CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 marzo 2019, n. 7451
Tributi – Tariffa per i controlli su operatori del settore alimentare – Ambito di applicazione soggettivo – Imprese di commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli
Rilevato che
1. La G.F. srl – società operante quale grossista nel mercato agroalimentare generale di Verona – propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 72/15/15 dell’8 gennaio 2015, con la quale la commissione tributaria regionale del Veneto, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimi i dinieghi opposti dalla Azienda ULSS 20 di Verona alle sue istanze di rimborso di quanto pagato, negli anni 2009-2012, a titolo di diritti di controllo sanitario sulla merce (d.lgs. 194/2008, attuativo del Regolamento CE n. 882/04).
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – in base al regolamento comunitario citato, i controlli sanitari dovevano essere eseguiti sull’intera filiera agroalimentare, interessando dunque non solo la fase di produzione ma anche quella di commercializzazione e distribuzione;
il d.lgs. 194/2008 non contravveniva al criterio del regolamento comunitario insito nella necessaria determinazione della tariffa in base ai costi del controllo sanitario, dal momento che tale d.lgs. (All.A, sez.sesta) prevedeva una tariffa forfettaria che teneva conto della differenziazione dei costi in funzione delle quantità di prodotto trattate da ciascun commerciante; – neppure, poteva sostenersi il mancato recepimento da parte del legislatore nazionale degli altri criteri di determinazione della tariffa dettati dal suddetto regolamento, dal momento che la commissione appositamente preposta (art. 27, co. 12, Regolamento) al relativo controllo di conformità non aveva sollevato censura alcuna con riguardo ai parametri adottati dal legislatore nazionale.
Resiste con controricorso l’Azienda ULSS 20 Verona.
La società ricorrente ha depositato memoria.
2.1 Con il primo motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’allegato A, sez.sesta, d.lgs. 194/2008. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto che i diritti di controllo sanitario gravassero anche sui commercianti all’ingrosso di ortofrutta, invece che soltanto sui produttori posti alla base della filiera; tanto più considerando che una cosa sarebbero gli obblighi sanitari di non contraffazione ed adulterazione (fatti oggetto di una serie di Regolamenti CE connessi a quello in esame: c.d. ‘pacchetto igiene’) che certamente gravano anche sui commercianti, e tutt’altra l’obbligo di contribuire al pagamento di controlli sanitari previsti soltanto per gli ‘stabilimenti produttivi’.
2.2 Il motivo è infondato.
Obiettivo del d.lgs. 194/2008 è quello (art. 1, co. 1) di stabilire: “le modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali, disciplinati al titolo II del regolamento (CE) n. 882/2004, eseguiti dalle autorità competenti per la verifica della conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali. Si aggiunge (co.3) che: “Le tariffe di cui al presente decreto, che sostituiscono qualsiasi altra tariffa prevista per i controlli sanitari di cui al comma 1, sono a carico degli operatori dei settori interessati dai controlli di cui al comma 1. (…).
Nell’allegato A, Sez.6, del decreto, viene determinata la tariffa di controllo sanitario applicabile, tra gli altri, agli “Operatori del settore alimentari operanti in mercati generali e del settore ortofrutticoli freschi”.
Come correttamente rilevato dalla commissione tributaria regionale, la previsione nazionale non contrasta con il Regolamento CE n. 882/04, dando anzi ad esso piena attuazione.
Va infatti osservato che tale regolamento muove dalla premessa (Considerando 1) che: “I mangimi e gli alimenti devono essere sicuri e sani. La normativa comunitaria comprende una serie di norme per garantire il raggiungimento di tale obiettivo. Queste regole interessano anche la produzione e la commercializzazione dei mangimi e degli alimenti“, per poi chiarire (Considerando 4) che: “La normativa comunitaria in materia di mangimi e di alimenti si basa sul principio che gli operatori del settore dei mangimi e degli alimenti, in tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione nell’ambito delle aziende sotto il loro controllo sono responsabili di assicurare che i mangimi e gli alimenti soddisfino i requisiti della normativa sui mangimi e sugli alimenti aventi rilevanza per le loro attività“.
E’ dunque evidente come la disciplina comunitaria si riferisca – con indistinto riguardo all’intera disciplina UE di tutela alimentare – a tutti gli operatori del settore responsabili della sicurezza e sanità dei prodotti agroalimentari rientranti nell’oggetto della loro attività; sia questa (a monte) di coltivazione e produzione, sia (a valle) di collocamento sul mercato. In tal senso è esplicita la previsione regolamentare secondo cui le norme di sicurezza interessano non soltanto la produzione dei mangimi e degli alimenti, ma anche la loro “commercializzazione” così pure quella secondo cui tale disciplina deve riguardare non solo le fasi della produzione e trasformazione, ma anche quella della “distribuzione”. In tal modo, la disciplina comunitaria si rivolge all’intera filiera agroalimentare, anche oltre la fase d’origine e provenienza dei prodotti.
