CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 marzo 2021, n. 7179
Tributi – Accertamento – Acquisti per operazioni inesistenti – Frode carosello – Indeducibilità dei costi
Ritenuto in fatto
La M.S. srl impugnava un avviso con cui l’Agenzia Entrate accertava, per l’anno d’imposta 2002, ai fini IRPEG, IRAP ed IVA, un maggior reddito d’impresa, attraverso il recupero a tassazione di costi, ritenuti non deducibili, non inerenti, o documentati da fatture emesse per operazioni inesistenti, perché mai effettuate.
L’adita CTP di Roma accoglieva il ricorso.
L’Agenzia Entrate impugnava tale decisione, deducendone l’erroneità, sia per non avere considerato che l’onere di provare l’effettività delle contestate operazioni gravava sulla contribuente, sia per avere attribuito valenza probatoria alle contestate fatture, sia infine, per avere considerato inerenti, deducibili o di competenza i costi, senza esplicitare le ragioni di tale affermazione.
La CTR, con la sentenza n. 533/01/2011, depositata in data 19.9.2011 accoglieva parzialmente, l’appello dell’Agenzia sul presupposto che non potevano essere riconosciuti i costi dichiarati per l’acquisto di autoveicoli, di complessivi Euro 3.645.047,00, posto che a fronte dei concreti elementi indiziari offerti dall’Ufficio, la contribuente si era limitata a richiamare a supporto le fatture, senza offrire altri concreti elementi, idonei a giustificare l’effettività delle operazioni.
La contribuente ricorreva per la Cassazione della sentenza.
Questa Corte, con sentenza n. 6629/2015 accoglieva il sesto motivo di ricorso con cui era stata denunciata la nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alla richiesta deducibilità dei costi riferiti alle operazioni ritenute inesistenti e, dichiarata la nullità dell’impugnata sentenza, rimetteva la causa innanzi alla CTR del Lazio segnalando “l’applicabilità alla fattispecie del principio giurisprudenziale, da ultimo consolidatosi (Cass. n. 13800/2014, n. 16456/2014, n. 16456/2014, n. 21189/2014) secondo cui “In tema di imposte sui redditi, la disposizione di cui alla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1 (convertito nella L. 26 aprile 2012, n. 44), opera quale ius superveniens con efficacia retroattiva in bonam partem, ai sensi del medesimo art. 8, comma 3;
ne consegue che ai soggetti già coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile la deducibilità dei costi poiché i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente al fine di commettere il reato ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati e venduti” e per pronunciare pure, sugli altri motivi del ricorso, considerati assorbiti.
Riassunto ritualmente il giudizio da parte della contribuente, la CTR con sentenza n. 4202/2017 depositata in data 11.7.2017 accoglieva parzialmente il ricorso limitatamente alle operazioni in cui è stato provato l’effettivo movimento di denaro con pagamento dell’Iva, mediante versamento del mod. F24 e riteneva non deducibili i costi nelle operazioni in cui mancava la prova dell’effettività e della certezza di pagamento.
Avverso la sentenza M.S. s.r.l. ricorre per la cassazione, affidando il suo mezzo a tre motivi, illustrati con memoria.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 19 del DPR 633/72, censura formulata in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per non aver la CTR tenuto conto del giudicato riflesso nei confronti della M.S.
Evidenzia che le contestazioni mosse alla società ricorrente conseguono ad una interposizione fittizia della M.S. nei rapporti intercorrenti tra la F.C. s.r.l. e gli acquirenti finali degli autoveicoli. Il giudizio promosso dalla F.C., avente ad oggetto la medesima operazione, si era concluso con una sentenza della CTR divenuta definitiva, che aveva accertato che le vendite poste in essere tra le due società non erano inesistenti.
La censura è inammissibile.
1.1. La CTR non ha pronunciato sull’eccezione di giudicato riflesso formulata dalla contribuente nel ricorso in riassunzione, tuttavia la questione, in diritto, può essere decisa senza rinvio al giudice di merito.
Questa Corte ha, infatti, affermato, in ipotesi di omessa pronuncia su motivo di gravame che, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. 16171/2017; Cass. 9693/2018).
1.2. La sentenza il cui giudicato riflesso si invoca, riprodotta in ricorso nella parte di interesse, è la sentenza CTR del Lazio n.214/22/12 relativa a diverso anno di imposta (2003) rispetto a quello oggetto di causa.
“La sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente” (Cass. 6953/2015). Peraltro nel processo tributario, “il vincolo oggettivo derivante dal giudicato, in relazione alle imposte periodiche, deve essere riconosciuto nei casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione del rapporto, salvo che, in materia di IVA, ciò comporti l’estensione ad altri periodi di imposta di un giudicato in contrasto con la disciplina comunitaria, avente carattere imperativo, compromettendone l’effettività” (Cass. 9710/2018).
