIgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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