CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 febbraio 2021, n. 3986
Tributi – Imposte ipotecarie e catastali – Conferimento quote societarie in trust autodichiarato – Esclusione – Applicazione imposte di donazione-successione in misura fissa – Mancanza di trasferimento di ricchezza
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate liquidava – in relazione all’atto notarile del 10.12.2012 con il quale A.U. costituiva il Trust autodichiarato “Corona”, di cui si nominava trustee riservandosi di nominare i beneficiari – le imposte ipotecarie e catastali in misura proporzionale, come previsto dall’art. 2 comma 49 D.L. n. 262/2006, dovute sul valore delle quote della L.M.N. srl devolute nel trust auto-dichiarato. Il trustee si opponeva dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Milano la quale respingeva il ricorso, ritenendo la sussistenza della legittimazione passiva del Trust e ritenendo applicabili le imposte in misura proporzionale sul vincolo di destinazione ex art. 47 della L. n. 262/2006.
L’appello proposto dal trustee veniva accolto con sentenza n. 2150/19/17, depositata il 18 maggio del 2017.
In particolare, i giudici regionali escludevano la soggettività passiva del trust, trattandosi di un insieme di beni destinati ad un fine determinato e formalmente intestati al trustee ed affermavano la debenza in misura fissa delle imposte di donazione-successione, non ravvisando nella costituzione del trust un trasferimento di ricchezza e difettando dunque il presupposto di imposta.
Per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso affidato a due motivi.
Parte intimata resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
2. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione dell’art. 73 del Tuir ex art. 360, n. 3), c.p.c., per avere i giudici regionali erroneamente escluso la legittimazione passiva del trust, in contrasto con il disposto della norma citata in rubrica che ha incluso il trust tra i soggetti passivi di imposta sul reddito delle società (IRES). In particolare, l’ufficio deduce che la norma citata distingue tra trust trasparenti in cui sono individuati i beneficiari, nel qual caso i redditi sono ad essi imputati in proporzione della quota di partecipazione individuata dal costituente e trust opachi, in cui il trust è individuato quale soggetto passivo di imposta.
3. Con il secondo motivo rubricato «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.l. n. 262/2006, convertito in l. n. 286/2006, nonché degli artt. 1 e 10 d.lgs. n. 347/90 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», l’Ufficio deduce che con l’art. 2, commi 47 e ss., del d.l. 3 ottobre 2006 n. 262, conv. con modif. in I. 24 novembre 2006 n. 286, è stata «reintrodotta nell’ordinamento giuridico l’imposta sulle successioni e donazioni estendendone l’ambito di applicazione alla costituzione di vincoli di destinazione», ai quali doveva ricondursi anche la costituzione del trust oggetto di controversia atteso che con lo stesso erano stati conferiti beni a titolo gratuito «al trustee da immettere in trust> con efficacia «segregante», così come in effetti previsto dall’art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit. che espressamente assoggetta all’imposta sulle successioni e donazioni ex d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 gli atti di costituzione dei «vincoli di destinazione»; con la conseguenza che la CTR avrebbe errato nel ritenere che mancasse il presupposto della tassazione, vale a dire il trasferimento di ricchezza a titolo di liberalità e l’arricchimento di un soggetto conseguente alla liberalità ricevuta.
4. La prima censura è destituita di fondamento.
4.1 La legge finanziaria del 2007 riconosce la soggettività tributaria del Trust, inserendolo tra i soggetti passivi delle imposte dirette (Ires) alla stregua di un ente. Più precisamente, il comma 74 dell’articolo 1 della citata legge ha modificato l’articolo 73 del Tuir, introducendo nelle lettere b), c) e d) del comma 1 anche il trust tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società, a seconda dell’attività svolta (commerciale o non commerciale) e della residenza.
