CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 aprile 2021, n. 10164
Rapporto di lavoro – CCNL industria alimentare – Aumento della retribuzione base – Assorbimento del superminimo – Illegittimità
Rilevato che
con sentenza in data 8 settembre 2017, la Corte di Appello di Milano ha respinto l’appello proposto da S. S.p.A. nei confronti di L. G., M. C., V. G. e A. M. D., avverso le decisioni di primo grado che avevano dichiarato l’illegittimità dell’assorbimento del superminimo negli aumenti e i minimi retributivi disposti dal CCNL industria alimentare del 2013, condannando la società alla corresponsione delle differenze retributive dovute ai ricorrenti; in particolare, la Corte ha ritenuto che, dall’esame delle evidenze processuali, doveva escludersi la volontà della Società appellante di optare per l’assorbimento nel superminimo dell’aumento contrattuale unico disposto dai CCNL succedutisi nel tempo;
per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società S. S.p.A., affidandolo a sette motivi, cui hanno resistito gli intimati con controricorso;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 comma 1, n. 5 cod. proc. civ., con riguardo alla ritenuta erroneità della previsione di un unico aumento in quattro tranches anziché di quattro aumenti; con il secondo motivo si allega la violazione degli artt. 2731 e 2733 cod. civ.;
con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in ordine alla collocazione del superminimo in busta paga;
con il quarto motivo si deduce ancora la violazione dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ., in ordine al comportamento omissivo tenuto dai lavoratori con riferimento agli obblighi sugli stessi gravanti ex art. 50 del CCNL Industria Alimentare 2012;
con il quinto motivo parte ricorrente denunzia la violazione dell’art. 1362 cod. civ. in relazione al comportamento tenuto dalle parti dopo l’assorbimento;
con il sesto motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ.;
con il settimo motivo si denunzia la violazione dell’art. 360 n. 3 e dell’art. 41 Cost;
va preliminarmente rilevato come la società S. S.p.A. abbia depositato rinuncia al ricorso in relazione alle posizioni di M. C., V. G. e A. M. D., rinuncia che risulta ritualmente formulata ai sensi degli artt. 390 e 391 cod. proc. civ. con dichiarazione sottoscritta da difensore munito di mandato speciale e sottoscritta altresì per accettazione;
le parti hanno concluso accordo transattivo in sede sindacale concordando, inoltre, sulla compensazione integrale delle spese di lite; quindi, a norma dell’art. 390 cod. proc. civ., il processo deve essere dichiarato estinto in relazione alle posizioni anzidette; relativamente, invece, alla posizione di L. G., va rilevato preliminarmente che si applica al caso di specie la disposizione di cui all’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in base alla quale non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado in ipotesi di c.d. doppia conforme, (cfr., fra le tante, Cass. n. 2922 del 12/11/2019) mentre, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., disposto dall’art. 54 col, lett. b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, ne consegue che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale .; motivazione apparente;
manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità ( fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017);
consegue alle suesposte considerazioni che il primo, il terzo ed il quarto motivo devono essere dichiarati inammissibili;
per quanto concerne il secondo, il quinto, il sesto ed il settimo motivo, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di ordine logico – sistematico, va rilevato che gli stessi, oltre ad essere formulati in modo promiscuo, denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta volontà della società di non reputare assorbibile il superminimo;
in particolare, la Corte, dopo aver premesso che il supermininno è normalmente soggetto al principio generale dell’assorbimento, ha ritenuto che la circostanza che nel contratto di assunzione o, comunque, con successiva lettera della società, sia stata espressamente prevista una somma a titolo di supermininno e che la stessa sia stata poi aumentata, sempre riportandola nella busta paga sotto la voce supermininno, ha ritenuto che fosse indicativa della volontà della S. di avvalersi dell’assorbimento, senza che il non essersene avvalsa in occasione del precedente rinnovo contrattuale con riferimento al rapporto di lavoro degli intimati avesse determinato la formazione di un uso aziendale;
la Corte ha poi aggiunto che la società con il CCNL dell’ottobre 2012 aveva previsto un aumento retributivo unico ma liquidato in tranches a scadenze diverse: conseguentemente, il fatto che la liquidazione della prima tranche non sia stata oggetto di alcun assorbimento è indicativo della volontà concludente della società che l’aumento della retribuzione base non debba comportare alcuna diminuzione del superminimo anche in ordine al pagamento delle tranches successive;
il Collegio ha, quindi, ritenuto che, essendo l’aumento retributivo unico anche se pagato in diverse tranches, come ammesso dalla stessa società, il fatto di aver corrisposto integralmente la prima tranche, senza ridurre il superminimo, abbia comportato una rinuncia da parte della ricorrente; tale ricostruzione motivazionale non può essere censurata in sede di legittimità atteso che l’interpretazione del regolamento contrattuale è attività riservata al giudice di merito, pertanto sottratta al sindacato di legittimità salvo che per il caso della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale (sul punto fra le più recenti, Cass. 27 luglio 2020, n. 15967), la quale, tuttavia, non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 11254 del 10/05/2018);
la Corte, basandosi sulla ricostruzione della volontà delle parti in base ai mentovati indici rivelatori, ha escluso l’intenzione della società di procedere all’assorbimento; d’altro canto, la sentenza impugnata non si pone nemmeno in contrasto con la presunzione, relativa, connessa all’assorbimento, nel senso che il superminimo si ritiene di solito assorbito dai miglioramenti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva ovvero per il conseguimento di un inquadramento superiore, sicchè in tali evenienze ben può il giudice di merito ritenere superata detta presunzione in base alle acquisite risultanze istruttorie (fra le altre, Cass. 17/10/2018, n. 26017);
ha osservato, al riguardo, Cass. 12/10/2004, n. 21555, che l’interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune è riservata, data la loro natura contrattuale, all’esclusiva competenza del giudice del merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 e segg. cod. civ.) ed al controllo della sussistenza di una motivazione coerente e logica, ferma la necessità che le censure precisino gli errori addebitati al giudice di merito, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una interpretazione o di una conclusione diversa da quella genericamente censurata;
la Corte ha aggiunto, poi, che “con specifico riguardo al preteso principio di diritto del normale assorbimento del superminimo nei miglioramenti contrattuali, va precisato che un tale principio non è mai stato affermato da questa Corte, essendo state, invece (e non poteva essere altrimenti, considerati i ricordati limiti del giudizio di legittimità con riferimento a disposizioni contrattuali di diritto comune), semplicemente confermate sentenze di merito che avevano ritenuto sussistente, nel caso concreto, tale regola contrattuale”;
– nel caso di specie, a fronte, peraltro di una doppia pronuncia conforme ci si confronta con una motivazione congrua, non illogica, cui la parte ricorrente si limita a contrapporre una diversa interpretazione, che vorrebbe compensabile la migliore retribuzione (rispetto al minimo contrattuale), concessa a tutti i dipendenti fin dall’inizio del rapporto, con futuri aumenti contrattuali;
alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo; sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara estinto il giudizio nei confronti di M. C., V. G. e A. M. D.. Respinge il ricorso nei confronti di L. G..
Condanna la S. S.p.A. alla rifusione, in favore di L. G., delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.