CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 marzo 2021, n. 7187
Tributi – TIA1 – Immobile utilizzato come carrozzeria, autofficina ed elettrauto – Applicabilità
Ritenuto che
1. Con avviso di accertamento la A.T. S.r.l., quale concessionaria del servizio di accertamento TIA per conto del Comune di Tivoli, chiedeva alla M.M. S.n.c. il pagamento di €. 20.077,15 relativi al periodo 2008-2011 in relazione al fabbricato utilizzato dalla contribuente per carrozzeria, autofficina ed elettrauto per una superficie complessiva di mq. 746 rispetto a quella dichiarata di mq 23. In particolare, l’ente impositore chiedeva il pagamento della quota fissa e di quella variabile della tariffa relativamente alla superficie di mq 42 (ufficio, bagno e sala di attesa); della sola quota fissa per la superficie di mq 334 (officina, carrozzeria ed elettrauto), della quota fissa e di quella variabile con riduzione del 50% delle stesse per le aree scoperte pari a mq 370.
2. La contribuente impugnava il suddetto avviso deducendone, tra gli altri, il difetto di motivazione e l’errata applicazione del tributo.
3. La Commissione tributaria Regionale di Roma, con sentenza n. 1248/14/17 della depositata il 14/3/2017, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva l’appello della contribuente e, per l’effetto, annullava l’avviso di accertamento sul rilievo che agli effetti della TIA1, in difetto di delibera comunale di assimilabilità ai rifiuti urbani, non sono tassabili le aree adibite ad attività produttive in quanto producono rifiuti speciali.
4. Avverso tale sentenza la A.T. S.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
3. La contribuente si è costituita con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, c. p.c. la violazione dell’art. 57 e 58 del d.lgs. n. 542 del 1992 (ndr art. 57 e 58 del d.lgs. n. 546 del 1992).
La ricorrente rileva che la CTR era incorsa in un error in procedendo, avendo la contribuente solo in sede di appello eccepito la non debenza della TIA sul rilievo che produceva solo rifiuti speciali per i quali provvedeva autonomamente al relativo smaltimento per come emergeva dai documenti depositati. In ragione della novità della causa petendi la stessa, a parere della ricorrente, andava dichiarata inammissibile.
2. Con il secondo motivo viene dedotto, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992 in punto di disapplicazione degli artt. 11 e 11 bis del Regolamento comunale TIA approvato con Delibera CC n 38 del 2006; nonché la violazione dell’art. 2697 c.c. anche in relazione alla presunzione di cui all’art. 61 del d.lgs. n. 507 del 1993.
La ricorrente rileva che la CTR avrebbe erroneamente individuato il thema decidendum nella mancata assimilazione dei rifiuti speciali a quelli ordinari da parte del Comune di Tivoli, con conseguente disapplicazione degli artt. 11 e 11 bis del Regolamento comunale che prevedevano la tassazione dei rifiuti prodotti dall’autofficina del contribuente; diversamente l’oggetto del giudizio era da individuarsi nella richiesta di liquidazione della quota fissa TIA in relazione ai suddetti rifiuti speciali.
3. Il primo motivo non è fondato.
Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, la contribuente, sin dall’originario ricorso, ha eccepito la non debenza della TIA richiesta, assumendo all’uopo rilievo la doglianza relativa al mancato riferimento nell’atto impositivo ad eventuali provvedimenti comunali con i quali si erano determinati i criteri sulla cui base quantificare l’imposta dovuta.
4. Il secondo motivo è fondato.
4.1 Va necessariamente premesso che la questione controversa, così come indicato dalla ricorrente e erroneamente ritenuto dalla CTR, non attiene all’assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, ma all’applicabilità ai primi, in caso di loro mancata assimilazione ai secondi, della TIA1.
4.2 Così individuato l’oggetto del giudizio va osservato che il regime fiscale dei rifiuti, a partire dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), prevista dal d.lgs. n. 507 del 1993, ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, in quanto la TARSU è stata sostituita dalla TIA1 (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 (cd Decreto Ronchi), e questa, a sua volta, dalla TIA2 (tariffa integrata ambientale), di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente).
In particolare, l’art. 238 cit., al comma 1, prevede che «La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11», il quale recita che «Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti».
Poiché tale regolamento ministeriale non è stato adottato (entro il prorogato termine del 30 giugno 2010), sono rimaste in vigore, ed applicate dai Comuni nei rispettivi territori sia la TARSU che la TIA1, prevista dal d.lgs. n. 22 del 1997, alla quale, per effetto dei commi 183 e 184 della l. n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), sono stati estesi i criteri di determinazione della TARSU.
La tassa rifiuti (TARI) ha sostituito, a decorrere dal 1 gennaio 2014, i preesistenti tributi dovuti ai comuni dai cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (TARSU e, successivamente, di TIA e TARES), conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria. L’imposta è dovuta, ai sensi della legge 27 dicembre 2013 n. 147.