Sulla base della flessibilità dell’istituto in questione, il legislatore, all’art. 73, ha individuato, ai fini della imposizione dei redditi, due principali tipologie di trust, ovvero quelli con beneficiari individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari stessi (trust trasparenti) e, in secondo luogo, i trust senza beneficiari individuati, i cui redditi vengono tassati direttamente in capo al trust (trust opachi). Dopo aver determinato il reddito del trust, il trustee deve indicare la parte attribuita al trust e assoggettata all’IRES, oltre alla parte imputata per trasparenza ai beneficiari, sulla quale gli stessi devono assolvere le imposte sul reddito. Per quanto riguarda la disciplina dei redditi del beneficiario del trust il comma 74, lett. b), dell’articolo unico della finanziaria 2007 dispone al nuovo comma 2 dell’art. 73 del TUIR che “nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal Trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto costitutivo del Trust o in altri successivi documenti ovvero in loro mancanza in parti uguali”. Dal momento che il presupposto di applicazione dell’imposta è il possesso di redditi, per “beneficiario individuato” si deve intendere il beneficiario di reddito individuato, ovvero il soggetto che ha in rapporto al reddito una capacità contributiva attuale. Pertanto, occorre che il beneficiario non solo sia previamente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza. In definitiva, con l’emanazione della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006, il legislatore nel rilevare l’impossibilità di attribuire la soggettività passiva ai soggetti coinvolti nel trust (settlor, trustee e beneficiari), ha optato per la soggettivazione del trust stesso, dato che consente un’imputazione autonoma della capacità contributiva; il trust viene considerato, pertanto, secondo la previsione normativa, un soggetto passivo delle imposte dirette (v. Cass. Sentenza 21 giugno 2019, n. 16700), benché privo di soggettività giuridica di tipo civilistico.
4.2 Per quanto concerne le imposte indirette, norma di riferimento è stata considerata – ma con esiti interpretativi molto diversi – l’art. 2 co. 47 d.l. 262/06 conv.in I. 286/06, secondo cui: “E’istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”. Per quanto concerne l’imposta di registro (ma tematica analoga investe anche l’imposta ipotecaria e catastale), la controversia applicativa riguarda, segnatamente, la quota di imposta eccedente la misura fissa, secondo quanto stabilito in via residuale dall’articolo 9 della Tariffa allegata al d.P.R. 131/86, secondo cui la tassazione proporzionale (3 %) si applica per la sola circostanza che l’atto abbia per oggetto “prestazioni a contenuto patrimoniale”.
4.3 Rileva anche l’art. 6, l. n. 112 del 2016 (c.d. legge del “Dopo di noi”) in base al cui comma 1: «I beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile ovvero destinati a fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1, istituiti in favore delle persone con disabilità grave (…) sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’articolo 2, commi da 47 a 49, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni». Aspetti ancora diversi riguardano l’imposizione locale, la quale appare però segnata da presupposti impositivi del tutto autonomi e divergenti da quelli invece riconducibili (in termini di attribuzione traslativa di ricchezza) all’imposta di registro, a quella ipotecaria e catastale nonché a quella sulle successioni e donazioni; ciò perché normalmente ricollegati al dato oggettivo, immediato e contingente costituito, ad esempio, dalla fruizione di un servizio pubblico (“tassa rifiuti”), dallo sfruttamento di una risorsa pubblica (come nella TOSAP) o dall’esercizio sugli immobili di un diritto reale o di un possesso ad esso corrispondente (come nell’ICI-IMU).
4.4 Tornando alle imposte indirette, la previsione dell’art. 73, comma 1, del Tuir che individua espressamente i trust tra i soggetti passivi Ires ( nei soli casi in cui dall’atto istitutivo ovvero da altri documenti anche redatti in epoca successiva, manchi del tutto l’indicazione dei beneficiari) non comporta una loro soggettività assoluta ai fini dell’imposizione diretta. E’ infatti un concetto ormai elaborato dalla dottrina che il legislatore possa disporre della soggettività tributaria prescindendo dalle altre forme di soggettività, e che il sostrato minimo sul quale il legislatore può costruire la soggettività tributaria stessa è la separazione o l’autonomia patrimoniale, e non già la soggettività civilistica.
