CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 luglio 2020, n. 14990
Tributi – Accertamento – Imposte sui redditi – Reddito d’impresa – Deducibilità costi in “nero” – Prova
Rilevato che
Con sentenza n. 158/07/10 del 7 giugno 2010, depositata il 22 novembre 2010, la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia ha accolto l’appello proposto da I. P. avverso la sentenza n. 65/01/07 della Commissione tributaria provinciale di Pordenone che aveva respinto il suo ricorso contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2003.
La CTR osservava in particolare che, pacifico, perché ammesso dal contribuente, che nell’annualità fiscale in contestazione il contribuente medesimo non aveva annotato ricavi della sua attività (imprenditore edile) per l’importo di euro 365.658, dovevasi necessariamente tenere conto dei costi implicati da tali ricavi, che, sulla base degli elementi in atti ed in particolare dalla ctu espletata, in via presuntiva determinava, decurtandone quindi il reddito accertato.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’ Agenzia delle entrate deducendo due motivi.
Resiste con controricorso il contribuente, che successivamente ha depositato una memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione dell’art. 109, primo comma, (ratione temporis, art. 75, quarto comma) del TUIR, poiché la CTR ha accertato la sussistenza di costi “non contabilizzati” mediante prova presuntiva.
Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nella versione applicabile ratione temporis)- la ricorrente lamenta l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata circa il “fatto controverso e decisivo” della sussistenza di detti costi.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Risulta pacifico in fatto ed è stato ammesso dallo I. fin dalla fase dell’istruttoria amministrativa che nell’annualità fiscale de qua lo I. medesimo non ha registrato ricavi da vendita di unità immobiliari costruite dalla sua impresa per l’importo complessivo di euro 365.658.
Il contribuente -ovviamente- fin dalla fase preprocessuale ha peraltro allegato che a tali componenti positive del reddito d’impresa corrispondevano i relativi costi di edificazione degli immobili compravenduti, sicchè il “reddito imponibile” ne doveva essere decurtato.
L’art. 75, quarto comma, ultima parte, TUIR, applicabile ratione temporis, così prevedeva: «Le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e altri proventi, che pur non risultando imputati al conto dei profitti e delle perdite concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi ..».
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte «In tema di accertamento delle imposte sui redditi ed in merito alla deducibilità di costi di impresa non registrati, l’onere della prova circa l’esistenza ed inerenza dei componenti negativi del reddito incombe al contribuente. A tal riguardo, l’abrogazione del sesto comma dell’art. 75 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ad opera dell’art. 5 del d.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, comporta solo un ampliamento del regime di prova dei costi da parte del contribuente, prova che può essere fornita anche con mezzi diversi dalle scritture contabili (purché costituenti elementi certi e precisi, come prescritto dal quarto comma dell’art. 75), ma non certamente l’attenuazione della regola sulla ripartizione dell’onere della prova» (Cass., n. 4218 del 24/02/2006, Rv. 587312 – 01; nello stesso senso Cass. n. 18401 del 12/07/2018).
Non censurato che il giudice tributario di appello abbia correttamente applicato la regola di giudizio sull’onere della prova, l’agenzia fiscale ricorrente sostiene che lo abbia ritenuto assolto sulla base di una presunzione (semplice), così appunto violando/falsamente applicando la citata disposizione del TUIR.
Non può convenirsi con tale asserzione.
La “certezza e precisione” richieste dalla norma non sono infatti declinabili interpretativamente come una regola di esclusione probatoria, ma come una regola di giudizio ossia, rivolgendosi prima all’amministrazione e poi nella eventuale dimensione processuale, al giudice, i due concetti normativi indicano la necessità di un rigore particolare nella valutazione della prova dei costi “neri” ai fini della loro deducibilità, ma appunto non escludono che tale prova possa essere raggiunta anche mediante prove presuntive.
Del resto deve anche ribadirsi che «Nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, ovvero che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza. Il giudice che ricorra alle presunzioni, nel risalire dal fatto noto a quello ignoto, deve rendere apprezzabili i passaggi logici posti a base del proprio convincimento» (Cass., n. 14762 del 30/05/2019, Rv. 654095 – 02).
Orbene, la CTR triestina nel caso di specie ha puntualmente argomentato sugli elementi di fatto rivenienti dalla consulenza asseverata prodotta in prime cure, traendone la principale fonte “diretta” di convincimento e peraltro derivandone sul piano logico inferenziale, non solo la congruità, ma anche l’effettiva sussistenza dei costi di costruzione affermati dallo I..
E tale procedimento valutativo risulta conforme all’ulteriore principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che «In tema di presunzioni semplici, gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più d’uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purché grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi» (Cass., n. 23153 del 26/09/2018, Rv. 650931 – 02).
La sentenza impugnata rispetta dunque i principi di diritto espressi nei citati arresti giurisprudenziali ed inoltre risulta adeguatamente argomentata in fatto, sicchè nemmeno pare meritevole di accoglimento la seconda censura deducente l’insufficienza della relativa motivazione.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 10.000 oltre 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.
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