CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 luglio 2019, n. 18934
Avviso di addebito – Contributi Gestione commercianti – Socio amministratore di SRL – Attività sociale di riscossione di canoni di locazione di immobili di proprietà – Mero godimento di beni immobili non configura esercizio di attività commerciale – Irrilevante la circostanza che la società sia costituita in forma diversa da quella semplice – Qualità di socio accomandatario non sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella Gestione commercianti – Necessaria prova della partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza
Rilevato che
con sentenza pubblicata il 20/7/2016, la Corte d’appello di Cagliari sezione distaccata di Sassari, ha rigettato l’appello proposto dall’Inps contro la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede, che aveva accolto l’opposizione proposta da N.M. contro due avvisi di addebito aventi ad oggetto il pagamento di contributi in favore della gestione commercianti;
la Corte territoriale, condividendo il giudizio espresso dal Tribunale, ha ritenuto insussistenti le condizioni per l’iscrizione dell’opponente, in qualità di socia amministratrice delle società L.C. S.r.l. e A. S.r.l., nella gestione commercianti dell’Inps posto che l’unica attività svolta dalle società era quella di riscossione di canoni di locazione, che, in quanto inerisce al mero godimento di beni immobili, non configura esercizio di attività commerciale; in particolare, la Corte territoriale ha ritenuto non provato da parte dell’amministratore della società o del socio lo svolgimento di un’attività ulteriore rispetto a quella di mera gestione, prevalente rispetto agli altri fattori produttivi e caratterizzata dall’abitualità;
contro la sentenza, l’Inps, anche in qualità di procuratore speciale della Società di Cartolarizzazione dei Crediti Inps (S.C.C.I.) s.p.a., propone ricorso per cassazione, articolando due motivi, cui resiste la M. con controricorso, con il quale spiega ricorso incidentale condizionato, al quale resiste l’Inps con controricorso;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
la M. ha depositato memoria ex art. 380 bis cod.proc.civ.
Considerato che
in via preliminare, deve darsi atto della tardività del controricorso al ricorso incidentale, notificato dall’Inps alla M. in data 3/2/2017, a fronte del ricorso incidentale notificato all’Istituto in data 23/12/2016: la notificazione è stata infatti effettuata a mezzo PEC oltre il termine di 40 giorni fissato negli artt. 370 e 371 cod.proc.civ. e scaduto il giorno 1° febbraio 2017;
è anche tardiva la memoria redatta nell’interesse della controricorrente, pervenuta nella cancelleria di questa Corte in data 4/3/2019, oltre il termine di cinque giorni prima dell’adunanza camerale, fissata per il 6/3/2019;
con il ricorso principale l’Inps denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1 L. 22 luglio 1966, n. 613; dell’art. 1 L. 27 novembre 1960, n.1397, cosi come modificato dall’art. 1, comma 203 e ss., L. 27 dicembre 1996 n. 662; dell’art. 2 della stessa L. 1397/1960 e degli artt. 2462, 2468, 2475, 2476 e 2697 cod.civ., in relazione all’art. 360 n. 3, cod.proc.civ.: l’Istituto ritiene che, alla luce del complessivo quadro normativo e delle circostanze di fatto acquisite al processo, emergeva evidente la natura imprenditoriale e non già di mero godimento dell’attività svolta dalla società, in assenza di prova contraria offerta dall’opponente;
con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 202, L. 662/1996 e art. 49, comma 1, lettera D) L. n. 89/1988, e rileva che, anche a voler ritenere che la società non esercitasse attività commerciale, l’iscrizione alla gestione commercianti doveva essere disposta essendo pacifico che la M. è l’unica socia di una s.r.l. ed è pertanto consequenziale la sua qualità di lavoratrice autonoma in quanto esercente una delle attività di cui all’art. 49, comma 1, lett. d) L. 88/1989;