Vale osservare, quindi, come dalla soggettività IRES non possa inferirsi il riconoscimento di una capacità generalizzata del trust di essere soggetto passivo anche di altri tributi. Questa tesi appare difatti contrastare con il divieto, posto dall’art. 14 delle preleggi, di interpretazione analogica delle norme eccezionali, qual è quella che, a fini specifici e determinati dallo stesso legislatore, riconosce una limitata forma di soggettività, ai soli fini tributari, ad una organizzazione priva di personalità giuridica.
Ne deriva che non può, in ogni caso, leggersi l’art. 73 del TUIR nel senso che il legislatore abbia attribuito al trust la personalità giuridica, né, tantomeno, può la giurisprudenza elevare a soggetto giuridico i centri di interessi e rapporti che non lo sono, posto che l’attribuzione della soggettività giuridica è appannaggio del solo legislatore (cfr. in arg. Cass. sez. un. 25767/2015; Cass. n.16550/2019).
Si deve ribadire in questa sede l’inesistenza della soggettività del trust, il quale – come chiaramente traesi dall’art. 2 della afferente Convenzione dell’Aja del 1 °luglio 1985, resa esecutiva in Italia con l. 16 ottobre 1989, n. 364 – costituisce un insieme di beni e rapporti con effetto di segregazione patrimoniale “istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato”.
Principio che trova conferma nella giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il trust traslativo non è un ente dotato di personalità giuridica; l’effetto proprio del trust non è quello di dare vita ad un nuovo soggetto di diritto, ma quello di istituire un patrimonio destinato ad un fine prestabilito (Cass. 9 maggio 2014, n. 10105), per cui va escluso che possa ritenersi che esso possa essere titolare di diritti e tanto meno essere considerato soggetto passivo di imposta (v. Cass. n. 2043/2017; n. 12718/2017), contrariamente a quanto assume l’amministrazione finanziaria. Si tratta, invece, di un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e formalmente intestati al trustee (Cass. civ. sez. I, n. 3456/2015; Cass. civ. sez. V 25478/2015 Cass. civ. sez. II n. 28363/2011).
4.5 La peculiarità dell’istituto risiede nello “sdoppiamento del concetto di proprietà”, tipico dei paesi di common law: la proprietà legale del trust, attribuita al trustee, ne rende quest’ultimo unico titolare dei relativi diritti (sia pure nell’interesse dei beneficiari e per il perseguimento dello scopo definito), ma i beni restano segregati e quindi diventano estranei non soltanto al patrimonio del disponente, ma anche a quello personale del trustee che deve amministrarli e disporne secondo il programma del trust (Cass. civ. sez. IlI n. 9320/2019; Sez. V n. 16550/2019). Quanto alla sua struttura, nel trust si ravvisa un atto istitutivo, che è l’atto con il quale il disponente esprime la volontà di costituire un trust, e l’atto dispositivo che, invece, è l’atto con il quale il disponente trasferisce, a titolo gratuito, i beni in trust al trustee, atti collegati sebbene distinti. La recente sentenza di Cass. 29 maggio 2018, n. 13388 ha espressamente differenziato, sia pure in materia revocatoria, l’atto di disposizione patrimoniale, e cioè l’atto mediante il quale il bene viene intestato in capo al trustee dall’atto istitutivo del trust, il quale costituisce il fascio di rapporti che circonda l’intestazione del bene, ma non l’intestazione stessa, ed è neutrale dal punto di vista patrimoniale. Sulla stessa linea di fondo si era già posta, del resto, la precedente pronuncia di Cass., 3 agosto 2017, n. 19376, distinguendo tra atto istitutivo del trust e atti dispositivi dei beni immessivi.
4.6 Vale inoltre precisare che, ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione dell’Aja, “per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente, con atto tra vivi o mortis causa”; si tratta, quindi, di un negozio giuridico unilaterale, inter vivos o mortis causa, che non si perfeziona con l’incontro delle volontà di due o più soggetti, essendo sufficiente la sola dichiarazione di volontà del disponente (Cass. n. 3697/2020) e non necessita di accettazione da parte dei beneficiari, implicando una segregazione patrimoniale grazie al meccanismo pubblicitario della trascrizione o degli adempimenti correlati.