4.3 Quanto alle diverse tipologie di rifiuti oggetto di tassazione, il d.lgs. n. 507 del 1993, all’art. 60, equiparava ai rifiuti urbani i rifiuti derivanti da attività artigianali, commerciali e di servizi che fossero dichiarati assimilabili ai rifiuti urbani interni, con apposito regolamento, dai comuni, mantenendo il regime convenzionale per i rifiuti speciali non equiparabili.
Su tale impianto normativo è, poi, intervenuta la l. n. 146 del 1994, il cui art. 39 ha abrogato il sopra citato art. 60, disponendo l’assimilazione ope legis ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali «indicati al n. 1, punto 1.1.1, lettera a), della Deliberazione del 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale di cui all’art. 5 del citato decreto del 1982, nonché gli accessori per l’informatica». In particolare, la deliberazione richiamata dall’art. 39 cit., a sua volta, quanto all’assimilazione dei rifiuti speciali assimilati a quelli urbani, faceva riferimento ai punti 1, 3, 4 e 5 dell’art. 2, comma quarto, del d.p.r. n. 915 del 1982 ai residui derivanti da lavorazioni industriali da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi, che per quantità e qualità non fossero inizialmente assimilabili ai rifiuti urbani, oltre a materiali provenienti da demolizioni, costruzioni e scavi, macchinari e apparecchiature deteriorati o obsoleti, veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso, residui dall’attività di trattamento dei rifiuti.
Venivano così assimilati ai rifiuti urbani sostanzialmente tutti i rifiuti speciali, esclusi quelli ospedalieri e quelli tossici e nocivi di cui all’art. 2, comma 4, punto 2, e comma 5 del predetto decreto del 1982, non incisi, come visto, dalla delibera interministeriale, così che, a seguito di tale nuovo regime, non poteva interferire l’apprezzamento discrezionale dei Comuni circa l’assimilabilità o meno del rifiuti speciali, riferendosi l’autosmaltimento anche in regime di convenzione, menzionato all’art. 39, n. 2, della legge 146/94, esclusivamente alle ultime tre categorie predette.
Il suddetto art. 39 è stato successivamente abrogato dall’art. 17 della l. n. 128 del 1998, di talché è venuta meno l’assimilazione ope legis sopra indicata e divenuto nuovamente operante il d.lgs. n. 22 del 1997 sulla TIA e, conseguentemente, gli artt. 7 e 21 di detto decreto che prevedevano la necessità di un provvedimento dell’ente impositore di assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali derivanti da attività commerciali, industriali e di servizi.
Con riferimento alle annualità di imposta dal 1997 in poi, assumono quindi decisivo rilievo le indicazioni dei regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari (Vedi Cass. n. 21342 del 2008; Cass n. 14816 del 2010 e Cass. n. 22223 del 2016), in quanto con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997 è stato restituito ai Comuni (cfr Cass. n. 18303 e n. 18382 del 2004) il potere di assimilare ai rifiuti urbani ordinari alcune categorie di rifiuti speciali, fra cui quelli prodotti da ditte commerciali, anche “per qualità e quantità” (art. 21, comma 2, lett. g).
4.4 Alla luce del riportato quadro normativo, con l’art. 49 (Istituzione della tariffa) del d.lgs. n. 22 del 1997, il legislatore ha attribuito ai Comuni l’obbligo di effettuare, in regime di privativa, la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati; gestione per la quale viene prevista una «tariffa» per la copertura integrale dei relativi costi; tariffa che, ai sensi del comma 3 «deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale»; e che ai sensi del successivo comma 4 «è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti» (quota fissa) «e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione (…)» (quota variabile). Il comma 14 precisa, poi, che su tale tariffa è applicato un «coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi».
Per effetto di tale disposizione si evince, in primo luogo, che nel passaggio dall’imposizione basata sul tributo (TARSU) a quella basata sulla tariffa (TIA1) il legislatore ha stabilito che essa è composta da una quota fissa e una quota variabile. I criteri di determinazione di tali due parti della TIA sono contenuti nel D.P.R. n. 158 del 1999, che prevede indici costruiti, tra l’altro, sulla quantità totale dei rifiuti prodotti nel Comune, sulla superficie delle utenze, sul numero dei componenti il nucleo familiare delle utenze domestiche, su coefficienti di potenziale produzione di rifiuti secondo le varie attività esercitate nell’ambito delle utenze non domestiche.
Altro principio che si evince dall’art. 49 cit. è quello secondo cui l’autonomo avviamento a recupero dei rifiuti, da parte del produttore di essi, non comporta l’esclusione dal pagamento dell’imposta, ma determina una riduzione proporzionale della sola parte variabile di tale tariffa.
Infine, la TIA ha carattere “universale” essendo ad essa soggetti tutti i locali siti nel territorio dell’ente comunale impositore.