il ricorso è inammissibile, perché la Corte ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità e i motivi di ricorso non offrono elementi per mutare l’orientamento, al quale va data continuità (v. per tutte, Cass. 20/10/2018, n. 26654); presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti è che sia provato, in conformità a quanto previsto dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662 , art. 1, comma 203, che ha sostituito la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1 (requisiti previsti per ritenere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali), lo svolgimento di un’attività commerciale che, nella specie, risulta essere stato escluso con un accertamento in fatto da parte della Corte del merito supportato da una motivazione adeguata ed immune dai denunciati vizi;
è stato accertato, con decisione conforme di entrambi giudici di merito, che le s.r.l. di cui la controricorrente era socia non svolgevano attività diretta all’acquisto ed alla gestione di beni immobili, bensì la sola attività di riscossione dei canoni di locazione degli immobili di cui erano proprietarie;
diviene così irrilevante la circostanza che l’attività di gestione fosse svolta esclusivamente dall’odierna controricorrente, o che questa non svolgesse altra attività lavorativa o, ancora che non vi fossero dipendenti, così come non assume valore decisivo la mancanza di prova contraria, idonea ad escludere la presunzione normativa di esercizio di attività imprenditoriale ricollegabile, secondo l’assunto dell’istituto, alla circostanza che la società fosse costituita in forma diversa da quella semplice;
tale decisione è in linea con i principi già espressi da questa Corte (Cass., ord. 6/4/2017, n.9002; Cass. ord., 29/12/2016, n. 27376; Cass. 26/8/2016, n. 17370; Cass. 6/9/2016, n. 17643; Cass. 11/2/2013, n. 3145), secondo cui l’attività di mera riscossione dei canoni di un immobile affittato non costituisce di norma attività d’impresa, indipendentemente dal fatto che ad esercitarla sia una società commerciale (Cass. ord. 11 febbraio 2013, n. 3145), salvo che si dia prova che costituisca attività commerciale di intermediazione immobiliare (Cass. n. 845/2010), e l’eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento, in implicito contrasto con il disposto dell’art. 2248 c.c., non può trovare una sanzione indiretta nel riconoscimento di un obbligo contributivo di cui difettino i presupposti;
sotto tale riguardo, questa Corte – con riferimento alle società in accomandita semplice – ha affermato il principio (Cass. 26 febbraio 2016, n. 3835) secondo cui, ai sensi dell’art. 1, comma 203, L. n. 662/1996, che ha modificato l’art. 29 L. n. 160/1975, e dell’art. 3 L. n. 45/1986, la qualità di socio accomandatario non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui ricorrenza deve essere provata dall’istituto;
tale prova, nel caso in esame, secondo i giudici di merito non è stata fornita, essendo emerso che la società di cui la controricorrente era socia non svolgeva attività di acquisto e gestione di beni immobili; l’inammissibilità sussiste anche con riguardo al secondo motivo di ricorso, avendo entrambi i giudici del merito accertata la mancanza di prova, che avrebbe dovuto essere fornita dall’Inps, dello svolgimento di lavoro personale nella società da parte dell’odierna controricorrente, con carattere di abitualità e preponderanza rispetto agli altri fattori produttivi (Cass. 03/04/2017, n. 8613);
dalle inammissibilità del ricorso consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato, proposto dalla M. e riguardante l’omesso esame dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi (cfr. Cass. n. 26654/2018);
le spese del presente giudizio vanno regolate come da dispositivo;
non sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 96, commi 1 e 3 cod.proc.civ., non ravvisandosi nella specie la mala fede (intesa come consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (nel senso di carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza) (cfr. Cass. Sez.Un. 13/09/2018, n. 22405);
sussistono invece le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002 per il versamento, da parte del ricorrente principale, di una somma pari a quella versata per il contributo unificato.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in E, 1.500,00 per compensi professionali e € 200 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15% e agli altri accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13, comma 1 bis, del citato D.P.R.
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