CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 novembre 2018, n. 29407
Appalto – Versamento dei contributi alla Cassa Edile – Obbligo – Accertamento – Disparità di trattamento tra dipendenti d’imprese appaltatrici di committenti privati e di enti pubblici
Rilevato che
la Corte d’Appello di Genova, in riforma della pronuncia del Tribunale di Massa, ha accolto la domanda del Comune di Carrara, rivolta a sentir accertare l’insussistenza dell’obbligo in capo al medesimo al versamento dei contributi alla Cassa Edile della Provincia di Massa Carrara, omesso dalla V e B s.r.l. relativamente alle posizioni contrattuali di lavoratori utilizzati nell’esecuzione di appalti e subappalti affidati alla stessa dal Comune;
la Corte territoriale ha escluso l’applicabilità alla fattispecie del principio della responsabilità solidale dell’Ente pubblico con la società aggiudicataria dell’appalto, in virtù sia dell’emanazione della norma interpretativa di cui all’art. 9 del d.l. n.76 del 2013, conv. in l. n.99 del 2013, sia del sopravvenire dell’orientamento di legittimità – con particolare riferimento a Cass. n. 15432 del 2014 – intervenuto a chiarire la natura e la portata della norma sopra richiamata, “comunque utilizzabile ai fini interpretativi” anche per fattispecie collocate fuori dal suo campo di applicazione temporale; la cassazione di tale pronuncia è domandata dalla Cassa Edile della Provincia di Massa Carrara con due motivi di ricorso;
il Comune di Carrara resiste con tempestivo controricorso.
Considerato che
con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., parte ricorrente deduce “Violazione e/o erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 1, comma 2 e 29 comma 2 del d.lgs. n. 276 del 2003 (Legge Biagi) in relazione all’art. 11 delle Preleggi e all’art. 3 della Costituzione”; la censura ripercorre il dibattito della giurisprudenza di merito sulla controversa materia, per accedere all’interpretazione della norma di cui in epigrafe, che ritiene costituzionalmente orientata, per la quale, qualora le Pubbliche Amministrazioni operano al di fuori del loro ruolo istituzionale, quali committenti di un appalto, esse sono tenute in solido con la commissionaria in ogni caso d’inadempienza, retributiva e contributiva, a carico di quest’ultima;
la censura affronta, altresì, la materia relativa alla natura e alle finalità delle Casse Edili, per meglio sostanziare la propria tesi difensiva secondo cui, poiché a norma dei contratti collettivi nazionali, con l’iscrizione alla Cassa Edile, i lavoratori perdono il diritto ad agire autonomamente per il recupero dei contributi dovuti dal datore di lavoro, avendo conferito mandato alla stessa per la loro riscossione e per la promozione delle relative azioni rivolte ad ottenerne il versamento, in caso di omissione da parte della Cassa, a maggior ragione si giustifica il subentrare dell’obbligo dell’amministrazione committente a titolo di responsabilità solidale;
con il secondo motivo, formulato in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., contesta “Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 9 del d.l. 76/2013, convertito nella legge n. 99 del 9.8.2013, in relazione all’art. 11 delle preleggi e all’art. 3 della Costituzione”;
denuncia il fenomeno della proliferazione di provvedimenti normativi emanati al solo scopo di dirimere contrasti interpretativi, ritenendo che sia errato sostenere, come fa la Corte territoriale, che la norma di cui in epigrafe possa applicarsi ai giudizi pendenti, in violazione del principio sancito dall’art. 11 delle preleggi, secondo il quale la legge non dispone che per l’avvenire; domanda, se del caso, la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale; le censure, che vanno esaminate congiuntamente per connessione, sono infondate;
quanto alla controversa questione dell’applicabilità o meno dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 – così come correttamente ha rilevato la Corte d’Appello di Genova – nella giurisprudenza di legittimità è andato ormai consolidandosi un orientamento sfavorevole alla sua applicazione;
detto orientamento risulta da ultimo espresso nel seguente principio di diritto: “In materia di appalti pubblici, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, non è applicabile alle pubbliche amministrazioni la responsabilità solidale prevista dall’art. 29, comma 2, del richiamato decreto, dovendosi ritenere che l’art. 9 del d.l. n. 76 del 2013, conv. con modif. nella l. n. 99 del 2013, nella parte in cui prevede la inapplicabilità del suddetto articolo 29 ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001, non abbia carattere di norma d’interpretazione autentica, dotata di efficacia retroattiva, avendo solo esplicitato, senza innovare il quadro normativo previgente, un precetto già desumibile dal testo originario del richiamato art. 29 e dalle successive integrazioni.” (Così Cass. n.20327 del 2016; cfr. anche Cass. n. 10844 del 2018; Cass. n.10644 del 2016; Cass. n.10731 del 2016; Cass. n.15432 del 2014);
ad esso va data, in questa sede, continuità, atteso che le ragioni indicate a fondamento dei principi affermati, da intendersi qui integralmente richiamate ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., sono del tutto condivise dal Collegio;
quanto alla richiesta di rinvio alla Corte Costituzionale per un nuovo esame, alla luce dell’ingiustificata disparità di trattamento che l’interpretazione sopra richiamata dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 determinerebbe tra dipendenti d’imprese appaltatrici di committenti privati e di enti pubblici, questa Corte nella sentenza n. 20372 del 2016, le cui argomentazioni s’intendono qui integralmente richiamate, ha escluso che una siffatta responsabilità possa essere estesa alle pubbliche amministrazioni, atteso che in relazione alle stesse vengono in rilievo interessi di carattere generale, i quali risulterebbero frustrati ove si consentisse la lievitazione del costo dell’opera pubblica in conseguenza dell’inadempimento dell’appaltatore; la diversità delle situazioni a confronto e degli interessi che in ciascuna vengono in rilievo giustifica, quindi, la diversa disciplina e rende manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 29, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 276 del 2003, in relazione all’art. 3 Cost.;
in definitiva, essendo i motivi infondati, il ricorso va rigettato; l’esito alterno del giudizio di merito e la recente sopravvenienza del richiamato indirizzo giurisprudenziale inducono a compensare le spese tra le parti;
si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
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