Né si ritiene, contrariamente a quanto vorrebbe la società ricorrente, che
– a fronte di un quadro normativo così univoco – possa distinguersi tra responsabilità dell’operatore per l’osservanza dello stato di integrità, sicurezza e non adulterazione degli alimenti (anche penalmente presidiato nell’ordinamento interno), e responsabilità per il concorso economico ai costi affrontati dalla competente autorità per verificare, tra il resto, proprio l’ottemperanza a questa disciplina di sicurezza alimentare. Ottemperanza alla quale, d’altra parte, la stessa società ricorrente ritiene di essere tenuta
– sebbene secondo le peculiarità modalità di trasporto, stoccaggio e rivendita dei prodotti connaturate all’operatività sul mercato generale dell’ortofrutta – al pari del produttore.
Già le SSUU (Sentenza n. 13431 del 13/06/2014) hanno avuto modo – sia pure al diverso fine di affermare la giurisdizione tributaria in materia – di rimarcare la correlazione tra le modalità di finanziamento dei controlli sanitari di cui al d.lgs. 194/2008 e la “doverosità della prestazione, imposta non solo in forza dell’Interesse generale al bene della salute ma anche dei vincoli derivati dalle disposizioni comunitarie, e direttamente collegata alla pubblica spesa, giacché grava sullo Stato – per una platea di destinatari individuati in relazione ad un presupposto economicamente rilevante, costituito dall’attività da essi svolta nel settore alimentare – l’obbligo di organizzare controlli ufficiali e di predisporre strutture, mezzi e personale per la loro effettuazione.
Va quindi considerato come, una volta instaurata siffatta diretta relazione di costo tra l’attività di vigilanza sanitaria da un lato e la tariffa in questione dall’altro, l’obbligo di corrispondere quest’ultima non possa essere escluso sol perché il commerciante all’ingrosso (pur sottoposto a quella vigilanza) non si ponga, in quanto tale, come controparte diretta del soggetto tutelato dalla normativa di prevenzione e sicurezza alimentare, vale a dire il consumatore finale (evenienza che, per la verità, non si verifica nemmeno nei confronti del produttore posto all’origine della filiera, la cui legittimazione tributaria passiva non è revocabile in dubbio).
Vista la ratio legislativa (del tutto armonica sia quanto a Regolamento CE n. 882/04 sia quanto a d.lgs. attuativo 194/2008) va dunque ritenuto che la nozione di ‘stabilimenti produttivi’ non osti all’assoggettamento alla tariffa in oggetto non dei soli produttori, ma anche di tutti gli ‘operatori del settore’ e, dunque, anche dei distributori e commercianti; questi ultimi individuati dal legislatore nazionale (All.cit.) secondo il requisito della prevalente attività di ingrosso, la cui ricorrenza non è nella specie contestata.
3.1 Con il secondo e terzo motivo di ricorso la società deduce – ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – il mancato rilievo da parte della commissione tributaria regionale della violazione, ad opera del d.lgs. 194/2008, del Regolamento CE n. 882/04 in esame (Considerando n. 32 ed art. 27, co.4 e 5), di immediata applicazione da parte del giudice interno. Ciò perché il legislatore nazionale ha fissato forfettariamente la tariffa di visita sanitaria sulla base del solo parametro quantitativo, e senza fare riferimento né al criterio del ‘costo’ effettivamente sostenuto dalle autorità preposte ai controlli, né al criterio della ‘situazione specifica’ degli stabilimenti, come desumibile, ex art. 27, co. 5^ cit., dal ‘tipo di azienda del settore interessata e dei relativi fattori di rischio’; dagli interessi delle aziende del settore a bassa capacità produttiva; dai metodi tradizionali impiegati per la produzione, il trattamento e la distribuzione di alimenti; dalle esigenze dell’azienda del settore situata in regioni soggette a particolari difficoltà di ordine geografico.
3.2 Nemmeno queste doglianze – suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche dedotte – sono fondate.
Stabilisce l’art. 3. d.lgs. 194/2008: “Criteri per la determinazione e per l’aggiornamento delle tariffe. 1. La determinazione e l’aggiornamento degli importi delle tariffe di cui al presente decreto avviene sulla base del costo effettivo del servizio, tenuto conto di quanto stabilito all’allegato VI al regolamento (CE) n. 882/2004“.