4.5 Questa Corte, (ex plurimis e da ultimo Cass. n. 33757 del 2019) ha affermato che la quota fissa della TIA è dovuta sempre per intero, sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, in quanto destinata a finanziare i costi essenziali del servizio nell’interesse dell’intera collettività, mentre ogni valutazione in ordine alla quantità di rifiuti concretamente prodotti dal singolo, ed al servizio effettivamente erogato in suo favore, potrà incidere solo ed esclusivamente sulla parte variabile della tariffa. In sostanza, a differenza di quanto previsto per la quota fissa, la qualità e quantità di rifiuti prodotti incide nella determinazione della quota variabile della TIA che può essere legittimamente pretesa, in misura intera o ridotta, solo in presenza di una effettiva produzione di rifiuti urbani o assimilati, con conseguente esclusione dell’assoggettamento a tale parte del tributo di quelle superfici ove il contribuente dimostri di non produrre rifiuti o di produrre esclusivamente rifiuti speciali smaltiti, pertanto, autonomamente.
Il presupposto impositivo della parte variabile della TIA va individuato nella produzione effettiva di rifiuti urbani o assimilati; per questi ultimi, laddove sia stato istituito ed effettivamente svolto il servizio per tale smaltimento, può trovare applicazione la facoltà dei Comuni di prevedere una riduzione, sempre della sola parte variabile della tariffa, ai sensi del art. 49 citato, comma 14, nel caso in cui il contribuente provi di smaltire in proprio, in tutto o in parte, i rifiuti assimilati prodotti.
Di converso, in presenza di locali destinati alla produzione di rifiuti speciali non assimilati, per lo smaltimento dei quali il contribuente deve necessariamente provvedere in proprio tramite un operatore qualificato, l’esenzione dal pagamento della quota variabile della tariffa è totale, fermo restando, tuttavia, l’obbligo del pagamento della quota fissa (Cass. n. 9858 del 2016), che non è parametrata alla quantità dei rifiuti gestiti dal servizio pubblico e ai costi di erogazione di tale servizio, ma è destinata per legge alla “copertura” dei costi di investimento ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (Cass. n. 14038/2019).
Tali conclusioni risultano, peraltro, coerenti con la norma regolamentare statale di cui all’art. 7 n. 2 del d.P.R. n. 158 del 1999, secondo cui alla quota variabile della tariffa per le utenze non domestiche si applica una riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di avere avviato a recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi.
In conclusione, va affermato che la quota fissa è dovuta a prescindere da un nesso sinallagmatico con il servizio, sulla base del mero possesso o detenzione di locali, a qualsiasi uso adibiti, nel territorio comunale a copertura dei costi generali del servizio. La TIA, deve, infatti, per come sopra visto, garantire la copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade. La quota fissa è determinata in modo da coprire le componenti essenziali del costo, quali gli investimenti, gli ammortamenti, ma anche il costo dei rifiuti esterni. Quindi, per come affermato anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2009, la quota fissa serve a «coprire anche le pubbliche spese afferenti ad un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e non riconducibile ad un rapporto sinallagmatico».
Per quanto, in particolare, attiene alle aree scoperte, l’art 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, dispone che «Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Ai fini della determinazione della predetta superficie non tassabile il comune può individuare nel regolamento categorie di attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l’attività viene svolta».
Da tale disposizione si evince che per i rifiuti speciali tossici e nocivi il legislatore ha concesso ai Comuni la facoltà di individuare, ai fini della determinazione della superficie non tassabile, categorie di attività produttive di rifiuti speciali, tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto all’intera superficie su cui l’attività viene svolta e ciò in ragione del loro smaltimento a cura del possessore dell’area, di talché non vi è per esse alcun esonero totale dal pagamento dell’imposta. Nel caso di specie il Comune di Tivoli, per effetto dell’art. 11 bis del Regolamento comunale, ha previsto per l’area scoperta adibita a stoccaggio auto una riduzione del 50%.
Va, poi, osservato che questa Corte (ex plurimis Cass. n. 12979 del 2019, n. 10634 del 2019) ha affermato che è onere del contribuente provare, a fronte della pretesa impositiva dell’Amministrazione, che tali aree producono “solo” rifiuti speciali, prova assente nel caso di specie, e solo all’esito di tale onere e in assenza di loro assimilazione a quelli urbani, spetta l’esenzione del pagamento della quota variabile della TIA.
4.6 Da quanto sopra si evince, da un lato, l’erronea individuazione della questione controversa da parte della CTR, laddove essa fonda la propria decisione sulla mancata assimilazione dei rifiuti speciali prodotti dalla contribuente a quelli urbani, facendo da ciò derivare la loro non tassabilità e, dall’altro, la piena legittimità, dell’impugnato avviso di accertamento quanto al pagamento della quota fissa e variabile dei rifiuti urbani di cui ai locali adibiti ad ufficio e servizi; della sola quota fissa per i rifiuti speciali non assimilati riferiti all’officina; della richiesta di liquidazione della quota fissa e variabile, con riduzione del 50%, per i rifiuti relativi all’area scoperta (area stoccaggio auto e tettoia),
Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., mediante rigetto dei ricorsi introduttivi.
6. Le spese di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dei gradi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art. 384 cod.proc.civ., rigetta l’originario ricorso della contribuente.
Condanna la controricorrente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €. 2.500,00 oltre spese e accessori come per legge; compensa il merito.
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