CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 luglio 2018, n. 18820
Licenziamento – Superamento del periodo di comporto – Lavoratori ultrasessantenni – C.C.N.L. settore Credito – Collegamento tra l’assenza per malattia e comportamenti datoriali – Accertamento
Rilevato
che con sentenza depositata il 29.4.2016 la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di annullamento del licenziamento intimato il 14.11.2013 dalla società Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. a L.F. per superamento del periodo di comporto;
che la Corte territoriale, ritenendo correttamente proposta, al Tribunale, l’opposizione di cui all’art. 1, comma 51, della legge n. 92 del 2012, ha rilevato che risultava ampiamente superato il termine di comporto di sei mesi previsto dall’art. 58, comma 6, del C.C.N.L. settore Credito per i lavoratori ultrasessantenni e che nessun collegamento causale tra l’assenza per malattia e comportamenti datoriali emergeva dalle allegazioni del ricorso introduttivo del giudizio né, in ogni caso, dalla perizia affidata al CTU;
che per la cassazione della sentenza la F. propone ricorso affidato a sette motivi illustrati da memoria;
che la società ha depositato controricorso;
Ritenuto
che con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 51, della legge n. 92 del 2012 in relazione all’art. 414 cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che il ricorso in opposizione proposto dalla Banca non conteneva alcuna esposizione dei fatti ma solo la mera trascrizione della lettera di licenziamento né esponeva le ragioni giuridiche poste a base del licenziamento;
che il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod.proc.civ. e degli artt. 2087, 2103, 2110, 2697 cod.civ.. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale/ritenuto sfornito di prova il collegamento causale tra malattia e condotta datoriale nonostante mancata contestazione, da parte della banca, dei fatti allegati dalla lavoratrice nel ricorso introduttivo del giudizio;
che con il terzo motivo è dedotto un vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato il gravissimo demansionamento subito dalla lavoratrice sin dall’anno 2000 e l’aggravamento provocato dall’ennesimo evento vessatorio consistito nell’aver scoperto, al rientro dal periodo di malattia, l’occupazione della postazione di lavoro da parte di altro dipendente e lo spostamento dei suoi effetti personali all’interno del magazzino;
che con il quarto motivo è dedotto un vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, soprasseduto, all’esito della perizia depositata dal CTU, di procedere ad ulteriore visita medica psichiatrica;
che con il quinto motivo è dedotto un vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto tardivi i certificati medici esaminati dal CTU nonostante si trattasse di documenti di cui vi era ampia traccia nella perizia di parte prodotta dalla lavoratrice sin dal primo grado;
che con il sesto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 58, comma 9, del C.C.N.L. settore Credito in relazione agli artt. 2110 e 2118 cod.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente interpretato la clausola negoziale che impone alla banca il preavviso dell’approssimarsi del superamento del periodo di comporto senza distinguere tra lavoratori aventi diritto al trattamento pensionistico o meno;
che con il settimo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e del d.m. n. 140 del 2012 nonché vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) non avendo, la Corte distrettuale, in sede di liquidazione delle spese di lite specificato i parametri adottati e, in particolare, lo scaglione utilizzato quale parametro di riferimento, dovendosi procedere ad una compensazione in considerazione dei “due giudizi [di merito] altamente contrastanti” o, comunque, liquidarsi le spese nel minimo della fascia;
che il primo motivo non è fondato avendo correttamente rilevato, la Corte distrettuale, che nel rito cd. Fornero, il giudizio di primo grado è unico a composizione bifasica, con una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela al lavoratore, ed una seconda fase, a cognizione piena, che della precedente costituisce una prosecuzione (cfr. in tal senso Cass. Sez.U. n. 19674 del 2014; Cass. n. 27655 del 2017), con conseguente possibilità di “rapportarsi al contenuto dell’ordinanza sommaria” opposta ed avendo, inoltre, effettuato un esame complessivo dell’atto di opposizione della banca (cfr. con riguardo all’esame complessivo dell’atto ai fini delle nullità della domanda, ex plurimis, Cass. n. 7137 del 2002) pervenendo ad escludere la nullità dell’atto per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fondava l’opposizione;