Nella specie, a parte il fatto che si invoca l’efficacia di un giudicato solo riflesso, l’accertamento attiene a differenti operazioni soggettivamente o oggettivamente inesistenti poste in essere in diversi anni di imposta, sicché la sentenza non può assumere nessuna efficacia di giudicato nel presente giudizio.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 19 primo comma del DPR 633/1972, dell’art. 17, primo comma , lettera a) della VI direttiva CE 388/1977 e dell’art. 167 della Direttiva del Consiglio Europeo 112/06, per avere i giudici della CTR negato il diritto alla detrazione dell’Iva in assenza di una frode, nonché violazione degli artt. 23, 25 e 27 del DPR 633/1972, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Lamenta che la CTR aveva negato il diritto alla detrazione prescindendo dalla prova documentale dell’assenza di evasione affermando che il diritto alla detrazione spettava solo in caso di pagamento di F24 con saldo a debito. Formula istanza di rinvio pregiudiziale condizionato alla Corte di Giustizia CE.
La censura non è fondata.
2.1. La CTR ha affermato che l’ufficio aveva fornito una adeguata prova presuntiva della inesistenza delle operazioni sulla base di svariate considerazioni.
In particolare la CTR ha valorizzato l’inserimento della società M.S. srl in un più ampio contesto societario riferibile alla stessa proprietà operante nel commercio delle autovetture: “dalla visura camerale risulta che la compagine sociale della M.S. srl, i cui titolari delle quote sociali sono i signori M.F., C. e A. è la medesima delle altre imprese ad essi riconducibili operanti nel medesimo settore commerciale quali la F.C. 90 srl, C.C. s.r.l. e T.C. srl., con sede operativa tutte in Ciampino…. in particolare M.F. è legale rappresentante sia della M.S. che della F.C. s.r.I .. La M.S. è stata costituita per fornitura di servizi con atto del 2000 e soltanto nel 2005 ha presentato una dichiarazione di inizio attività per l’esercizio di noleggio di veicoli senza conducente. La società N.I. s.r.l. solo in data 19.11.2003 sottoscriveva con la M.S. un contratto per la fornitura di autoveicoli N. da destinare ad attività di noleggio senza conducente…. La M.S. che doveva destinare a noleggio autovetture nuove, si interpone fittiziamente alla F.C. s.r.I.. In realtà le autovetture venivano vendute in assenza di licenza commerciale, pertanto abusivamente, alla clientela della F.C. o ad altri soggetti eventi rapporti commerciali fittizi con le due compagini sociali di cui coincideva il rappresentante legale. La F.C., nonostante le vendite, ometteva in taluni casi le fatture, in altri casi fatturava a terzi non acquirenti, in altri casi rivendeva alla M.S. le autovetture che questa le aveva precedentemente venduto. A riprova di detta fittizia interposizione, vi era la consegna delle autovetture nelle mani proprie della F.C. anzicchè in quelle dell’acquirente M.S….. Inoltre la F.C. aveva trasferito le proprie disponibilità finanziare sul conto corrente della M.S. assumendosi l’impegno finanziario del pagamento delle operazioni commerciali con la N.I. s.r.l.”.
“I controlli effettuati a scandaglio dei telai riportati nei documenti di trasporto, esibiti dalla N.I. s.r.I., recavano quale data di trasporto e consegna un periodo successivo a quello di fatturazione degli autoveicoli… Negli anni in contestazione risultavano fatturati dalla M.S. un numero di telai superiori a quelli risultati dai documenti di trasporto della N.I.. Solo negli anni 2002 e 2003 risultavano fatturati numero 1019 telai a fronte di n.27 risultati dai DDT riferiti a detto periodo….”
La CTR ha inoltre esaminato le varie fatture di acquisto concludendo che alcune delle operazioni erano di interposizione fittizia della M.S. con emissione quale cedente di fatture attive e a volte quale acquirente cessionaria in fatture passive. La CTR ha, inoltre, osservato che nelle vendite non veniva istituito il registro obbligatorio delle cose usate che prevede la annotazione delle generalità dei contraenti, la data della acquisizione, la specie della merce e il prezzo, né il registro degli affari o del Commercio obbligatorio da utilizzare quando il concessionario opera nella qualità di intermediario del quale devono risultare le generalità del committente, la data, la natura della commissione, il premio pattuito e l’esito dell’operazione soggetto a vidimazione formale.
