CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 marzo 2021, n. 7188
Tributi – TARSU – Immobili adibiti a supermercato – Delibere di determinazione delle tariffe – Competenza – Delibera adottata dalla Giunta comunale – Legittimità
Ritenuto che
1. La Commissione tributaria Regionale di Palermo, con sentenza n. 4305/29/16, depositata il 12/12/2016, ha confermato la cartella di pagamento di €. 101.963,00 relativa alla TARSU per gli anni 2007-2008-2009 relativa a di diversi immobili siti nel Comune di Palermo Via G.T. adibiti a supermercato e, per l’effetto, riformava la sentenza di primo grado emessa dalla CTP di Palermo.
2. Avverso tale sentenza la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
3. Il Comune di Palermo si è costituito con controricorso.
Considerato che
1. La C.V. S.p.a. deduce, ex art 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 7, comma 5, d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 13 della legge regionale Sicilia n. 7 del 1992 anche in combinato disposto con l’art. 4 della legge n 142 del 1990, con l’art. 49 dello Statuto del Comune di Palermo, dell’art. 65 del d.lgs. n. 507 del 1993 e dell’art. 14 del Regolamento TARSU del Comune di Palermo.
La ricorrente censura la sentenza della CTR nella parte in cui ha ritenuto non fondato il motivo di appello relativo al difetto di legittimazione in capo alla Giunta del Comune di Palermo di deliberare in materia di TARSU. Sul punto, infatti, assumerebbe rilievo l’intervenuto giudicato amministravo che aveva dichiarato illegittima, per difetto di competenza in capo alla suindicata Giunta, la delibera n 165 del 2016 con la quale essa aveva determinato la TARSU per l’anno 2016.
Per effetto di ciò e del rilievo che le delibere di Giunta poste a fondamento della cartella impugnata erano meramente ripetitive di quella n 165 cit, la CTR avrebbe dovuto, previa constatazione dell’illegittimità disapplicare, ex art 7 cit., le indicate delibere di Giunta per vizio di incompetenza essendo, al contrario, competente in materia il Consiglio comunale per come si evinceva dalle norme sopra riportate.
2. Il ricorso non è fondato.
2.1 Va preliminarmente osservato che l’annullamento con sentenza passata in giudicato del TAR n. 1550 del 2009 della delibera TARSU per l’anno 2006, pur essendo definitivo e pur avendo indubbia efficacia erga omnes in relazione alla annualità da esso considerata, non si estende alle delibere TARSU concernenti le annualità successive (non impugnate), quand’anche meramente riproduttive della delibera annullata.
Ricorre, in proposito, il condiviso orientamento di legittimità, afferente a fattispecie analoga a quella in esame e, in particolare, al pagamento della TARSU richiesto dal Comune di Palermo, secondo cui (Cass. n.1979 del 2018) «non può affermarsi la nullità della delibera Tarsu afferente l’anno 2010 sulla base del fatto che essa recepiva il contenuto della delibera adottata per l’anno 2006 che era stata annullata. Ciò in quanto l’adozione della delibera n. 121 del 29 giugno 2010 è frutto di una nuova volontà procedimentale che si concretizza per ogni anno solare di imposta, sicché ogni deliberazione tariffaria costituisce nuova regolamentazione della materia giuridicamente autonoma rispetto alle determinazioni assunte negli anni precedenti». In termini è Cass. n. 15050 del 2017, la quale, con riferimento alla stessa delibera oggetto del presente procedimento (n. 120 del 2008), in motivazione ha osservato che «il primo motivo è infondato, essendo pacifico che l’impugnata cartella non abbia quale atto presupposto la delibera annullata (G. M. 165/2006), bensì una successiva (G.M. 120/2008), la quale ultima, a prescindere dal rapporto contenutistico con l’altra, è autonomamente idonea a sorreggere l’atto derivato». Il richiamato indirizzo giurisprudenziale si fonda sul fatto che la delibera Tarsu annullata in sede amministrativa non costituisce il presupposto delle delibere successive, con la conseguenza che queste ultime non vengono automaticamente travolte dall’annullamento giurisdizionale della prima, potendo venir meno solo all’esito di impugnativa, e di esplicita ed autonoma pronuncia giurisdizionale di annullamento.
