CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 dicembre 2020, n. 28756
Tributi – Accertamento – Fatture per operazioni oggettivamente inesistenti – Motivazione dell’avviso di accertamento – Per relationem a verbali di ispezioni presso società terze – Legittimità
Ritenuto in fatto
Con sentenza n. 5218/64/2014, depositata in data 7.10.2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di O. S. s.r.l. avverso la sentenza n. 59/3/12 della Commissione tributaria provinciale di Brescia la quale aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso un avviso di accertamento con cui era stato rettificato il reddito di impresa per l’anno di imposta 2006 e recuperata l’Iva indebitamente detratta.
L’accertamento traeva origine da indagini della Guardia di Finanza da cui era emerso che la società aveva emesso fatture nei confronti della N. s.r.l. e aveva contabilizzato fatture emesse dalla AZ di Z.A. relative ad operazioni oggettivamente inesistenti.
La CTR affermava che l’avviso di accertamento non risultava adeguatamente motivato e che l’ufficio non aveva fornito presunzioni gravi, precise e concordanti della fittizietà delle operazioni.
Avverso la sentenza del giudice di appello l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidando il suo mezzo a due motivi.
O.S. s.r.l. resiste con controricorso.
Ritenuto in diritto
1. Con il primo motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 del DPR 633/72 e dell’art. 42 del DPR 600/73 nonché dell’art. 7 della legge 212/2000 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR ritenuto che l’avviso di accertamento non fosse adeguatamente motivato.
La censura è fondata.
La CTR ha osservato che l’avviso di accertamento non risultava adeguatamene motivato, in quanto si fondava “su contestazioni formulate nei confronti di società terze e non integralmente allegate o richiamate. L’atto impositivo contiene, infatti, una motivazione per relationem al verbale di ispezione che a sua volta richiama per relationem alcuni fatti selezionati dall’Agenzia delle Entrate contenuti in verbali relativi ad ispezioni svolte presso società terze”
La giurisprudenza di questa Corte, che riconosce la legittimità della cd. “motivazione per relationem”, ha altresì definito le condizioni che rendono positiva la verifica del rispetto del diritto del contribuente ad avere contezza delle ragioni della pretesa erariale. Al contempo, ha puntualizzato cosa debba intendersi per “motivazione per relationem” e quali oneri incombano sul contribuente che richieda l’annullamento dell’atto dell’amministrazione finanziaria. Con costante indirizzo si insegna, già con riferimento alla disciplina anteriore all’art. 7 della l. n. 212 del 2000, che, in tema di accertamento tributario “per relationem”, la legittimità dell’avviso postula la conoscenza o la conoscibilità da parte del contribuente dell’atto richiamato, purché il suo contenuto serva ad integrare la motivazione dell’atto impositivo, con esclusione quindi dei casi in cui essa sia già sufficiente e il richiamo ad altri atti abbia pertanto solo valore narrativo o il contenuto di ulteriori atti sia già riportato nell’atto noto. Ai fini dell’annullamento il contribuente deve quindi provare non solo che gli atti ai quali fa riferimento l’atto impositivo o quelli cui esso rinvia sono a lui sconosciuti, ma anche che almeno una parte del contenuto di essi sia necessaria ad integrare direttamente o indirettamente la motivazione del suddetto atto impositivo, e che quest’ultimo non la riporta, per cui non è comunque venuto a sua conoscenza (principio ribadito, da ultimo, proprio in una fattispecie concernente avviso di rettifica per omessa fatturazione di ricavi che rinviava ad un p.v.c. redatto dalla G.d.F. nei confronti di soggetto terzo non allegato al predetto avviso: Sez. 5, Sentenza n. 2614 del 10/02/2016, Rv. 638897). Anche con specifica attinenza al regime instauratosi con l’entrata in vigore del cd. Statuto del contribuente, da applicare nel caso di specie ratione temporis, si è statuito che in tema di motivazione degli avvisi di accertamento l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, legge 27 luglio 2000, n. 212) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, legge 7 agosto 1990, n. 241: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto.
Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 26683 del 18/12/2009, Cass. 11866/2018 Rv. 610991).
La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei rammentati principi. Essa si è limitata ad affermare che gli avvisi presentavano una motivazione “per relationem”, senza accertare se il contenuto fosse idoneo a consentire il diritto di difesa.
La ricorrente ha riprodotto per autosufficienza l’avviso di accertamento nel quale sono evidenziate le ragioni della ripresa a tassazione sia con riferimento ai rapporti intrattenuti dalla O.S. con la AZC di Z.A. che con la N. s.r.l. Inoltre all’avviso risultano allegati: la segnalazione emessa a carico della O. S. s.p.a. a seguito dell’attività di verifica effettuata dalla Guardia di Finanza nei confronti della N. s.r.I., lo stralcio del verbale di descrizione delle operazioni effettuate nei confronti della N. s.r.l. e copia delle dichiarazioni rilasciate da A.Z. in sede di contraddittorio.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 39, comma 1 del DPR 600/73, 17, 19, 21 del DPR 633/72 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.pc. Lamenta che la CTR aveva ritenuto l’esistenza delle operazioni contestate sulla base della regolarità formale della contabilità, non sufficiente a provarle.
La censura è fondata.
La fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA e alla deducibilità dei costi; spetta pertanto all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto. La dimostrazione può ben consistere in presunzioni semplici, poiché la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 06/06/2012).
Nel caso, come quello in esame, in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera” o una società “fantasma”) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Cass. n. 24426 del 30/10/2013); quest’ultima prova non potrà consistere, però, nella esibizione della fattura, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. n. 15228 del 03/12/2001; Cass. n. 12802 del 10/06/2011).
La CTR ha fondato il proprio convincimento sulla apparente regolarità contabile della contribuente, sulla contabilizzazione dei lavori eseguiti e sull’assolvimento degli oneri tributari, non idonei a provare l’esistenza delle operazioni contestate: Così come l’esistenza dei contratti con la N. non dimostra, per essa sola, l’effettivo svolgimento dei lavori commissionati tra le due società.
La CTR non ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte; a tanto provvederà il giudice di rinvio.
Il ricorso deve essere, pertanto accolto e la sentenza cassata con rinvio alla CTR della Lombardia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
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