Con riferimento al pagamento la CTR ha osservato che la M.S. aveva…. “effettuato presunti pagamenti in contanti nelle poste attive di acquisto di ingenti somme nei confronti della F.C. e portato l’Iva a credito sui registri acquisti sulla maggioranza delle operazioni….. I pagamenti in denaro contante per le poste passiveacquisti erano stati presuntivamente ricevuti dalla F.C. s.r.l. con annotazione in fattura dell’importo, scorporando l’Iva della ricorrente M.S. s.r.l. e versandola in rivalsa nella quasi totalità delle operazioni, come annotato sul registro iva acquisti. Del pagamento in contanti non era stata data prova circa l’effettività del movimento di denaro…..”
La CTR ha osservato la palese antieconomicità della mancanza di un ricarico e il comportamento della società che vendeva a prezzi quasi uguali o inferiori al prezzo di acquisto, automobili acquistate dalla F.C. e subito rivendute alla stessa, tanto che le vetture non venivano spostate dallo stesso piazzale comune. La CTR ha, inoltre, rilevato che la documentazione era firmata dal responsabile aziendale nella duplice veste di amministratore di entrambe le società, sottolineando come le fatture di vendita spesso venivano emesse prima di quelle di acquisto .
La CTR ha, tra gli altri elementi presuntivi, rilevato l’anomalia dei mezzi di pagamento, ritenendo effettive, tra quelle complessivamente esaminate, solo le operazioni in cui è stato provato l’effettivo movimento di denaro, ma non ha mai affermato che il diritto alla detrazione spetti solo in caso di pagamento di F24 con saldo a debito.
2.2. Al fine di poter esercitare il diritto alla detrazione Iva occorre la coesistenza di un duplice presupposto, uno di natura sostanziale, dato dall’effettuazione dell’operazione e, uno di natura formale, dato dal possesso di una valida fattura d’acquisto, così come previsto dalla Direttiva 2006/112/CE.
Nel caso di frodi Iva, lo schema tipico adottato dal contribuente, per sottrarre materia imponibile a tassazione, è dato dall’emissione di fatture che dal punto di vista formale/contenutistico rispondono ai requisiti stabiliti dalla legge ma che, tuttavia, a tale apparenza non corrisponde altrettanta veridicità; la falsità della fattura, a prescindere dalla sua regolarità formale, è sintomatica di operazioni che in realtà non sussistono.
La CTR ha osservato che l’inesistenza delle operazione era in parte oggettiva, in quanto le operazioni indicate in fattura non erano mai avvenute e in parte soggettiva in quanto alcune operazioni erano state concretamente poste in essere ma da soggetti diversi rispetto a quelli risultanti dalla fattura.
2.3. La tematica della detraibilità dell’Iva (e così pure per le imposte dirette, per le quali, peraltro, rilevano anche altre indicazioni), nel caso di fatturazione per operazioni inesistenti (oggettivamente o soggettivamente) o per operazioni comunque iscritte in un meccanismo negoziale attuato allo scopo di frodare il fisco è stata oggetto di numerose decisioni di questa Corte, che hanno investito – alla luce di ripetuti interventi della Corte di Giustizia – che cosa deve essere provato e come è ripartito l’onere della prova tra fisco e contribuente (tra le tante v. Cass. n. 20059 del 2014, Rv. 632476, Cass. 24426 del 2013, Rv. 629419, Cass. 23074 del 2012, Rv. 625037).
Va premesso, innanzitutto, che una regolare fattura, conforme ai requisiti di forma e contenuto richiesti dalla vigente disciplina (e, in ispecie, dall’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972), fa presumere la verità di quanto in essa rappresentato, sicché costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA, spettando all’Ufficio, di fronte alla sua esibizione, provare il difetto delle condizioni per la detrazione.
Nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, peraltro, l’operazione è effettiva ed esistente ma la fattura è stata emessa da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente è stato realmente destinatario): ne deriva che l’IVA non è, in linea di principio, detraibile perché versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta.
In altri termini, non entrano nel conteggio del dare ed avere ai fini IVA le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture riguardano operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti, senza che rilevi che le stesse fatture costituiscano la “copertura” di prestazioni acquisite da altri soggetti (v. Cass. 20060 del 2015, Rv. 636663): ai sensi dell’articolo 168, lett. a), della direttiva 2006/112, del resto, per poter beneficiare del diritto a detrazione, occorre, da un lato, che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva e, dall’altro, che i beni o servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e che, a monte, detti beni o servizi siano forniti da un altro soggetto passivo.
In una simile ipotesi è configurabile, anche in applicazione della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, una esigenza di tutela della buona fede del contribuente, fermo restando, in ogni caso, che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione, sicché un soggetto passivo che sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA dev’essere considerato, ai fini della direttiva 2006/112, partecipante a tale evasione, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle.
