CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 luglio 2020, n. 15005
Tributi – IVA – Detrazione – Fatture per operazioni soggettivamente inesistenti – Consapevolezza della frode da parte del cessionario – Prova – Criteri – Motivazione della sentenza – Condizioni di legittimità
Rilevato che
1. Con sentenza n. 193/01/12 del 19/07/2012 la Commissione tributaria regionale della Toscana (di seguito CTR) accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 171/01/10 della Commissione tributaria provinciale di Firenze (di seguito CTP), che aveva accolto il ricorso della S.C. s.r.l. (di seguito S.C.) avverso l’avviso di accertamento a fini IRPEG, IRAP ed IVA relative all’anno di imposta 2004;
1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR, l’atto impositivo era stato emesso in ragione del coinvolgimento di S.C. in un’operazione fraudolenta (cd. frode carosello), perpetrata a mezzo l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;
1.2. Su queste premesse, la CTR affermava, per quanto ancora interessa in questa sede che l’appello dell’Agenzia delle entrate doveva essere accolto con riferimento all’IVA in quanto «non è consentito portare in detrazione l’iva versata in relazione a fatture che non siano intestate all’effettivo venditore (o acquirente; e l’operatore è tenuto a verificare con attenzione la provenienza delle merci acquistate, specie quando esse, come ampiamente dimostrato nell’avviso di accertamento, provengano da soggetti evanescenti e sospetti, dediti ad altre attività»;
2. S.C. impugnava la sentenza della CTR con tempestivo ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis. 1 cod. proc. civ.;
3. l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso S.C. deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. 17 della direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (sesta direttiva) e 19 e 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che il giudice di appello avrebbe erroneamente ritenuto che l’Ufficio abbia assolto all’onere probatorio posto dalla legge a suo carico, consistente nella prova della inesistenza soggettiva delle fatture emesse da S.M. e T.T. e nella prova della consapevolezza della frode da parte di S.C.;
2. con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omessa o insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi del giudizio in quanto la CTR non spiega in alcun modo sulla base di quali elementi è giunta a ritenere che: a) gli acquisti documentali delle fatture emesse dalle due società venditrici siano riconducibili ad operazioni soggettivamente inesistenti realizzate nell’ambito di una cd. frode carosello; b) la consapevolezza della frode perpetrata da parte di S.C.;
3. il secondo motivo è fondato e assorbente del primo motivo;
3.1. come di recente evidenziato dalla S.C., «in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (così Cass. n. 9851 del 20/04/2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda; conf. Cass. n. 27555 del 30/10/2018; Cass. n. 27566 del 30/10/2018);
3.2. nel caso di specie, la CTR si è limitata a fare riferimento per relationem all’avviso di accertamento, affermando, da un lato, che i soggetti che hanno emesso le fatture sono evanescenti, sospetti o dediti ad altra attività e, dall’altro, che S.C. avrebbe dovuto essere consapevole della frode trattando con soggetti siffatti;
3.3. sebbene la motivazione non può dirsi propriamente mancante, non è dubbio che la stessa sia gravemente insufficiente in quanto il giudice di appello non spiega, anche alla luce della documentazione prodotta dalla ricorrente (e di cui si fa ampiamente menzione in ricorso ai fini del rispetto del principio di autosufficienza), sulla base di quali elementi indiziari abbia ritenuto che: a) i fornitori siano delle cd. “cartiere”; b) S.C. sia stata consapevole della frode IVA perpetrata ovvero non abbia tenuto il contegno richiesto ad un operatore commerciale accorto e diligente;
4. in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla CTR della Toscana, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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