CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 maggio 2019, n. 12929
Tributi – IRAP – Promotore finanziario – Diritto al rimborso – Impiego di beni strumentali minimi per l’esercizio dell’attività – Requisito di autonoma organizzazione – Incidenza dei costi rispetto ai ricavi – Irrilevanza
Rilevato
Il contribuente esercita attività di promotore finanziario, avendo ricavato nella propria abitazione gli spazi per lo studio professionale e dotatosi di auto nonché strumenti informatici necessari all’espletamento del suo lavoro autonomo.
Ritenendo di non eccedere gli standard minimi per l’esercizio della professione, ha richiesto il rimborso dell’Irap per gli anni di imposta 2005, 2006 e 2007. Formatosi il silenzio rigetto, ha quindi esperito ricorso avanti il giudice tributario, non trovando riscontro nei gradi merito.
Insorge quindi in sede di legittimità, affidandosi a tre motivi di gravame, cui controdeduce puntualmente il patrono erariale.
Considerato
Con il primo motivo si lamenta violazione dell ‘art. 2 d.lgs. n. 446/1997, in parametro all’art. 360, comma primo, n. 3 codice di rito civile, nella sostanza affermandosi non potersi desumere la consistenza dell’organizzazione in base alla sola incidenza dei costi rispetto ai ricavi ed affermare il superamento del minimo organizzativo unicamente dalla consistenza dei primi sui secondi, che nel triennio all’esame si sono attestati nell’ordine del 44-46%.
Detto in altri termini, si afferma violata la disciplina impositiva Irap per aver guardato non ai singoli beni, alla loro rilevanza e coerenza con l’attività svolta, quanto unicamente alla loro rilevanza economica rispetto al ricavo annualmente ottenuto.
È ormai consolidato orientamento di questa Corte, all’esito delle sentenze rese dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U., 26 maggio 2009; Cass. Sez. U, 26 maggio 2009 n. 12108; Cass. Sez. U., 26 maggio 2009, n. 12109; Cass. Sez. U., 26 maggio 2009, n. 12110), che, in tema di Irap, ‘il professionista «è escluso dall’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al Giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quanto il contribuente a) sia sotto qualsiasi forma, il responsabile della organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità od interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso della imposta asseritamente non dovuta, dare la prova della assenza delle predette condizioni>>.
Merita in proposito essere ricordato come questa Corte, più recente e anche a Sezioni Unite, ha chiarito che l’assenza di un’autonoma organizzazione dell’attività professionale deve essere dimostrata dal contribuente (Cass. Sez. V, 11.4.2017, n. 9325, Cass. SU, 10.5.2016, n. 9451).
Il tenore della norma ritenuta violata, così come gli arresti giurisprudenziali che precedono, lasciano libero il convincimento del giudice nel cercare gli indizi e pervenire alla verifica della sussistenza o meno dell’organizzazione, tenendo presente che la regola è la sottoposizione ad Irap dell’attività professionale ed eccezionale il suo affrancamento (per questi aspetti, tra cui la successione Iciap – Irap, cfr. S.U. ultimo citate, n. 9451/2016).
Riguardo al punto centrale dell’apparato argomentativo, si osserva che, in tesi generale, il valore assoluto dei compensi (Cass., se. 6- 5, n. 22705 del 2016) e dei costi, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista, atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (es. studio professionale, veicolo strumentale, etc.), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo (Cass., VI-5, n. 23557 del 2016).
Si è, infatti, ritenuto, che persino la spesa consistente per l’acquisto di un macchinario indispensabile all’esercizio dell’attività medesima non sia idoneo a rivelare l’esistenza dell’autonoma organizzazione ove il capitale investito non rappresenti un fattore aggiuntivo o moltiplicativo del valore costituito dall’attività intellettuale del lavoratore autonomo, ma sia ad essa asservito in modo da non poterne essere distinto (Cass., VI-5, n. 23552 del 2016).
Se tale ultimo profilo ha speciale peso, per esempio, nei confronti di un medico dentista, in ordine alla c.d. poltrona attrezzata, non di meno, la consistenza dei costi è elemento che dev’essere valutato in ragione dell’apporto produttivo che permette di conseguire, non potendo rilevare ex se.
Il motivo è quindi fondato e merita accoglimento.
Con il secondo motivo si lamenta il vizio di motivazione in parametro all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ., nella formulazione previgente e art. 50 comma 3 bis d.l. n. 83/2012, nella sostanza riproponendo con altra veste il vizio che precede, segnatamente come vizio di motivazione per non aver giustificato come mai i costi aziendali, in quella proporzione, siano indici della sussistenza di un’organizzazione strutturata in misura eccedente il minimo e, più ancora nello specifico, come mai quella percentuale di incidenza dei costi, pari quasi alla metà dei ricavi, possa essere indicativa di un’organizzazione strutturata, senza esaminare partitamente i costi. Così come posto, il presente motivo può ritenersi assorbito dall’accoglimento del primo motivo di gravame.
Con il terzo motivo, si prospetta insufficienza della motivazione e nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. nella sostanza proponendo il medesimo vizio che precede sotto la veste aggiornata ed in base all’applicabilità della riforma del rito civile al processo tributario. La dichiarazione esplicita, contenuta a pag. 54, quarto capoverso, del ricorso per cui il terzo motivo si fonda sulle medesime argomentazioni del precedente (da intendersi trascritte) ne equipara le sorti nel dichiararlo assorbito dall’accoglimento della prima doglianza prospettata in ricorso.
In definitiva, il ricorso è fondato per le ragioni attinte dal primo motivo.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla CTR per il Veneto, in diversa composizione, cui demanda anche la regolazione delle spese del presente grado di giudizio.
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