CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 novembre 2018, n. 29428
Contratto di lavoro temporaneo – Risoluzione per mutuo consenso – Illegittimità – Trasformazione in rapporto a tempo indeterminato
Rilevato che
1. La Corte di appello di Roma ha riformato la sentenza del Tribunale di Roma ed ha dichiarato illegittimo il contratto di lavoro temporaneo intercorso tra le parti ed esistente, a decorrere dall’8 febbraio 2002 un rapporto a tempo indeterminato tra F. G. e Telecom Italia s.p.a. condannando la società al risarcimento del danno quantificato nelle retribuzioni perdute dalla messa in mora del 4 ottobre 2006 con rivalutazione ed interessi oltre che al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
2. La Corte territoriale, contrariamente a quanto accertato dal Tribunale, ha in primo luogo escluso che il rapporto tra le parti si fosse risolto per mutuo consenso. Ha poi rammentato che all’accertata illegittimità consegue la trasformazione in rapporto a tempo indeterminato ed ha infine escluso che alla fattispecie del lavoro interinale trovasse applicazione l’art. 32 comma 5 della legge n. 183 del 2010.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre la Telecom s.p.a. articolando tre motivi. F. G. resiste con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
Considerato che
4. Il primo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e dell’art. 1372 cod. civ. è infondato.
La Corte ha ritenuto che il tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e la proposizione del ricorso (2 anni e tre mesi fino alla messa in mora del 4.10.2006 e 4 anni da tale data e fino al deposito del ricorso 27.10.2010) in mancanza di altri elementi di valutazione ed in considerazione della durata del contratto (due anni) non fosse significativo della volontà di risolvere il rapporto e richiama cass. 17150 del 2008. Sostiene al contrario la società che la durata complessiva dell’inerzia (sei anni e tre mesi) era rivelatrice di una carenza di interesse alla sua prosecuzione e sintomatica della
risoluzione del rapporto per mutuo consenso. La corte avrebbe dovuto valutare questo comportamento ai sensi dell’art. 1362 2° comma cod. civ.. Con la memoria illustrativa ha poi evidenziato che nel tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e la proposizione del ricorso la lavoratrice, oltre ad aver accettato senza riserve il t.f.r. ha prestato la sua attività lavorativa presso altri datori di lavoro.
4.1. Premesso che la deduzione contenuta nella memoria illustrativa depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ. è tardiva poiché non risulta essere stata tempestivamente sottoposta all’attenzione della Corte di appello, comunque la censura è infondata. Questa Corte ha anche di recente chiarito che l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., tempo per tempo vigente (Cass. 27/06/2018 n. 16948, 30/05/2018 n. 13660, 12/12/2017 n. 29781 ma già 27 ottobre 2016 n. 21691).
La Corte di merito ha proceduto all’esame delle circostanze allegate a sostegno dell’esistenza di una comune volontà di risolvere il rapporto e l’ha esclusa con una ricostruzione esente dai vizi denunciati ed in questa sede non più censurabile.
5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della legge n. 196 del 1997 e della legge n. 1369 del 1960 per avere riconosciuto che le conseguenze dell’accertata illegittimità del contratto si producevano sull’ente utilizzatore della prestazione.
5.1. Anche tale censura è infondata. La Corte territoriale in adesione alla giurisprudenza di questa Corte (1148 del 17/01/2013 e 01/02/2008 n. 2488 ) che ha ripetutamente affermato che “in tema di lavoro interinale e di rapporti con la disciplina del divieto di interposizione di manodopera, mentre l’art. 10, comma primo della legge n. 196 del 1997 si deve interpretare – al fine di evitare di ipotizzare difetti di coordinamento con il comma successivo e di ritenere pleonastici i richiami normativi in esso contenuti – nel senso che il divieto di interposizione fittizia di manodopera previsto dalla legge n. 1369 del 1960 continua a trovare applicazione nei confronti dell’impresa utilizzatrice che ricorra alla fornitura di prestatori di lavoro dipendente da parte di soggetti diversi da quelli cui all’art. 2 della stessa legge n. 196 del 1997 ovvero che violi le disposizioni di cui al precedente art. 1, commi secondo, terzo, quarto e quinto, l’art. 10, secondo comma, della legge citata disciplina l’ipotesi dell’instaurazione “ex lege” di un rapporto di lavoro a tempo determinato con l’impresa utilizzatrice. Ne consegue che nei casi disciplinati dal primo comma, cui sono riconnesse tutte le conseguenze anche penali previste dalla legge n. 1369 del 1960, deve ravvisarsi quale unico effetto la sostituzione di diritto del datore di lavoro-fornitore con il soggetto utilizzatore delle prestazioni mentre rimangono invariati gli altri elementi contrattuali, ivi compreso quello inerente la temporaneità del rapporto” ed anche che “In tema di lavoro interinale, l’art. 1, secondo comma, della legge n. 196 del 1997 consente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo solo per le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate dalla norma, esigenze che il contratto di fornitura non può quindi omettere di indicare, né può indicare in maniera generica e non esplicativa, limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa; ne consegue che, ove la clausola sia indicata in termini generici, inidonei ad essere ricondotti ad una delle causali previste dal legislatore, il contratto è illegittimo, e, in applicazione del disposto di cui all’art. 10 della legge n. 196 del 1997, il rapporto si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore interponente.“
6. Il terzo motivo di ricorso che attiene alla violazione dell’art. 32 commi 5, 6 e 7 della legge n. 183 del 2010 è invece fondato e deve essere accolto.
6.1. Questa Corte ha infatti chiarito che “In tema di lavoro interinale, l’indennità prevista dall’art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, nel significato chiarito dal comma 13 dell’art. 1 della legge 28 giugno 2012 n. 92, trova applicazione con riferimento a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine termine illegittimo e si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell’illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a) del primo comma, dell’art. 3 della legge 24 giugno 1997, n. 196, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione.” (cfr. Cass. 29/05/2013 n. 13404 ed già 17/01/2013 n. 1148 e sul caso specifico Telecom s.p.a. Cass. 23/04/2015 n. 8286) . Tale disciplina è stata ritenuta compatibile con la normativa sovranazionale (v. Cass. 20/10/2017 n. 24887) ed è stato affermato che “l’indennità prevista dall’art. 32 della l. n. 183 del 2010 si applica ogniqualvolta ricorra la conversione in contratto a tempo indeterminato, e, quindi, anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell’illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), 1. n. 196 del 1997, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione, anch’esso riconducibile alla categoria del contratto di lavoro a tempo determinato. Tale conclusione non si pone in contrasto con la sentenza della CGUE dell’11 aprile 2013 in Causa C-290/2012, che ha escluso che la Direttiva 1999/70/CE, di recepimento dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, si applichi anche al contratto a tempo determinato che si accompagni ad uno interinale, poiché che tale inapplicabilità, secondo la sentenza cit., deriva solo dal tenore del preambolo dell’accordo e dall’esistenza di altra più specifica regolamentazione di quella fattispecie contrattuale, e non già da una sua ritenuta incompatibilità ontologica con un puro e semplice contratto a tempo determinato.”
7. Ne consegue che mentre il primo ed il secondo motivo di ricorso devono essere rigettati va accolto il terzo e la sentenza cassata in relazione al motivo accolto, deve essere rinviata alla Corte di appello di Roma in diversa composizione che in applicazione dell’art. 32 citato procederà alla liquidazione dell’indennità risarcitoria dovuta alla lavoratrice. Alla Corte del rinvio è demandata altresì la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso. Accoglie il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.