Tale conclusione, fatta propria anche dalla giustizia amministrava richiamata dal controricorrente (Tar Sicilia n. 130 del 26.1.2011; CGA Sicilia n. 420 del 26/7/2006), non muta in considerazione della ripetitività di contenuto delle delibere Tarsu successive, dal momento che essa costituisce espressione di una rinnovata ed autonoma volontà provvedimentale generale di conferma, e non rappresenta una conseguenza dipendente e necessitata della delibera annullata (il che, del resto, è conforme a quanto stabilito dalla legge in ordine all’esigenza che le tariffe Tarsu vengano deliberate dal Comune di anno in anno).
2.2 Escluso che la delibera successiva possa ritenersi invalida per derivazione dalla delibera antecedente annullata, resta da valutare se l’annullamento della delibera antecedente possa – o addirittura debba – rilevare sul diverso piano della disapplicazione della delibera successiva da parte del giudice tributario, ex art.7, comma 5, d.lgs. n. 546 del 1992 così per come invocato dalla contribuente.
L’art. 7, comma 5, cit., prevede che le «commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente». La norma subordina il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice tributario ad un previo vaglio originario ed autonomo della illegittimità dell’atto; facendo difetto qualsivoglia nesso di necessaria consequenzialità rispetto alla pronuncia invalidante eventualmente già resa, con riguardo ad un diverso e non impugnato atto amministrativo precedente, dal giudice amministrativo.
Alla luce di quanto sopra va rilevato che la sentenza n. 1640 del 2017 di questa Corte richiamata dalla ricorrente è pervenuta a disapplicare la delibera Tarsu 2008 per effetto dell’annullamento giurisdizionale della medesima delibera relativa all’anno 2006, laddove tale decisione è fondata, da un lato, sull’esclusione di qualsivoglia effetto espansivo da giudicato amministrativo esterno e, d’altro lato, sulla sola considerazione che la parte ricorrente aveva sostenuto l’illegittimità in via incidentale, dinanzi al giudice tributario, della delibera tariffaria successiva per la “medesima ragione di diritto posta a base dell’annullamento da parte del giudice amministrativo della precedente delibera”, il che stabiliva una diretta “correlazione tra il sollecitato potere di disapplicazione (…) e l’oggetto della specifica impugnazione da parte della contribuente”.
Ed invero, in diverse altre pronunce (anch’esse relative alla Tarsu Palermo) questa Corte di legittimità ha ritenuto che la suindicata correlazione costituisca elemento necessario, ma non sufficiente, per la disapplicazione dell’atto amministrativo ex art.7 cit.; la quale muove pur sempre da una delibazione autonoma da parte del giudice tributario, e non da un automatismo di derivazione.
Ed è proprio nell’esercizio di tale autonoma delibazione che queste pronunce, come si vedrà, hanno escluso la disapplicazione delle delibere Tarsu successive a quella annullata, non ravvisando in esse – pur in presenza della già menzionata reiterazione di contenuto – il vizio di incompetenza (emanazione da parte della giunta invece che del consiglio comunale) posto a fondamento dell’annullamento ad opera del giudice amministrativo.
2.3 Deve ora affrontarsi il tema della dedotta illegittimità delle delibere tariffarie Tarsu relative agli anni 2007-2008 e 2009 successive a quella del 2006 oggetto di annullamento da parte del TAR con la sentenza sopra richiamata, avendo l’orientamento di legittimità in materia (tra le altre, Cass. nn. 360/14, 8336/15, 913/16, 11959/16, 15150/17, 17497-8/17, 1979/18, 3187/18) attribuito alla giunta palermitana, e non al consiglio comunale, la competenza per l’emanazione di tali delibere.
In proposito va rilevato che ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. f) del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL), il Consiglio comunale ha competenza alla «istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi».
