CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 giugno 2021, n. 17040

Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico – Redditometro – Obbligo di contraddittorio endoprocedimentale – Periodi d’imposta precedenti al 2009 – Esclusione – Legittimità degli atti di accertamento

Rilevato che

nella controversia originata dalla impugnazione da parte di R.F. di avvisi di accertamento, emessi ai sensi dell’art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 e relativi a Irpef degli anni di imposta 2007 e 2008, la Commissione tributaria regionale della Toscana-sezione di Firenze (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.), in accoglimento dell’appello proposto dal contribuente e rigettando l’appello incidentale proposto dall’Ufficio, riformava integralmente, con la sentenza indicata in epigrafe, la decisione (di accoglimento parziale del ricorso) resa dalla Commissione di prima istanza, annullando gli atti impositivi.

Il giudice di appello riteneva, infatti, che l’invalidità degli atti derivasse dal vizio del procedimento amministrativo che si era svolto senza il rispetto del principio, immanente nell’ordinamento, del contraddittorio endoprocedimentale.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso, affidandosi a tre motivi, cui resiste, con controricorso, R.F..

Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art. 380 bis-1 cod.proc.civ., alla trattazione in camera di consiglio.

Considerato che

1. con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc.civ., la violazione del combinato disposto dell’art. 38, terzo comma, del d.lgs.n. 546 del 1992 e dell’art. 327 cod.proc.civ., evidenziandosi l’errore della C.T.R. che non aveva rilevato la tardività dell’appello proposto dal contribuente.

Secondo la prospettazione difensiva, l’appello, ricevuto dall’Ufficio in data 22.10.2013, era tardivo in quanto il termine semestrale di cui all’art.327 cod.proc.civ., essendo stata la sentenza di primo grado depositata il 6 marzo 2013, andava a scadere il 21 ottobre 2013.

1.1 La censura è infondata. Nel caso in esame, nel computo dei termini di impugnazione, va tenuto conto della sospensione feriale che, nel 2013, era ancora ricompresa tra il primo agosto e il 15 settembre, con la conseguenza che l’appello, notificato il 22 ottobre 2013 a fronte del deposito della sentenza avvenuto il 6 marzo 2013, va ritenuto tempestivo alla luce del principio costantemente seguito da questa Corte (v. Cass. n.16549 del 28/09/2012; Cass.n. 22699 del 04/10/2013) secondo cui «per i termini mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 cod. proc. civ., si osserva, a norma degli artt. 155, secondo comma, cod. proc. civ. e 2963, quarto comma, cod. civ., il sistema della computazione civile, non “ex numero” bensì “ex nominatione dierum”, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale; analogamente si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini: in tal caso, infatti, al termine annuale di decadenza dal gravame, di cui all’art. 327, primo comma, cod. proc. civ., devono aggiungersi 46 giorni computati “ex numeratione dierum”, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155, primo comma, stesso codice e dell’art. 1, primo comma, della legge 7 ottobre 1969, n. 742, non dovendosi tenere conto dei giorni compresi tra il primo agosto e il quindici settembre di ciascun anno per effetto della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale».

2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.3 cod.proc.civ., la violazione e falsa applicazione dell’art.38 d.P.R. n.600 del 1973, applicabile ratione temporis e dell’asserito principio generale che imporrebbe sempre all’Amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio endoprocedimentale.

2.1 La censura è fondata alla luce del principio, consolidatosi a partire della sentenza n. 24823 del 09/12/2015 delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù dell’art. 38, comma 7, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione introdotta dall’art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, conv. in I. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale.».

3. L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento del terzo con cui l’Agenzia delle entrate ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.5 cod. proc.civ. l’omesso esame da parte della C.T.R. del fatto storico dell’avvenuto instaurarsi, comunque, del contraddittorio con il contribuente.

4. Infine, va dichiarata l’inammissibilità della questione posta, preliminarmente, dal contribuente in seno al controricorso e relativa alla violazione e falsa applicazione dell’art.8, comma 24 del d.l. 2 marzo 2012 n.16 convertito con modificazioni nella legge n.44 del 26/4/2012. Secondo il controricorrente sia gli atti impositivi impugnati che gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle entrate sarebbero illegittimi perché sottoscritti da soggetti con funzioni dirigenziali assunte non per pubblico concorso. La questione, a quello che consta in atti e nel silenzio sul punto della difesa del contribuente, viene proposta per la prima volta nel presente giudizio di legittimità, in sede di controricorso, e, pertanto, non merita di essere scrutinata, non trattandosi di ipotesi di nullità rilevabile d’ufficio. Questa Corte (v.Cass.n.22810 del 09/11/2015 e, tra le altre, di recente Cass. n. 19929 del 23/09/2020) in materia, ha, infatti, già statuito il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui «in tema di contenzioso tributario, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicché l’invalidità non può essere rilevata di ufficio, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso, con cui si è dedotta la nullità dei gradi di merito e delle relative pronunce per effetto della sentenza della Corte cost. n. 37 del 2015, non essendo stata rilevata d’ufficio la nullità degli atti impositivi per carenza di potere del sottoscrittore).

5. In conclusione, rigettato il primo motivo di ricorso, in accoglimento del secondo e assorbito il terzo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, che, adeguandosi ai superiori principi, provvederà al riesame e anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo.

Cassa, nei limiti del motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana- Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese di legittimità.