Nella ripartizione dell’onere della prova occorre considerare che il diniego del diritto a detrazione segna un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce: incombe, quindi, sull’amministrazione tributaria provare, sia pure anche solo in base a presunzioni, gli elementi oggettivi che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente (Corte di Giustizia, in C- 285/11, Bonik; Corte di Giustizia, in C-277/14, Ppuh, par. 50);
Una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente, senza che, dunque, ne derivi una astratta e predeterminata inversione dell’onere della prova (Corte di Giustizia, in C-6/16, Eqiom).
2.4. In caso di operazioni oggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta non può in alcun modo farsi discendere – anche sul piano probatorio – dal solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza dell’operazione all’impresa, che è certamente mancante in relazione al pagamento dell’I.V.A. corrisposta per operazioni (anche parzialmente) inesistenti, in quanto di per sé inidoneo a configurare un pagamento a titolo di rivalsa, trattandosi di costo non inerente all’attività dell’impresa, ed anzi potenziale espressione di detrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza (Cass. n. 735 del 19/1/2010; n. 6973 del 8/4/2015).
2.5. Nel caso di specie, la decisione impugnata si è attenuta ai principi sopra enunciati, individuando le presunzioni sia per qualificare le operazioni poste in essere come soggettivamente o oggettivamente inesistenti sia per ritenere comprovata la conoscenza o conoscibilità, da parte del contribuente, con l’uso dell’ordinaria diligenza, della sostanziale inesistenza dei propri contraenti.
Vero è che la CTR non ha specificamente precisato gli elementi da cui derivare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una operazione fraudolenta, ma tale indicazione è chiaramente desumibile dall’insieme delle circostanze valutate singolarmente ed unitariamente dal giudice d’appello che ha posto a base del proprio ragionamento la sostanziale identità della compagine e sociale della M.S. srl e della F.C. 90 srl.
2.6. La sentenza è coerente con i principi unionali di neutralità del tributo, sicché deve essere disattesa la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE.
3.Con il terzo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 384 comma 2 c.p.c. in relazione all’art. 14 comma 4 bis della legge 537/93 per non essersi attenuta la CTR a quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza di rinvio.
La censura non è fondata.
3.1. Questa Corte con la sentenza n.6529/2015 ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla CTR del Lazio affermando “l’applicabilità alla fattispecie del principio giurisprudenziale, da ultimo consolidatosi (Cass. n. 13800/2014, n. 16456/2014, n. 16456/2014, n. 21189/2014 ) secondo cui “ In tema di imposte sui redditi, la disposizione di cui alla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1 (convertito nella L. 26 aprile 2012, n. 44), opera quale ius superveniens con efficacia retroattiva in bonam partem, ai sensi del medesimo art. 8, comma 3; ne consegue che ai soggetti già coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile la deducibilità dei costi poiché i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente al fine di commettere il reato ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati e venduti” e per pronunciare pure, sugli altri motivi del ricorso, considerati assorbiti.
L’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., in I. n. 44 del 2012, ha stabilito che i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti – siano o meno inseriti in una cd. frode carosello – sono deducibili per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle relative operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, ovvero di costì relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (Cass. 32587/2019).
3.2. Correttamente la CTR ha escluso la deducibilità dei costi laddove non era stata fornita la prova del pagamento e quindi che il costo fosse stato sostenuto.
3.3. Solo nelle memorie depositate ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c. la ricorrente ha invocato l’applicazione dell’art. 8 comma 2 dl n.16/2012 come conv. nella l. 44/2012 – costituente ius superveniens, applicabile in forza del successivo comma 3. Con riguardo alle operazioni inesistenti, quali configurabili nel caso di specie, l’art. 8 comma 2 cit., – ha stabilito che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese (Cass. 27040/2014 e Cass. 25967/2013). In tal caso, dunque, fermo l’onere a carico del contribuente di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, siano anch’essi fittizi, detti componenti positivi vanno esclusi dalla base imponibile, fatta salva l’applicazione di una sanzione amministrativa.
Nella specie, tuttavia, la sentenza di rinvio faceva esclusivamente riferimento all’art. 8 comma 1 del d.l. n. 16 del 2012, la ricorrente non ha mai invocato l’applicazione del comma 2, né ne ha mai affermato i presupposti.
Questa Corte ha affermato che “si applica l’ius superveniens di cui il ricorrente non abbia fatto menzione nel ricorso introduttivo, sebbene notificato successivamente all’introduzione della norma, laddove il motivo di ricorso censura la corretta definizione di un regime giuridico che necessariamente presuppone l’applicazione della norma sopravvenuta” (Cass. 22016/2020).
Il ricorso deve essere, pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.