CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 maggio 2020, n. 8997
Corso di specializzazione medica – Borsa di studio ex D.Lgs. n. 257/1991 – Incremento indicizzato – Adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione
Considerato che
F.A., per quanto qui ancora rileva, conveniva in giudizio la Presidenza del consiglio dei ministri, esponendo di essersi laureato in medicina e di aver frequentato un corso di specializzazione medica, in Medicina fisica e Riabilitazione, negli anni accademici tra il 2000 e il 2004;
ciò posto, e premesso di aver ricevuto la sola borsa di studio prevista dal d.lgs. n. 257 del 1991, senza alcuna indicizzazione né rideterminazione periodica, chiedeva il riconoscimento della giusta remunerazione imposta dall’acquis communautaire” rispetto al quale lo Stato italiano era rimasto inadempiente, quale infine stabilita dal d.lgs. n. 368 del 1999 attuato solo dall’anno accademico 2006-2007;
il tribunale rigettava con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui:
– la pretesa spiegata in via principale, infondata nel merito, era comunque anche prescritta, per spirato decennio, quanto al primo anno accademico, e
– quanto alla richiesta formulata in via subordinata, afferente all’incremento indicizzato della borsa di studio e alla sua rideterminazione triennale, previsti dalla normativa del 1991, si trattava di prestazioni soggette al maturato termine prescrizionale quinquennale decorrente dal 2004, ultimo anno accademico seguito, con conseguente estinzione del diritto del deducente esercitato solo nel 2012;
avverso questa decisione ricorre per cassazione F.A. articolando due motivi;
Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.;
Rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione delle direttive comunitarie 362, 363 del 1975, nonché 82/76, 93/16, del d.lgs. n. 368 del 1999, del correlato DPCM 6 luglio 2007, dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, nonché degli artt. 2935, 2946, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare la spettanza della finale attuazione dell’acquis” unionale di settore da parte dello Stato italiano, avvenuta in via soggettivamente parziale ovvero solo per gli iscritti dall’anno accademico 2006-2007, sicché per il deducente l’inadempienza si era protratta e l’illecito non era mai cessato, o al più la prescrizione, decennale, avrebbe dovuto ritenersi decorrere, senza spirare, dal 1° gennaio 2006, in relazione all’entrata in vigore della legge n. 266 del 2005 citata;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 368 del 1999, delle menzionate direttive e dell’art. 3, Cost., poiché, come già sostenuto, la Corte di appello avrebbe errato omettendo di considerare che la mancata trasposizione delle direttive UE di settore aveva integrato un illecito permanente, sino alla compiuta attuazione avvenuta, con riferimento all’ultima direttiva n. 93/16, con l’invocata normativa del 1999, a sua volta posta in esecuzione con il DPCM del 2007;
Rilevato che
i motivi, da esaminare congiuntamente per connessione anche espositiva, sono infondati;
è opportuno, per ragioni logiche, chiarire in primo luogo che correttamente è stata esclusa, da parte della Corte territoriale, la spettanza della remunerazione introdotta dal d.lgs. n. 368 del 1999;
secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi prevista dall’art. 39 del d.lgs. n. 368 del 1999, si applica, per effetto dei differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al d.lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, e questo perché la direttiva 93/16/CEE non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui alla normativa del 1991 (Cass., 14/03/2018, n. 6355 del 2018, con motivazione ampiamente ricostruttiva; conf. Cass., 29/05/2018, n. 13445, Cass., 25/07/2019, n. 20105);
va quindi ribadito che il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto un’adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la legge 29 dicembre 1990 n. 428 e con il d.lgs. n. 257 del 1991, che ha riconosciuto agli specializzandi la borsa di studio annua, e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al d.lgs. n. 368 del 1999;
quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva n. 93/16 – che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363, con le relative successive modificazioni – ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione lavoro” e successivamente “contratto di formazione specialistica”) da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa e una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali;
tale contratto, peraltro, secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, non dà luogo a un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, né è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost. e il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (cfr. Cass., 19/11/2008, n. 27481, Cass., 22/09/2009, n. 20403, Cass., 27/07/2017, n. 18670);
ai sensi dell’art. 1, comma 300, della legge n. 266 del 2005, gli effetti delle nuove disposizioni, contenute negli articoli da 37 a 42 del d.lgs. n. 368 del 1999 (le quali prevedono sia la stipula del nuovo contratto di formazione, con gli specifici obblighi che ne derivano, sia il corrispondente trattamento economico), sono applicabili, come anticipato, solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007;
il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con i D.P.C.M. 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007;
per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006/2007 è stato quindi espressamente disposto che continuasse a operare la precedente disciplina del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che sotto quello economico;
la direttiva n. 93/16, che costituisce un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti, non ha dunque registrato un carattere innovativo con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione;
la previsione di un’adeguata remunerazione per i medici specializzandi è infatti contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 93/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica), e, si ripete, i relativi obblighi risultano già attuati dallo Stato italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al d.lgs. n. 257 del 1991;
l’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sé sufficiente e idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunce di questa Corte che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza, nella sua iniziale misura, anche a prescindere dagli ulteriori incrementi annuali connessi alla svalutazione monetaria, originariamente previsti dallo stesso testo legislativo e poi sospesi dalla successiva legislazione, sottolineando che «nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa (Cass. 26/05/2001 n. 11565)» (Cass., 15/06/2016, n. 12346; Cass., 23/09/2016, n. 18710; l’indirizzo trova indiretta conferma nella sentenza n. 432 del 23 dicembre 1997 della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative che avevano disposto la sospensione degli adeguamenti della borsa alla svalutazione monetaria);
sempre per completezza espositiva va ricordato che, ai sensi dell’art. 32, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e dell’art. 36, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dal comma 1 dell’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991 (cfr., anche, di recente, Cass., 23/02/2018, n. 4449, Cass., 19/02/2019, n. 4809);
conclusivamente, il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il d.lgs. n. 368 del 1999, e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono ritenersi il primo atto di effettivo recepimento e adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi, e legittimamente esercitata differenziando i regimi normativi nel tempo;
da quanto sopra deriva l’infondatezza sia della prima censura, che presuppone l’inadempimento statuale sino alla disciplina del 1999-2007, sia della seconda censura che invoca l’applicazione di quest’ultima al deducente che invece aveva seguito il corso anteriormente all’anno accademico 2006 – 2007;
nulla sulle spese in assenza di difese dell’amministrazione;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
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