L’atto istitutivo del trust, dunque, è atto unilaterale formato esclusivamente dal disponente, sul quale grava l’onere di corrispondere le imposte ipotecarie e catastali, non potendosi neppure configurare alcuna responsabilità solidale del trustee e del disponente sulla base dell’articolo 57 del TUR, in quanto l’atto in disamina non è sussumibile nell’ambito dei contratti; l’eventuale responsabilità patrimoniale del trustee può sorgere solo per atti e fatti compiuti nell’esercizio della propria funzione a seconda della legge regolatrice applicabile. In altri termini, la responsabilità del trustee – che non risulta aver partecipato all’atto costitutivo – deriva dall’intestazione formale del bene (in conformità all’art. 2 L. 364/1989 di ratifica della convenzione dell’Ala sulla legge applicabile al trusts, comma 2 lett b laddove si stabilisce che beni del trust sono intestati a nome del trustee”) ovvero dall’esercizio di attività, in detta qualità, rilevanti verso l’esterno.
4.7 Quando, invece, il vincolo di destinazione è già stato costituito – secondo quanto prevede l’art. 2 della Convenzione dell’Aja del luglio 1985, resa esecutiva in Italia con la legge 16 ottobre 1989, n. 364 – proprio perché il trust non possiede personalità giuridica, è allora il trustee – cui è demandato di “amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee” – l’unico soggetto legittimato nei rapporti con i terzi, in quanto dispone in esclusiva del patrimonio vincolato alla predeterminata destinazione (Cass. 22 dicembre 2015, n. 25800). Quale ulteriore conseguenza, va escluso che possa ritenersi in alcun modo il trust titolare di diritti e tanto meno essere considerato soggetto passivo di imposta (v. Cass. n. 2043/2017; n. 12718/2017). Ciò trova conferma nel fatto che l’effetto proprio del trust non è quello di dare vita ad un nuovo soggetto di diritto, ma quello di istituire un patrimonio destinato ad un fine prestabilito (Cass. 9 maggio 2014, n. 10105), sulla base delle ampie argomentazioni sviluppate nei precedenti di questa Corte, ai quali ritiene il Collegio di dare continuità mediante un mero richiamo.
5. Anche la seconda censura è priva di pregio.
Punto centrale della controversia è l’individuazione del presupposto impositivo. Il d.l. n. 262 del 2006, convertito con modifiche dalla l. n. 286 del 2006, e l’art. 1, commi 77, 78 e 79, della l. n. 296 del 2006 (Legge finanziaria per il 2007), hanno, com’è noto, reintrodotto nell’ordinamento l’imposta sulle successioni e donazioni che, fino alla sua abrogazione ad opera dell’art. 13, della l. n. 383 del 2001, era disciplinata dal d.lgs. n. 346 del 1990. Ai sensi dell’art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, “è istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”, disciplina quest’ultima che trova applicazione (art. 2, comma 50), in quanto compatibile con le nuove disposizioni. La novella legislativa ha esteso il presupposto impositivo ai trasferimenti a titolo gratuito, nonché alla costituzione dei vincoli di destinazione. Nell’ambito concettuale dei “vincoli di destinazione” vanno, poi, ricondotti non solo gli “atti di destinazione” di cui all’art. 2645 ter c.c., ma qualunque fattispecie prevista dall’ordinamento tesa alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, ed in tal senso si è espressa anche l’Amministrazione finanziaria (cfr.Circolare 3/E del 22 gennaio 2008), secondo la quale per vincoli di destinazione si intendono “I negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi”.
In tale perimetro normativo va ricondotto anche il negozio giuridico denominato trust, istituto di derivazione anglosassone. L’ordinamento italiano ha conosciuto l’istituto del trust attraverso la “Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento” adottata a L’Aja in data 1 luglio 1985; al testo convenzionale è stata data ratifica (senza apporre alcuna riserva) con la Legge 9 ottobre 1989 n. 364 e la Convenzione è entrata in vigore l’1 gennaio 1992.
