CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 aprile 2019, n. 10598
Licenziamento per giustificato motivo soggettivo – Sanzioni disciplinari – Assenza ingiustificata – Abbandono del posto di lavoro – Proporzionalità dell’addebito
Rilevato
che il Tribunale di Milano rigettava il ricorso proposto da R.D. nei confronti di T.W. s.p.a. (d’ora in avanti: T.) ai sensi dell’art. 1 comma 48, della legge 28 giugno 2012 n. 92 inteso alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato al ricorrente dalla predetta società in data 27 aprile 2016 in riferimento ai fatti contestati con missiva del 7 aprile 2016, previa eventuale declaratoria di invalidità delle sanzioni disciplinari indicate nella lettera del 7 aprile 2016 e confermava tale decisione all’esito dell’opposizione proposta – ai sensi dell’art. 1, comma 51, della legge 28 giugno 2012 n. 92 – dal lavoratore;
che, con sentenza del 17 novembre 2017, la Corte di Appello di Milano, decidendo sul reclamo ex art. 58 legge n. 92/2012 interposto dal D. lo rigettava;
che, ad avviso della Corte territoriale e per quello ancora d’interesse in questa sede: il fatto contestato accaduto il 31 marzo 2016 e che aveva comportato – in ragione di precedenti contestazioni disciplinari sanzionate con la sospensione, ai sensi dell’art. 48, lett. A), paragrafo 2, lett. h) del CCNL – il licenziamento, non era stato affatto giustificato dalla società sia perché la registrazione dello stesso come permesso non retribuito e non come assenza ingiustificata era stata imposta dal sistema informatico di gestione delle presenze, sia alla luce della contestazione disciplinare con la quale l’azienda aveva espressamente manifestato la volontà di punire la condotta del dipendente; comunque, al D. non era stato contestato solo l’aver arbitrariamente abbandonato il posto di lavoro ma anche di non aver osservato le procedure aziendali in tema di richiesta di ferie e permessi, e, in particolare, di aver registrato la richiesta di permesso solo dopo aver abbandonato l’aziendale il non aver atteso l’espressa autorizzazione della richiesta inserita nel portale telematico, addebiti questi risultati provati dalla società all’esito della espletata istruttoria; quanto alle sei precedenti sanzioni (sospensioni dal servizio) richiamate nella missiva di comunicazione del licenziamento, quella del 18.2.2016 e riferita alla contestazione del 3.2.3016 era illegittima non risultando essere stato provato l’addebito, mentre quelle del 18.2.2016 (riferita all’addebito contestato il 4.2.2016) e del 23.3.2016 (concernente la contestazione del 7 marzo 2016) erano legittime avendo l’azienda dimostrato le condotte ascritte al lavoratore ed essendo le sanzioni irrogate proporzionate agli addebiti sicché ricorreva la fattispecie di cui all’art. 48, paragrafo A, lett. b) che prevedeva il licenziamento con preavviso nel caso di “recidiva in qualunque delle mancanza contemplate nell’art. 47, qualora siano stati applicati due provvedimenti di sospensione nel biennio precedente”; la sanzione irrogata era proporzionata agli addebiti;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso il D. affidato a tre motivi cui resiste la T.W. s.p.a. con controricorso;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio; che il D. depositava successiva memoria;
Considerato
che : con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 246 e 253 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. e 48 del CCNL Telecomunicazioni del 1° febbraio 2013 per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto provata la contestazione del 7 marzo 2016 solo sulla scorta delle dichiarazioni rese da due testi de relato (riferivano di circostanze apprese da tale M.M.) e considerate attendibili perché confermate da una mail proveniente dallo stesso M. che di certo non poteva essere considerato un elemento di riscontro obiettivo, laddove, invece, avrebbe dovuto più correttamente considerare l’addebito non dimostrato con conseguente inapplicabilità del disposto dell’art. 48 CCNL; con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 2697 e 2702 cod. civ. nonché 46, 47 e 48 CCNL Telecomunicazioni 1° febbraio 2013 in quanto, con riferimento ai fatti contestati il 31 marzo 2016 (e che aveva portato al licenziamento) ed il 4 febbraio 2016 erroneamente la Corte d’appello aveva considerato credibile la giustificazione addotta dalla società pur essendo “risibile” la scusa del mancato riconoscimento informatico e stante il contenuto dei documenti n. 45 della produzione della società e n.15 della produzione del ricorrente in cui la T. giustificava le assenze, poi, ritenute arbitrarie, inquadrandole come permessi non retribuiti e, comunque, non era neppure vero che fosse stato contestato anche il mancato rispetto delle procedure; con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3 L. n. 604/1966, 7 L. n. 300/1970 e 46, 47 e 48 CCNL cit. per avere il giudice del gravame affermato che la condotta tenuta dal D. recideva il vincolo di fiducia alla base del rapporto di lavoro subordinato omettendo, però di valutare il notevole inadempimento che è a fondamento del licenziamento per giustificato motivo soggettivo;
che i primi due motivi sono inammissibili in quanto, nonostante il richiamo a violazione di legge contenuto nelle rispettive intestazioni, articolano censure che si risolvono nella denuncia di una errata o omessa valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti onde ottenere una rivisitazione del merito della controversia non ammissibile in questa sede; a riguardo questa Corte ha chiarito che “è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. n. 8758/2017).
Peraltro è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003). Peraltro, il secondo motivo è anche infondato avendo il giudice del gravame, correttamente applicato il principio affermato da questa Corte secondo cui la rilevanza delle deposizioni dei testi che riferiscono su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, (testi definiti de relato in genere) si presenta attenuata perché indiretta, ma, ciononostante, può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità (Cass. n. 569 del 15/01/2015; Cass. n. 313 del 10/01/2011; Cass n. 8358 del 03/04/2007); ed infatti nell’impugnata sentenza vengono chiaramente indicati gli elementi oggettivi in base ai quali i due testi de relato erano stati considerati attendibili;
che, infine, il terzo motivo è infondato in quanto il licenziamento per giustificato motivo soggettivo rientra nell’ambito dei licenziamenti di tipo disciplinare, costituendo pur sempre una sanzione a comportamenti ritenuti tali da incidere in modo insanabile sul regolare proseguimento del rapporto di lavoro;
che, per tutto quanto sopra considerato, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ,liquidate in E. 3.000,00 per compensi ed E. 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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