CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 luglio 2020, n. 15010
Professionista – Architetto – Prelievi e versamenti incompatibili con le dichiarazioni dei redditi esposte
Fatti di causa
1. Il contribuente svolge professione di architetto in forma associata ed era attinto da avviso di accertamento per l’anno di imposta 2004 a seguito di indagini bancarie che individuavano prelievi e versamenti incompatibili con le dichiarazioni dei redditi esposte. Analoghi atti impositivi erano adottati nei confronti dell’Associazione Professionale Delta e dell’altro socio – oltre il contribuente – arch. E.P.
2. Infruttuosamente esperito il tentativo di adesione, ne sortivano tre distinti ricorsi, non riuniti dalla commissione di prossimità che rigettava quello del sodalizio professionale, accogliendo per contro quelli dei due dei soci. L’appello dell’Ufficio era respinto, donde ricorre per cassazione l’Avvocatura generale dello Stato affidandosi a quattro motivi di doglianza, cui replica il patrono del contribuente con tempestivo controricorso.
In prossimità dell’udienza la parte privata ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
Vengono proposti quattro motivi di ricorso.
0. In via pregiudiziale di rito occorre esaminare l’eccezione di tardività del ricorso sollevata da parte contribuente. Ed invero il ricorso per cassazione è stato portato alla notifica il 17 dicembre 2012, avverso una sentenza di CTR depositata oltre un anno prima, il 24 novembre 2011 che ha definito un giudizio iniziato in primo grado nel 2008 quindi precedentemente all’entrata in vigore della I. n. 69/2009 che ha novellato l’art. 327 c.p.c., riducendo a sei mesi dal deposito il termine per impugnare le sentenze non notificate. Il ricorso introduttivo del presente grado di giudizio era assoggettato al termine lungo di un anno, oltre alla sospensione feriale, sicché risulta tempestivo.
L’eccezione è dunque infondata ed il ricorso può essere scrutinato.
1. Con il primo motivo si prospetta il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 2909 c.c. per non aver la CTR riconosciuto il giudicato esterno dato dalla non opposta sentenza di primo grado che ha rigettato il ricorso relativo all’associazione professionale, cristallizzando così l’accertamento principale, di cui quelli dei soci sono riflesso. Il motivo non assolve all’onere dell’autosufficienza perché non riproduce i passi dei gradi di merito ove tale profilo sarebbe stato rappresentato, si da consentire al collegio di accertarne non trattarsi di novità. Ed infatti, il motivo d’appello del quale si lamenta l’omesso esame non risulta infatti compiutamente riportato nella sua integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano nuove e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (v. Cass. V, n.17049/2015; n. 29368/2017). Né ricorrono le ipotesi in cui il giudicato possa essere rilevato d’ufficio da questa Corte, donde il motivo è inammissibile e tale va dichiarato.
2. Con il secondo motivo si prospetta omessa motivazione della sentenza, omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti in parametro all’art. 360 n. 5 c.p.c., per essersi la gravata sentenza riferita alla sentenza di primo grado, senza un’autonoma valutazione.
Deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI – 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio deciderteli (cfr., recentemente, Cass V, n. 24313/2018).
Infatti, per la Suprema Corte, la motivazione per relationem “è legittima soltanto nel caso in cui a) si riferisca ad una sentenza che abbia già valore di giudicato tra le parti b) ovvero riproduca la motivazione di riferimento, autonomamente ed autosufficientemente recepita e vagliata nel contesto della motivazione condizionata” (Cass., S.U. n.14815/2008).
Inoltre, si è affermato che, nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta “per relationem” il rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass, VI – 5, n. 107/2015; n, 5209/2018; n. 17403/2018; n. 21978/2018). Deve, poi, considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Cass. VI – 5, n. 22022/2017).
Tale è la gravata sentenza, le cui quattro righe di motivazione non consentono di ricostruire il percorso logico giuridico che ne dovrebbe sostenere la decisione. Né può supplire in questo senso la parte narrativa ove si richiama la motivazione della sentenza di primo grado, senza alcun vaglio critico palese.
Il motivo è dunque fondato e va accolto.
3. Con il terzo motivo si profila censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione art. 51 d.P.R. n. 633/1972 e art. 32 d.P.R. n. 600/1973, perché erroneamente la CTR avrebbe ritenuto non attribuire ai movimenti bancari alcuna presunzione (semplice) di maggior reddito. Dopo la sentenza della Consulta n. 228/2014, tutti i versamenti e, per i titolari di reddito d’impresa, anche i prelevamenti costituiscono presunzione di maggior ricchezza (cfr. Cass. V, n. 1519/2017). Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del motivo precedente.
L’assorbimento del motivo consente di prescindere dall’eccezione di parte contribuente circa la completezza del testo del ricorso ove il motivo è esposto.
4. Con il quarto motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione delle norme precitate, per aver i giudici di secondo grado posto a fondamento della decisione uno scritto, il libro giornale, non esibito in fase amministrativa. Anche questo motivo resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.
In definitiva, il ricorso è fondato per le ragioni attinte dal secondo motivo.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla CTR per la Basilicata, cui demanda anche la definizione delle spese de giudizio di legittimità.
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