Ai fini della Convenzione de L’Aja, il trust è il rapporto giuridico in cui il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – pone dei beni sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico; i beni in trust “costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee”; – tali beni sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per conto del trustee; – il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni “in conformità alle disposizioni del trust” e secondo le norme impostegli dalla legge; – non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà, o che il trustee stesso abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario.
In particolare, il trust può rispondere a finalità eterogenee: di garanzia; di liquidazione e pagamento; di realizzazione di un’opera pubblica; di solidarietà sociale; di realizzazione di interessi meritevoli di tutela a favore di persone disabili, pubbliche amministrazioni o altri soggetti (art. 2645 ter cod.civ.); può essere costituito per atto tra vivi oppure per testamento, con efficacia dopo la morte del disponente; ovvero a seconda delle prescelte modalità di individuazione del beneficiario (al momento della istituzione o in un momento successivo; da parte del disponente o dello stesso trustee; con possibilità di revoca o meno); ovvero, ancora, a seconda che il trustee ed il beneficiario vengano individuati in soggetti terzi oppure nello stesso disponente (c.d. trust autodichiarato).
6. L’elemento comune è l’effetto segregativo che si verifica perché i beni conferiti in trust non entrano nel patrimonio del trustee se non per la realizzazione dello scopo indicato dal settlor e col fine specifico di restare separati dai suoi averi (pena la mancanza di causa del trasferimento): effetto che si determina attraverso l’intestazione formale dei beni al trustee e l’attribuzione al medesimo di poteri gestori finalizzati alla realizzazione dello scopo, mentre al beneficiario( se individuato) è attribuito solo un diritto di credito.
7. Secondo un indirizzo recentemente consolidatosi che, allo stato, risulta prevalente, «il trasferimento ‘del bene dal “settlor” al “trustee” avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l’attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del “trust”: detto atto, pertanto, è soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all’imposta di registro che alle imposte ipotecaria e catastale» (Cass. n. 975 del 17/01/2018); «Poiché ai fini dell’applicazione delle imposte di successione, registro ed ipotecaria è necessario, ai sensi dell’art. 53 Cost., che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un’attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale, nel “trust” di cui alla l. n. 364 del 1989 (di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Aja 1° luglio 1985), detto trasferimento imponibile non è costituito né dall’atto istitutivo del “trust”, né da quello di dotazione patrimoniale fra disponente e “trustee” in quanto gli stessi sono meramente attuativi degli scopi di segregazione e costituzione del vincolo di destinazione, bensì soltanto dall’atto di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiano» (Cass. n. 16699 del 21/06/2019); «In tema di “trust”, l’imposta sulle successioni e donazioni, prevista dall’art. 2, comma 47, del d.l. n. 262 del 2006 (conv. con modif. dalla l. n. 286 del 2006) anche per i vincoli di destinazione, è dovuta non al momento della costituzione dell’atto istitutivo o di dotazione patrimoniale, fiscalmente neutri in quanto meramente attuativi degli scopi di segregazione ed apposizione del vincolo, bensì in seguito all’eventuale trasferimento finale del bene al beneficiario, in quanto solo quest’ultimo costituisce un effettivo indice di ricchezza ai sensi dell’art. 53 Cost.» (Cass. n. 19167 del 17/07/2019).
8. La giurisprudenza sopra richiamata e da ritenersi consolidata, ha superato sia una prima interpretazione dell’art.2, comma 47, l. 286 del 2006, secondo la quale la novella evidenzierebbe «la volontà del legislatore di istituire una vera e propria nuova imposta che colpisce tout court degli atti che costituiscono vincoli di destinazione» (Cass. Sez. 6 – 5, Sentenza n. 4482 del 2016), che quella successiva, sostenuta da decisioni di legittimità (Cass. n. 13626 del 2018; Cass. n. 31445 del 2018; n. 31446 del 2018; n. 734 del 2019) che, pur riconoscendo la non assoggettabilità – tout court – del trust alla imposta di donazione, hanno operato dei distinguo a seconda delle diverse architetture dell’istituto.
