CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 maggio 2018, n. 11875
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza – Motivazione apparente – Nullità
Rilevato che
Con sentenza in data 29 aprile 2014 la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, respingeva l’appello principale proposto da V.P. nonché quello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 200/2/12 della Commissione tributaria provinciale di Brindisi che aveva parzialmente accolto il ricorso del V. contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2004.
La CTR, nella parte che qui rileva, osservava in particolare che il contribuente non aveva adeguatamente controprovato in ordine alla ripresa fiscale di Euro 300.000 per costi non documentati.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Considerato che
Con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, nn. 4-3, cod. proc. civ. – il ricorrente denuncia di nullità la sentenza impugnata per vizio motivazionale totale (motivazione apparente) ed al contempo la violazione dell’art. 2697, cod. civ., poiché la CTR ha negato la sussistenza di adeguate prove contrarie del fatto costitutivo della pretesa erariale de qua, senza darne una pur minima spiegazione e quindi non applicando correttamente il principio generale codicistico sull’onere probatorio nonché quello di cui all’art. 115, cod. proc. civ. sulla valutazione delle prove.
La censura è, dirimentemente, fondata sotto il profilo del dedotto vizio motivazionale radicale.
Va ribadito che:
– «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01);
– «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
La motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali, dunque, concretizzando un chiaro esempio di “motivazione apparente” ossia del tutto mancante, si pone sicuramente al di sotto del “minimo costituzionale”.
La CTR infatti si è limitata ad affermare che «Per quanto riguarda il merito, il Collegio ritiene privo di pregio giuridico l’unico motivo di appello formulato dal contribuente, relativo al recupero di costi non documentati per euro 300.000. A tale proposito, l’appellante non ha fornito alcuna prova né valide argomentazioni per sostenere la propria asserzione. E non può essere convincente, poiché priva di qualsiasi valenza giuridica, l’assunto del contribuente secondo il quale la detraibilità della ripresa fiscale di euro 300.000 era giustificata “dai ripetuti atti criminali di furto di denaro contante ai danni della propria azienda commerciale da parte di un ex dipendente infedele e complice”».
Tali affermazioni sono all’evidenza apodittiche, assertive, al più rappresentative del convincimento del giudice tributario di appello, ma non estrinsecano il percorso argomentativo che lo induce a tale convincimento e pertanto nel loro – limitato – ordito realizzano un tipico esempio di “motivazione apparente”, così come denunciato nella censura de qua.
In sostanza il giudice tributario di appello non ha spiegato, come doveroso almeno nel rispetto dello standard del “mimino costituzionale”, le ragioni per le quali non ha considerato, in fatto, adeguate le controprove date dal contribuente in sede contenziosa né ha argomentato in ordine alla loro, meramente affermata, irrilevanza giuridica.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al primo motivo nei sensi di cui sopra, assorbito il secondo motivo, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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