CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 maggio 2019, n. 13022
Prestazione occasionale – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Accertamento ispettivo – Maxisanzione – Assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare e di controllo del datore di lavoro
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza del Tribunale di Novara, respingeva l’opposizione proposta dalla M. G. s.r.l. avverso la cartella esattoriale con la quale era stato intimato alla società di pagare € 16.194,18 (di cui € 15.474,88 per importi a ruolo ed € 713,19 per compensi di riscossione) per contributi Inps e maxi sanzione ex art. 3 comma 3 della l. n. 73 del 2002, come sostituito dall’articolo 36 bis comma 7 lettera a) della legge 248 del 2006.
2. La Corte territoriale riteneva che le cinque lavoratrici oggetto di accertamento ispettivo da parte della Direzione provinciale del lavoro, con le quali la società assumeva essere intercorso in occasione della Fiera di Novara nel periodo dal 24 aprile al 1 maggio 2008 un rapporto di prestazione occasionale ex art. 61 comma II del d.lgs n. 276 del 2003, fossero in realtà lavoratrici subordinate, essendo le stesse inserite, pur nella breve durata del loro rapporto di lavoro, nell’organizzazione della società ed assoggettate la potere direttivo, organizzativo e disciplinare e di controllo della parte datoriale, con assenza di rischio e obbligo di rispetto dell’ orario di lavoro loro imposto. Ciò comportava che l’assunzione avrebbe dovuto essere formalizzata mediante iscrizione nel libro matricola ex art. 20 comma 1 del d.p.r. 1124 del 1965 e comunicazione al centro per l’impiego competente ex art. 9 bis della legge n. 608 del 1996, come sostituito dall’art. 1 comma 1180 della l. n. 296 del 2006. Si era dunque realizzata ad avviso della Corte di merito V ipotesi sanzionata dall’art. 3 comma 3 della l. n. 73 del 2002, come sostituito dall’art. 36 bis comma 7 lettera a) della l. n. 248 del 2006.
3. Per la cassazione della sentenza M. G. s.r.l. ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito l’Inps con controricorso. La società ricorrente ha depositato anche memoria ex art. 380 bis.l. c.p.c.
Considerato che
4. la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 bis del d.l. 223 del 2006, conv. dalla l. 248 del 2006. Sostiene che la c.d. maxi sanzione sarebbe applicabile solo alle fattispecie che si realizzano attraverso l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture od altra documentazione obbligatoria, restando fuori dall’applicazione tutte le forme di prestazione continuativa che comunque risultino dalla documentazione aziendale o da comunicazioni effettuate alle amministrazioni pubbliche, come chiarito dalla circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 29 del 28 settembre 2006.
5. Preliminare e assorbente per la decisione della causa è il rilievo che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 254 del 2014, depositata il 13 novembre 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del decreto- legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato l’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, conv. con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge del 23 aprile 2002, n. 73, nella parte in cui stabilisce: «L’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata».
6. Per costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Cass. n. 13884 del 07/07/2016, Cass. n. 26275 del 14/12/2007; Cass. n. 15809 del 28 luglio 2005), le sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, in quanto la dichiarazione d’illegittimità inficia fin dall’origine la disposizione colpita, con l’unico limite delle situazioni esaurite attraverso quegli eventi che l’ordinamento riconosce idonei a produrre tale effetto, tra i quali si collocano la sentenza passata in giudicato (e l’atto amministrativo non più impugnabile) ed altri fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale, quali la prescrizione e la decadenza.
7. Ne discende che nel caso in esame la disposizione sanzionatola applicata dall’Inps a fondamento della propria pretesa, la cui fondatezza è sottoposta al vaglio di questa Corte, non può trovare più applicazione (v. Cass. n. 24848 del 5/12/2016, Cass. n. 3208 del 9/2/2018) ed i relativi importi non possono essere posti a carico della società ricorrente.
8. Il ricorso deve quindi essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che dovrà procedere a nuova valutazione applicando gli esposti principi.
9. Al giudice designato competerà anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
10. Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente vittoriosa, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Decidendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolamentazione della spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.
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