CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 giugno 2021, n. 16984
Tributi – IRPEF – Detrazioni d’imposta – interessi passivi su un mutuo fondiario contratto per la ristrutturazione dell’abitazione principale
Rilevato che
1. A.M. impugnò la cartella esattoriale emessa a seguito di controllo formale della dichiarazione per l’anno di imposta 2007, con la quale l’Agenzia delle Entrate, avendo negato la detraibilità di interessi passivi su un mutuo fondiario contratto per la ristrutturazione dell’abitazione principale e di oneri detraibili al 55%, pretendeva il pagamento dell’importo di € 15.156,16 a titolo di maggiore IRPEF.
La Commissione tributaria provinciale di primo grado accolse il ricorso del contribuente con sentenza che fu riformata in appello.
La Commissione regionale osservò che il mutuo risultava essere stato acceso per la ristrutturazione di un immobile che non costituiva l’abitazione principale del M., la quale si trovava, invece, in Nova Milanese, né di sua madre, la quale aveva iniziato a risiedere presso l’immobile in questione soltanto a far data dal mese di luglio del 2008.
3. Avverso tale pronuncia ricorre A.M. affidandosi a tre motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita ai soli fini della partecipazione alla discussione orale ai sensi dell’art. 370, primo comma, cod. proc. civ.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso il contribuente deduce ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per difetto di motivazione ai sensi dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e per omessa pronuncia circa l’inammissibilità dell’appello in relazione all’art. 53 del medesimo decreto legislativo.
1.1. Il secondo motivo prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti «in relazione all’art. 10, comma 3-bis e all’art. 15, comma 1-ter del d.P.R. n. 917 del 1986, afferente il concetto di abitazione principale relativamente all’asserita residenza del familiare».
1.2. Con il terzo motivo si lamenta della violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.m. 30 luglio 1999, n. 311, dell’art. 10, comma 3-bis, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e del d.P.R. n. 26 aprile 1986, n. 131.
Si assume, in particolare, che nel caso di specie le condizioni alle quali le disposizioni richiamate subordinano il diritto alla detrazione degli interessi passivi sul mutuo fondiario sono state rispettate posto che, come dimostrato dal certificato di agibilità depositato nei gradi di merito e riprodotto con il ricorso per cassazione sub allegato 14, i lavori di ristrutturazione dell’immobile sono iniziati nel mese di marzo del 2005 e il contratto di mutuo fondiario è stato stipulato il 21 settembre 2005 (come risulta dal documento 18 allegato al ricorso per cassazione) e, dunque, nei sei mesi successivi. Inoltre, entro il termine di sei mesi dalla conclusione dei lavori l’unità abitativa è stata adibita ad abitazione principale della madre del ricorrente, come confermato dal certificato di residenza storico di cui all’allegato 12 al ricorso per cassazione.
2. Il primo motivo, nella sua duplice articolazione contenutistica, è infondato.
Non merita, innanzitutto, condivisione la censura di nullità della sentenza per motivazione apparente che il ricorrente fonda sul rilievo per il quale i giudici d’appello si sarebbero limitati ad aderire acriticamente agli assunti prospettati dall’Ufficio nell’atto impositivo.
Come chiarito da questa Corte, la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. Sez. 1, ord. 30/6/2020, n. 13248; Cass. Sez. L, n. 20921/2019; Cass. Sez. 6-5, ord. 7/4/2017, n. 9105).
Tale ipotesi non appare configurabile nel caso di specie in cui la pronuncia gravata non si riduce ad un’acritica adesione all’atto di impugnazione, ma, sia pure con notevole stringatezza, rende esplicite le ragioni della condivisione della tesi ivi sostenuta, individuandole, rispettivamente, nel fatto che l’immobile per la cui ristrutturazione era stato acceso il mutuo non costituiva l’abitazione principale del contribuente, trovandosi quest’ultima in Nova Milanese, né di sua madre, per avere la stessa iniziato a risiedervi soltanto dal mese di luglio del 2008; e nel fatto che «il contribuente, pur essendo stato invitato ad integrare presso la banca i dati mancanti nei bonifici irregolari, non vi ha provveduto».
2.1. Non merita accoglimento neanche la censura con la quale si lamenta che la commissione regionale ha omesso di pronunciare sull’eccezione di inammissibilità del gravame nonostante il relativo atto introduttivo si riducesse ad una generica riproposizione delle difese approntate in primo grado.
Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, nel processo tributario l’onere di impugnazione specifica richiesto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 non impone all’appellante di porre a sostegno dell’impugnazione argomenti giuridici nuovi rispetto a quelli già respinti dal giudice di prime cure.
Invero, secondo un orientamento ampiamente condiviso da questa Corte, la riproposizione, a supporto dell’appello avanzato dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal citato art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. Sez. 65, ord. n. 1200 del 22/1/2016; Sez. 6-5, ord. n. 30525 del 23/11/2018; Cass. Sez. 5, ord. n. 32838 del 19/12/2018).
3. Il secondo mezzo, che prospetta un travisamento, da parte dei giudici di seconde cure, della nozione di abitazione principale, rilevante, ai sensi dell’art. 15, comma 1-ter, del d.P.R. n. 917 del 1986, ai fini della detrazione degli interessi sui mutui fondiari, ed una sua erronea sovrapposizione con il diverso concetto di “prima casa”, rilevante ai fini di differenti agevolazioni fiscali, non supera il vaglio di ammissibilità.