L’ Allegato A al d.lgs. 194/2008, Sezione 6 cit. – prevede: “Stabilimenti non ricompresi nell’allegato IV sezione B del Regolamento CE n. 882/2004. Per gli stabilimenti non ricompresi nell’allegato IV sezione B Regolamento CE n. 882/2004, al fine di uniformare le modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali attraverso una ripartizione dei costi a livello nazionale, sono previste le tariffe di seguito riportate, calcolate su base annua, differenziate secondo una categorizzazione, calcolata in base al l’entità’ produttiva degli stabilimenti e per fasce produttive (intese in rapporto al prodotto finito e/o alla commercializzazione).
Segue una differenziazione tabellare per ‘tipologia di stabilimento’, per ‘fascia produttiva annua’, e per ‘quantità di prodotto in tonnellate’.
Queste previsioni paiono conformi sia al Considerando n. 32 del Regolamento CE n. 882/04, in base al quale: “Per organizzare i controlli ufficiali dovrebbero essere disponibili adeguate risorse finanziarie. Le autorità competenti degli Stati membri dovrebbero pertanto essere in grado di riscuotere tasse o diritti per coprire i costi sostenuti per i controlli ufficiali. In questo contesto, le autorità competenti degli Stati membri avranno la facoltà di stabilire le tasse e I diritti come importi forfettari basati sui costi sostenuti e tenendo conto della situazione specifica degli stabilimenti. Se si Impongono tasse agli operatori, dovrebbero essere applicati principi comuni. È quindi opportuno stabilire i criteri per la fissazione dei livelli delle tasse di ispezione. (…); sia all’art. 27 Regolamento medesimo, secondo cui; “Tasse o diritti. 1. Gli Stati membri possono riscuotere tasse o diritti a copertura dei costi sostenuti per i controlli ufficiali. 2. Tuttavia, per quanto riguarda le attività di cui all’allegato IV, sezione A, e all’allegato V, sezione A, gli Stati membri assicurano la riscossione di una tassa. (…) 4. Le tasse riscosse ai fini di controlli ufficiali a norma dei paragrafi 1 o 2: a) non sono superiori ai costi sostenuti dalle autorità competenti in relazione ai criteri elencati all’allegato VI, e b) possono essere fissate forfettariamente sulla base dei costi sostenuti dalle autorità competenti in un determinato arco di tempo o, ove applicabili, agli importi stabiliti all’allegato IV, sezione B o all’allegato V, sezione B. 5. Nel fissare le tasse gli Stati membri tengono conto dei seguenti elementi: a) il tipo di azienda del settore interessata e i relativi fattori di rischio; b) gli interessi delle aziende del settore a bassa capacità produttiva; c) i metodi tradizionali impiegati per la produzione, il trattamento e la distribuzione di alimenti; d) le esigenze delle aziende del settore situate in regioni soggette a particolari difficoltà di ordine geografico. (…)
Anche indipendentemente dal fatto – valorizzato dalla commissione tributaria regionale – che nessun rilievo risulta essere stato mosso allo Stato Italiano dall’apposita commissione di conformità prevista dall’art.12 Regolamento cit. (“Gli Stati membri pubblicano il metodo di calcolo delle tasse e lo comunicano alla Commissione. La Commissione esamina se le tasse sono conformi ai requisiti fissati nel presente regolamento”), si ritiene dirimente osservare, da un lato, come la previsione della tariffa in misura forfettariamente calibrata sui costi dell’attività di vigilanza sanitaria sia espressamente consentita dal Regolamento e, dall’altro, come il tariffario nazionale tenga conto della specificità imprenditoriale dell’operatore agroalimentare interessato, attribuendo rilevanza ai parametri sia della tipologia di ‘stabilimento’ e prodotto commercializzato (carne, latte e derivati, uova, acque minerali, ortofrutta ecc…), sia della dimensione quantitativa dell’attività svolta all’ingrosso (c.d. ‘fasce produttive’ in tonnellate annue).
Il legislatore nazionale ha dunque attuato il principio di tendenziale adeguamento del carico tariffario – pur sempre nell’ambito di una legittima imposizione forfettizzata – alle concrete caratteristiche del singolo operatore destinatario dell’attività di vigilanza sanitaria; al quale, del resto, è sempre consentito contestare l’importo richiestogli sotto il profilo del diverso atteggiarsi o del sopravvenuto mutamento, nella concretezza della sua realtà imprenditoriale, dei parametri considerati dall’ente impositore.
Quanto alla localizzazione in regioni di particolare difficoltà di ordine geografico, si tratta di dato discriminante puramente eventuale e, comunque, pacificamente non rilevante nella concretezza della fattispecie; attesa l’ubicazione territoriale della società ricorrente e la mancata allegazione, da parte della stessa, di requisiti agevolativi di questo tipo.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.300,00, oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge;
– v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
– dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.
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