CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 aprile 2018, n. 9396
Licenziamento disciplinare – Violazione dell’ordine di servizio – Contrasto con i comuni canoni di correttezza e buona fede, con riguardo al particolare contesto lavorativo, in un periodo caratterizzato da particolare carico di lavoro – Valutazioni del codice disciplinare non prescindibili – Autonomia collettiva che individua il limite di tollerabilità e la soglia di gravità delle violazioni in quel contesto aziendale – Per il lavoratore, garanzia di prevedibilità della reazione datoriale
Rilevato che
1. A.D., dipendente di E.T. s.r.l. dal 20.12.2006 con mansioni di autista-corriere presso la sede di Paglieta (CH), veniva licenziato con comunicazione del 22.4.2014, non preceduta dall’attivazione del procedimento disciplinare, con la quale si comunicava l’intenzione di risolvere il rapporto di lavoro in termini immediati e per giusta causa, per non essersi presentato presso la piattaforma di Porto d’Ascoli (AP), nonostante l’ordine di servizio sottoscritto e ricevuto a mani proprie in data 16/4/2014, con il quale si disponeva che egli si recasse colà per eseguire la propria prestazione lavorativa nei giorni dal 22 al 24 aprile, “nel rispetto dei soliti orari lavorativi”.
La Corte d’appello di L’Aquila, nel giudizio di reclamo ex art. 1 comma 58 della legge n. 92 del 2012, riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede – che aveva ritenuto l’insussistenza del fatto contestato e disposto la reintegra del dipendente nel posto di lavoro ai sensi del IV comma dell’art. 18 – e riteneva (condividendo l’esito della fase a cognizione sommaria) che il licenziamento, pur giustificato, fosse illegittimo per violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970;
dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava la società a corrispondere un’indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
La Corte territoriale argomentava che il fax del lavoratore del 17/4/2014, nel quale egli dichiarava di accettare l’ordine di iniziare la prestazione a Porto d’Ascoli, purché la società rispettasse le norme contrattuali, corrispondendo l’indennità dovuta secondo il contratto collettivo e anticipando le spese di trasferta che avrebbe dovuto sostenere, non era coerente con il fatto che la mattina del 22 alle ore 6,24 il D. si fosse recato presso la sede di Paglieta per prelevare il camion ivi ricoverato, e solo dopo partire verso la destinazione di Porto d’Ascoli.
Riteneva quindi che il comportamento del lavoratore, non qualificabile come mero ritardo ai sensi del c.c.n.l., realizzasse una chiara violazione dell’ordine di servizio del 16 aprile, in contrasto con i comuni canoni di correttezza e buona fede con riguardo al particolare contesto lavorativo e alla necessità di predisporre le presenze nelle varie piattaforme aziendali, in un periodo caratterizzato dalle imminenti festività pasquali e da particolare carico di lavoro.
2. Per la cassazione della sentenza A.D. ha proposto ricorso, cui ha resistito con controricorso E.T. s.r.l., che ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c.
Considerato che
1. come primo motivo di ricorso, viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 del C.C.N.L.: il ricorrente lamenta che sia stata disattesa la sua prospettazione secondo la quale la condotta doveva essere ricompresa nelle ipotesi elencate nell’art. 32 del C.C.N.L. autotrasporto e spedizioni, ed in particolare nella previsione contenuta nella lettera b) secondo cui “il provvedimento della sospensione dal servizio e dalla retribuzione può essere adottato …a carico del lavoratore che con sotterfugi si sottragga agli obblighi di lavoro”;
2. come secondo motivo, deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti e lamenta che la Corte territoriale non abbia argomentato in ordine alla recepita minor gravità oggettiva del comportamento tenuto dal lavoratore il 22 aprile 2014 rispetto alla previsione del richiamato articolo di fonte collettiva, e dunque non abbia chiarito il perché la condotta non potesse essere correttamente sanzionata con un provvedimento di minore severità, tenuto conto delle ipotesi (di natura meramente conservativa) previste dal CCNL per casi obiettivamente più gravi.
3. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, attenendo al controllo della valutazione della sussistenza della giusta causa di recesso operata dal giudice di merito, con riferimento alla violazione dei parametri posti dal codice disciplinare del contratto collettivo.
