CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 maggio 2018, n. 11873
Tributi – IVA – Contestazione di indebita detrazione per operazioni inesistenti – Onere di prova a carico dell’Ufficio – Controprova del contribuente della legittimità dell’operazione – Regolare contabilizzazione ed effettivo pagamento della fattura – Insufficiente
Rilevato che
Con sentenza in data 24 maggio 2016 la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 9160/7/14 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso della O. srl contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2006. La CTR osservava in particolare che l’Ente impositore non aveva adeguatamente comprovato l’inesistenza oggettiva delle operazioni oggetto delle riprese fiscali portate dall’atto impositivo impugnato, mentre la società contribuente ne aveva invece asseverato sia la regolare contabilizzazione ai fini IVA sia l’effettivo pagamento. Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.
Resiste con controricorso la società contribuente.
Considerato che
In via preliminare va rilevata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorente, a causa dell’omissione dell’indicazione del legale rappresentante dell’Agenzia delle entrate, come in generale prescritto dall’art. 18, comma 4, d.lgs. 546/1992 ed appunto a pena di inammissibilità del ricorso dall’art. 366, n.l, cod. proc. civ.
Basti in merito ribadire che «In tema di contenzioso tributario, stante la rappresentanza legale dell’Agenzia delle Entrate in capo al suo direttore generale ed il difetto di personalità giuridica delle rispettive articolazioni territoriali, non occorre necessariamente indicare nel ricorso per cassazione il nome della persona fisica preposta a tale carica, essendo individuato in modo incontrovertibile, per la circostanza sopradetta, ai sensi degli artt. 67 e 68 del d.l. n. 300 del 1999, quale unico rappresentante ed autorizzato “ex lege” a stare in giudizio davanti alla Corte di cassazione» (Sez. 5, Sentenza n. 22434 del 04/11/2016, Rv. 641647- 01).
Ciò posto, con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. – l’agenzia fiscale ricorrente denuncia di nullità la sentenza impugnata per vizio motivazionale radicale (motivazione apparente).
La censura è infondata.
Va ribadito che «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01).
La sentenza impugnata non rientra nel paradigma negativo/invalidante delineato dal principio di diritto di cui a tale arresto giurisprudenziale, poiché la CTR ha espresso un proprio convincimento circa il meritum causae, in particolare affermando, sinteticamente, ma non apoditticamente, il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sull’Ente impositore ed invece l’assolvimento di quello contro probatorio correlativamente gravante sulla società contribuente.
Con il secondo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione di plurime disposizioni legislative, poiché la CTR ha affermato che, a fronte della contestata esistenza oggettiva delle prestazioni oggetto delle tre fatture de quibus, fosse sufficiente controprova quella della regolare annotazione delle medesime e del pagamento delle stesse all’emittente. La censura è fondata.
Va ribadito che «In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili» (Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634233 – 01).
Il giudice tributario di appello ha chiaramente violato il principio di diritto di cui a tale arresto giurisprudenziale, posto che, stravolgendolo, ha affermato che la prova della contabilizzazione/pagamento delle fatture in questione doveva considerarsi adeguata ad inficiare quelle relative all’inesistenza delle relative prestazioni addotte dall’agenzia fiscale.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al secondo motivo, rigettato il primo, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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