L’orientamento al quale questa Corte di legittimità è da ultimo pervenuta (Cass. n. 1131 del 2019 cit.; Cass. n. 19167/2019; Cass. n. 16699/2019) è, invece, in grado di dare conto delle diverse forme di trust, apprestando una soluzione che deve ritenersi estensibile a tutte le diverse forme di manifestazione. In ogni tipologia di trust, dunque, l’imposta proporzionale non andrà anticipata né all’atto istitutivo, né a quello di dotazione, bensì riferita a quello di sua attuazione e compimento mediante trasferimento finale del bene al beneficiario.
Pertanto la circostanza che il beneficiario sia individuato fin dall’atto istitutivo non giustifica l’immediata tassazione proporzionale, dal momento che la sola designazione, per quanto contestuale e palese (c.d. trust ‘trasparente’), non equivale in alcun modo a trasferimento immediato e definitivo del bene, con quanto ne consegue in ordine all’applicazione dei già richiamati principi impositivi; nell’ipotesi del trust liquidatorio non si dubita della effettività del trasferimento al trustee dei beni da liquidare, ma ciò non esclude che, anche in tal caso, sia connaturato al trust che tale trasferimento sia mero veicolo tanto dell’effetto di segregazione quanto di quello di destinazione. Ancora una volta, dunque, si tratterà di individuare e tassare gli atti traslativi propriamente detti (che sono quelli di liquidazione del patrimonio immobiliare di cui il trust sia stato dotato), non potendo assurgere ad espressione di ricchezza imponibile, né l’assegnazione-dotazione di taluni beni alla liquidazione del trustee in funzione solutoria e nemmeno, in tal caso, la ripartizione del ricavato ai beneficiari a dovuta soddisfazione dei loro crediti.
Si tratta, in conclusione, di risoluzione che può ricondurre ad unità anche quegli indirizzi che, pur condivisibilmente discostandosi dall’originaria posizione interpretativa di cui in Cass. nn. 3735, 3737, 3886, 5322 del 2015 cit., hanno tuttavia ritenuto di dover mantenere dei distinguo in relazione a fattispecie di trust reputate peculiari ed in qualche modo divergenti dal paradigma convenzionale.
10. Ciò divisato, giova osservare che, da quanto si evince dalla pronuncia impugnata, il trust in questione è un trust “auto-dichiarato”, istituito dal disponente che ha nominato se stesso quale trustee; istituendo come beneficiario C.V..
Quindi, nel caso del c.d. trust auto-dichiarato, connotato dalla coincidenza di disponente e trustee è ravvisabile, in mancanza di un trasferimento patrimoniale intersoggettivo con funzione di dotazione, sia la volontà di segregazione, sia quella di destinazione. Anzi, è proprio la mancanza di quel trasferimento patrimoniale intersoggettivo a rendere, in tal caso, ancor più evidente e radicale l’incongruenza dell’applicazione dell’imposta proporzionale sull’atto istitutivo e su quello di apposizione del vincolo all’interno di un patrimonio che rimane in capo allo stesso soggetto (applicazione già esclusa, nel trust autodichiarato, da Cass. n. 21614/2016 e da Cass. n. 22756/2019; n. 22758/2019; Cass. n. 16699/2019; Cass n. 19167/2019; Cass. n. 30821/2019; Cass. n. 30816/2019).
In definitiva, deve qui affermarsi che:
– la costituzione del vincolo di destinazione di cui all’art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, conv. in l. n. 286 del 2006, non integra autonomo e sufficiente presupposto di una nuova imposta, in aggiunta a quella di successione e di donazione;
un trasferimento imponibile non è riscontrabile, né nell’atto istitutivo, né nell’atto di dotazione patrimoniale tra disponente e trustee – in quanto meramente strumentali ed attuativi degli scopi di segregazione e di apposizione del vincolo di destinazione – ma soltanto in quello di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario, a compimento e realizzazione del trust medesimo.
8. In conclusione, il ricorso non merita accoglimento.
Le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, avuto riguardo alle obiettive incertezze indotte dal quadro normativo di riferimento, alle antinomie ed oscillazioni, emerse negli orientamenti della giurisprudenza di legittimità che giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non trova applicazione il citato art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.
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