4. Occorre premettere che con riferimento all’ambito di applicazione delle tutele predisposte dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42 della legge 28 giugno 2012, n. 92, questa Corte ha chiarito (v. Cass. n. 13178 del 25/05/2017) che il giudice deve oggi procedere ad un giudizio più completo ed articolato rispetto al passato, dovendo accertare in primo luogo la sussistenza o meno di una delle fattispecie che consentono la risoluzione del rapporto di lavoro, ovvero della giusta causa e del giustificato motivo, e, nel caso in cui la escluda, anche il grado di divergenza della condotta datoriale dal modello legale e contrattuale legittimante, onde individuarne le conseguenze (reintegratorie o risarcitorie) applicabili.
5. Nell’ambito del primo passaggio logico da compiersi, opera il principio secondo il quale per giustificare un licenziamento disciplinare, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario; la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (cfr., per tutte, Cass. n. 13149 del 24/06/2016, Cass. n. 25608 del 03/12/2014).
6. Tale valutazione rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice e non è vincolata dalle previsioni contenute nel codice disciplinare del contratto collettivo. Anche quando la condotta sia astrattamente corrispondente alla fattispecie tipizzata contrattualmente, infatti, occorre pur sempre che essa sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, attraverso un accertamento in concreto della proporzionalità tra sanzione ed infrazione, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo (v. da ultimo Cass. 05/4/2017 n. 8826 ed i precedenti conformi ivi richiamati).
7. Ciò non comporta che dalle valutazioni del codice disciplinare il giudice possa prescindere. Con la predisposizione del codice disciplinare, sebbene di solito in modo generico e meramente esemplificativo, l’autonomia collettiva individua infatti il limite di tollerabilità e la soglia di gravità delle violazioni degli artt. 2104 e 2015 c.c… in quel determinato momento storico ed in quel contesto aziendale. In tal senso, il codice disciplinare è stato richiamato dall’art. 7 dello statuto dei lavoratori in funzione di monito per il lavoratore. E di garanzia di prevedibilità della reazione datoriale. Ne consegue coerentemente che la scala valoriale ivi recepita deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c., e che le parti ben potranno sottoporre il risultato di tale valutazione cui è pervenuto il giudice di merito all’esame di questa Corte sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare (v. Cass. n. 18715 del 23/09/2016).
8. Sulla scorta di tali premesse, occorre concludere che i motivi di ricorso sono fondati.
Nella valutazione della gravità della condotta, infatti, la Corte di merito, dopo avere escluso che la condotta potesse essere assimilata al mero «ritardo» punito con sanzione conservativa dal contratto collettivo, pur dando atto che il lavoratore aveva dichiarato la propria disponibilità a presentarsi per prendere servizio il giorno 22 a Porto D’Ascoli (in luogo della sede abituale di lavoro di Paglieta) a condizione che gli fossero anticipate «le spese di trasferta e le relative indennità previste dal c.c.n.l.», non ha tenuto conto che tale circostanza valeva ad assimilare la condotta alla previsione dell’art. 32 lett. b) del c.c.n.l. autotrasporto e spedizioni , che punisce con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione (sanzione conservativa dunque) chi «con sotterfugi si sottragga agli obblighi di lavoro»; lo stesso c.c.n.l. punisce poi con il licenziamento «l’assenza ingiustificata del lavoratore per almeno quattro giorni consecutivi, salvo i casi di forza maggiore» (v. pg. 2 della memoria E.), mentre nel caso la mancata presentazione nella sede di Porto d’Ascoli si è realizzata per il solo giorno del 22 (venendo il licenziamento immediatamente comminato).
9. La Corte di merito ha dunque realizzato una violazione dell’art. 2119 c.c., non tenendo conto della scala valoriale definita dal codice disciplinare, che doveva invece assumere a parametro di valutazione della gravità della condotta, unitamente agli altri «criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare. ..in cui si colloca la disposizione» (così Cass. n. 18715 del 2016, già sopra citata) che valgono ad integrare il precetto normativo, in essi sussumendo la fattispecie concreta in tutti i suoi elementi, soggettivi ed oggettivi.
10. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, il ricorso, manifestamente fondato, va accolto ai sensi dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ..
11. Segue quindi coerente la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte territoriale che dovrà rivalutare la gravità della condotta alla luce degli affermati principi, e provvedere anche sulle spese del giudizio
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma.
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