Ritiene, invero, il Collegio che la censura non colga la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale non fa questione della portata in iure della nozione di “abitazione principale” rilevante ai fini dell’invocata detrazione, né – per lo meno con riguardo alla posizione di L.C., madre del contribuente – ne disconosce la configurabilità nel caso concreto, ma si incentra sul solo dato fattuale della decorrenza temporale di tale requisito, assumendone la sussistenza soltanto a far data dal mese di luglio del 2008 e non, come dedotto dal ricorrente, dal mese di maggio dello stesso anno.
4. Il terzo motivo merita, invece, accoglimento.
Assume il ricorrente che la Commissione tributaria regionale, nell’affermare che nel 2007 l’immobile «non costituiva […] l’abitazione della madre, perché questa vi ha risieduto dal luglio 2008», ha omesso di esaminare il fatto, decisivo per il giudizio, che, come dimostrato dalla documentazione allegata alla comparsa di costituzione e risposta del 20 maggio 2013 e riprodotta a corredo al ricorso per cassazione, la propria madre L.C. risiedeva nell’immobile in questione, sito in via per C. n. 1 in Corigliano d’Otranto, dal mese di maggio 2008, posto che, essendo terminati i lavori di ristrutturazione nel mese di dicembre del 2007, aveva conseguito il certificato di agibilità in data 23 aprile 2008.
In definitiva, si lamenta che, se la commissione regionale avesse esaminato le difese del contribuente e la documentazione prodotta, avrebbe constatato la sussistenza di tutti i requisiti per la detrazione degli interessi passivi sul mutuo fondiario, avendo lo stesso dimostrato che l’immobile in questione era adibito ad abitazione principale della propria madre L.C.
4.1. Il ricorrente, nel denunciare l’erronea valutazione, da parte dei giudici d’appello, della documentazione prodotta a sostegno dell’allegazione secondo la quale l’immobile per cui si controverte costituisse abitazione principale della propria madre sin dal mese di maggio del 2008, contesta, in definitiva, un errore di percezione sul contenuto oggettivo di una prova.
Come precisato da questa Corte, il vizio di motivazione fondato sul travisamento della prova implica non una valutazione dei fatti, ma una constatazione che l’informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale (Cass. Sez. 6-5, ord. n. 28174 del 5/11/2018; Cass. Sez. 3, n. 1163 del 21/1/2020; Cass. Sez. 1, ord. n. 3796 del 14/2/2020).
Infatti, in simile ipotesi il giudice di legittimità non è chiamato a valutare la prova, ma ad accertare l’esistenza di un dato probatorio non equivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi e alternativi.
A tale riguardo, questa Corte ha chiarito che «[L]’informazione probatoria indicata in sentenza e valutata dal giudice mancherebbe del tutto nell’atto, che ne conterrebbe una diversa, onde il ragionamento svolto dal giudice di merito senza l’informazione travisata risulterebbe vanificato ed illogico. Vi sarebbe, perciò, una contraddittorietà tra il dato esistente in atti e quello preso in considerazione dal giudice» (Cass. Sez. 1, n. 10749 del 25/5/2015).
Affinché il travisamento del dato probatorio possa assumere rilevanza nel giudizio di legittimità è, altresì, necessario che l’informazione probatoria risultante dalla prova travisata sia stata prospettata come decisiva, ossia capace da sola di portare il giudice di merito, in sede di rinvio, ad assumere una decisione diversa (Sez. 3, n. 1163 del 21/1/2020; Cass. Sez. 1, ord. n. 3796 del 14/2/2020).
A tal fine, occorre che il ricorrente ponga la Corte nella condizione di verificare l’esistenza del dato così rilevante e che, quindi, di essa venga allegato al ricorso l’atto in cui la prova è stata acquisita al processo (Cass. Sez. 1, n. 10749 del 25/5/2015, cit.).
4.2. Nella specie, il documento contenente il dato probatorio assunto dal ricorrente come decisivo al fine di rovesciare la decisione di merito è costituito da un certificato di residenza, dal quale risulta che L.C., madre dello stesso contribuente, risiedeva nell’immobile per il quale è stato concesso il mutuo per cui si controverte sin dal 15 maggio 2008 (v. allegato 12 al ricorso per cassazione), laddove i lavori di ristrutturazione risultano essere stati terminati nel mese di dicembre del 2007, come indicato nel certificato di agibilità in data 23 aprile 2008 (v. allegato 14 al ricorso per cassazione).
Le informazioni probatorie veicolate dal suddetto documento, pur essendo capaci di condurre ad una decisione opposta rispetto a quella assunta, sono state trascurate dalla sentenza impugnata che, infatti, afferma che «l’immobile in questione nell’anno 2007 non costituiva [né] l’abitazione principale della madre, perché questa vi ha risieduto dal luglio 2008».
Invero, a mente degli artt. 10, comma 3-bis, e 15, comma 1- ter, del d.P.R. 917 del 1986, n. 917, nonché dell’art. 2, comma 2, del D.M. 30 luglio 1999, n. 311, il diritto alla detrazione degli interessi è condizionato alla destinazione dell’immobile, per il quale è stato contratto il mutuo, ad abitazione principale del proprietario, ovvero del titolare di altro diritto reale, o di un suo familiare entro sei mesi dalla data di conclusione dei lavori.
5. Il ricorso deve, pertanto, essere accolto nei termini di cui in motivazione e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese processuali.
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