Il successivo l’art. 48, comma 2, definisce invece la competenza residuale della Giunta precisando che «la giunta compie tutti gli atti rientranti ai sensi dell’articolo 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia o degli organi di decentramento».
Dal combinato disposto delle norme sopra indicate discende che la fissazione delle aliquote tributarie spetta alla Giunta comunale in quanto organo di competenza residuale.
Tuttavia in Sicilia il TUEL non sì applica, in quanto regione a Statuto speciale che non lo ha recepito (art. 1, comma 2 TUEL).
Ed invero, in base allo Statuto speciale della Regione Siciliana (approvato con RD Lgs. n. 455 del 1946 conv. in I. Cost.2 del 1948) tale materia è infatti demandata alla potestà legislativa esclusiva della Regione, con la conseguenza che le norme statuali hanno efficacia solo se richiamate con apposita legge regionale.
In ragione di ciò in Sicilia continua ad applicarsi la legge sull’ordinamento delle autonomie locali n.142 del 1990, come recepita con legge regionale n. 48 del 1991 (art.1 lett.a)).
Ciò precisato, va affermato che questa Corte – pur nella vigenza della legge n. 142 del 1990 cit. (art. 32, comma 2, lett. g)) – ha affermato che «la concreta determinazione delle aliquote delle tariffe per la fruizione dei beni e servizi è di competenza della giunta e non del consiglio comunale poiché il riferimento letterale alla “disciplina generale delle tariffe” contenuto nella disposizione, contrapposto alle parole “istituzione e ordinamento” adoperato per i tributi, rimanda alla mera individuazione dei criteri economici sulla base dei quali si dovrà procedere alla loro determinazione e, inoltre, i provvedimenti in materia di tariffe non sono espressione della potestà impositiva dell’ente, ma sono funzionali alla individuazione del corrispettivo del servizio da erogare, muovendosi così in un’ottica di diretta correlazione economica tra soggetto erogante ed utenza, estranea alla materia tributaria» (ex plurimis Cass. n. 28675 del 2018).
Non pare che a diversa conclusione si pervenga – per la città di Palermo – in considerazione dell’art. 49 dello statuto comunale, secondo il quale la giunta è competente, tra il resto, a procedere «a variazioni delle tariffe ed aliquote dei tributi comunali e dei corrispettivi dei servizi a domanda individuale entro i limiti indicati dalla legge o dal consiglio comunale»; nè dell’art. 14 lett. d) del Regolamento Comunale Tarsu (adottato con delibera consiliare n. 37/97) il quale stabilisce che il Consiglio fissi i «criteri di determinazione delle tariffe unitarie e relativi meccanismi di quantificazione», prescrivendo in particolare che esso debba annualmente fissare, all’atto dell’approvazione delle tariffe unitarie della tassa da far valere per l’anno successivo, «il numero, compreso tra 0,5 ed 1, che esprime il grado di copertura del costo del servizio».
Tale ultima previsione trova fondamento nell’art. 65, comma 2, d.lgs Tarsu n. 507 del 1993, secondo cui le tariffe, per ogni categoria o sottocategoria omogenea, sono determinate “dal comune” secondo «il rapporto di copertura del costo prescelto entro i limiti di legge». Ciò posto, non si ritiene (per le ragioni più volte sostenute dal su richiamato consolidato indirizzo) che la mancata fissazione di tali “limiti” da parte del Consiglio sia di per sé dirimente nel senso (quello qui dedotto ex art.7 d.lgs. 546/92) della incompetenza della giunta in materia tariffaria. Né può rilevare, in diverso avviso, la circostanza meramente contingente che, successivamente alla delibera Tarsu oggetto del presente giudizio il Consiglio comunale di Palermo sia poi effettivamente intervenuto (delib. n. 342 del 2010) – al solo fine di far cessare ogni residuo contenzioso su questo punto – nella indicazione del fattore di copertura.
3. Deve, in conclusione, affermarsi la corretta applicazione da parte della CTR dei principi sopra enunciati.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €. 4.000,00 oltre spese e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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