CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 giugno 2020, n. 11615

Tributi – Imposte di registro, ipotecaria e catastale – Compravendita di un terreno – Rettifica valore – Applicazione stima UTE – Onere di prova contraria a carico del contribuente – Rinvio ai criteri di determinazione dell’ICI – Esclusione

Ritenuto che

in data 2.7.2008 l’Ufficio di Roma 4 notificava alla V.C. s.r.l., in qualità di acquirente, l’avviso di rettifica e di liquidazione concernente l’imposta di registro, ipotecaria e catastale, per il maggior valore di un terreno edificabile sito nel Comune di Roma, località “V.P.” rispetto all’importo dichiarato nell’atto di acquisto dell’11 luglio 2006, registrato il successivo 31 luglio.

La società contribuente proponeva impugnazione dinanzi alla CTP di Roma chiedendo l’annullamento dell’atto per carenza di motivazione ed erroneità della valutazione del bene oggetto di trasferimento sull’assunto che la stima dell’Agenzia del Territorio sarebbe stata effettuata senza tenere in alcun conto le condizioni del terreno ed in contrasto con due perizie di parte nonché con l’accertamento ai fini ICI effettuato dal Comune di Roma per il 2003.

La CTP di Roma con sentenza in data 24.10.2013 rigettava il ricorso ritenendo che l’avviso di rettifica impugnato, che si basava sulla stima dell’UTE, avesse posto la società nelle condizioni di esperire una valida difesa e che inoltre la società non avesse confutato la stima utilizzata dall’Ufficio con adeguati mezzi di prova.

Proposto appello avverso detta pronuncia da parte della società contribuente, la CTR del Lazio con sentenza in data 11.12.2014 rigettava il gravame ritenendo che l’atto impugnato non fosse viziato sotto il profilo motivazionale contenendo, mediante il rinvio alla relazione di stima dell’Agenzia del Territorio, l’enunciazione dei criteri specifici in base ai quali era stato ricavato il maggior valore. Inoltre riteneva che l’appellante non avesse sviluppato argomentazioni idonee a superare i valori accertati dall’Ufficio e che anche l’argomento relativo alla comune base imponibile tra imposta di registro ed ICI fosse infondato.

Avverso detta pronuncia la società contribuente proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi cui resisteva con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Parte ricorrente depositava altresì memoria ex art. 380 bis c.p.c.

Considerato che

1. Con il primo motivo di ricorso rubricato “Omesso esame circa la determinazione del valore venale del bene come da consulenze di parte in contrasto con diversa ma non univoca valutazione UTE in fase pre-contenziosa con riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c.” parte ricorrente deduceva che la CTR non avrebbe valutato la motivazione dell’atto impositivo ritenendola sufficiente solo perché richiamerebbe per relationem i criteri applicati dall’Ufficio. In particolare, sub specie di omessa motivazione ed esame, censurava la sentenza impugnata che aveva fatto rinvio alla relazione di stima dell’Agenzia del Territorio ove detti criteri erano enunciati.

2. Con il secondo motivo di ricorso rubricato ” Violazione e falsa applicazione di norme circa la omessa valutazione dei criteri pur imposti dal legislatore – violazione dell’art. 51, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992 ex art. 360 n. 3 c.p.c.” parte ricorrente assumeva che la CTR non avrebbe considerato quali elementi utili ai fini della determinazione del valore venale dei beni le valutazioni fornite dal Comune di Roma sia pure ai diversi fini ICI.

3. Con il terzo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’ art. 194 c.p.c. ex art. 360 n. 3, mancata valutazione di prova e contestuale omessa valutazione dei dati tecnici documentali ai fini della necessità di c.t.u.” parte ricorrente deduceva che la CTR non si era espressa in alcun modo in relazione all’onere della prova il cui assolvimento non era stato adeguatamente motivato dal giudice di merito.

Il primo motivo è infondato.

Ed invero, l’atto impositivo impugnato é legittimo in quanto contiene, mediante il rinvio all’allegata relazione di stima dell’Agenzia del Territorio, l’enunciazione dei criteri specifici in base ai quali è stato ricavato il maggior valore.

A riguardo va invero ritenuto che la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che, fermo restando l’onere della prova gravante sulla Amministrazione, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi dell’art. 52, comma 2-bis, del d.P.R. n. 131 del 1986, del dovere di allegazione delle informazioni previste ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull’ avviso di accertamento (vedi tra le altre Sez. 5, n. 22148/2017).

Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso.

Va premesso che la censura indica una norma inesistente (ovvero l’art. 51 del d.lgs. n. 504 del 1992) dovendo la stessa ritenersi invece, riferita all’art. 51 del d.p.r. n. 131 del 1986 e facendosi applicazione del principio secondo cui ai fini della ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la esatta indicazione delle disposizioni di legge delle quali viene lamentata l’inosservanza, né la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purché si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia (vedi Cass., Sez. 1, n. 6671/2006).

Venendo al profilo dedotto, la sentenza impugnata si pone nel solco all’indirizzo interpretativo di legittimità, secondo cui, se è vero che ai fini dell’imposta di registro, il valore venale in comune commercio dei beni immobili trasferiti può fare riferimento, tra gli altri parametri dettati dalla legge, anche “ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni” (art. 51 d.P.R. 131/86), tuttavia tale indicazione svolge una funzione integrativa degli altri criteri, non potendosi attribuire valore decisivo, ai fini dell’imposta di registro, alle valutazioni stabilite dalle amministrazioni comunali ai fini Ici.

Viceversa per la determinazione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro non possono essere richiamati i criteri di determinazione dell’Ici trattandosi di tributi del tutto differenti in quanto l’ICI è di carattere patrimoniale, mentre l’imposta di registro mira a colpire la manifestazione di forza economica e capacità contributiva così come emergenti dall’atto di trasferimento (vedi da ultimo Cass. Sez. V, n. 18936/2018).

Il terzo di motivo di ricorso è inammissibile.

Ed invero la censura che sembra dedurre un’omissione del giudice di secondo grado per non avere disposto una consulenza tecnica d’ufficio attiene tipicamente alla valutazione del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità.

In conclusione il ricorso va rigettato.

La regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, disciplinata come da dispositivo, segue la soccombenza.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione al ricorrente dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00, oltre rimborso spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.