che il secondo ed il terzo motivo di ricorso appaiono inammissibilmente formulati, per avere ricondotto sotto l’archetipo della violazione di legge censure che, invece, attengono alla tipologia del difetto di motivazione (da scrutinarsi alla luce del novellato testo dell’art. 360 n. 5, come interpretato dalle Sezioni Unite n. 8053/2014) ovvero al gravame contro la decisione di merito mediante una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, non potendosi rinvenire nemmeno un vizio di falsa applicazione di legge, non lamentando, il ricorrente, un errore di sussunzione del singolo caso in una norma che non gli si addice;
che, invero, la Corte territoriale, esaminando i fatti “nella stessa narrazione degli accadimenti sviluppata dalla F.” (ossia presa visione, in data 10.12.2012 al rientro da un periodo di malattia, dell’occupazione della sua postazione e dello spostamento degli effetti personali in un’altra stanza in attesa del trasferimento in una nuova sede) ha escluso che si trattasse di “epilogo di una strategia datoriale demansionante” non essendo state ancora assegnate, nel giorno di rientro in ufficio, nuove mansioni a seguito del trasferimento e trattandosi di determinazioni della banca “rispondenti a criteri di ordinaria organizzazione e di obiettivo buon senso”;
che il quarto motivo è inammissibile, non risultando – la censura – conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte che, con riguardo a lamentati errori e lacune della consulenza tecnica d’ufficio, la ritiene suscettibile di esame in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione della sentenza, quando siano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche o affermazioni scientificamente errate e non già quando si prospettino semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e la valutazione della parte (Cass. nn. 3307/2012, 22707/2010, 569/2011);
che, nel caso di specie, la Corte territoriale, aderendo alle conclusioni del CTU di un possibile nesso causale tra i fatti del 10.12.2012 e l’insorto episodio stenocardico da circoscrivere ad un periodo di assenza non superiore a 60 giorni, ha rilevato che anche detraendo tale periodo (60 giorni) dai complessivi giorni di assenza per malattia (331) permaneva largamente decorso il periodo semestrale di comporto ed ha aggiunto, con riguardo alla sindrome ansioso-depressiva, che il CTU aveva escluso il collegamento tra tale stato e l’episodio coronarico, che i certificati medici erano stati tardivamente prodotti e che tale patologia risultava dalle stesse relazione dei medici di parte “cronicizzata e con effetti definiti irreversibili”;
che il quinto motivo di ricorso è infondato, non essendo sufficiente che la documentazione medica sia “indicata” nella perizia di parte prodotta in primo grado ed essendosi conformata, la Corte territoriale, al principio affermato ripetutamente da questa Corte che richiede il deposito di tutta la documentazione contestualmente alla costituzione in giudizio (cfr. Cass. Sez. U. n. 8202 del 2005);
che il sesto motivo di ricorso è infondato, avendo la Corte territoriale esaminato il testo della clausola contrattuale nel rispetto dei canoni esegetici dettati dall’ordinamento (con particolare riguardo all’art. 1363 cod.civ.) ed avendo rilevato che, il combinato disposto dei commi 9 e 10 dell’art. 58 del C.C.N.L. settore Credito, rendeva chiaro che il preavviso dovuto al lavoratore in prossimità della scadenza del periodo di comporto era funzionale all’opzione per l’aspettativa non retribuita, aspettativa di cui i lavoratori in possesso dei requisiti pensionistici (come la F.) non potevano fruire;
che il settimo motivo è infondato avendo questa Corte ripetutamente affermato che, qualora non sia prodotta una nota specifica, il giudice non è onerato dell’indicazione specifica delle singole voci prese in considerazione e la liquidazione giudiziale delle spese di lite è da presumere avvenuta con riferimento a quel che risulta dagli atti, quanto alla corrispondenza fra l’attività svolta dal difensore e la somma spettante a titolo di spese, diritti ed onorari, essendo, inoltre, onere della parte che lamenti l’erronea liquidazione dimostrare – attraverso la produzione in giudizio della nota specifica delle prestazioni svolte – che l’attività esposta sia stata effettivamente resa, nonché quali singole voci non siano state incluse nella somma liquidata a compensazione, o siano state liquidate in violazione dei limiti tariffari, potendo il giudice, solo in forza di tale attività, verificare con puntualità e precisione la corrispondenza o meno delle richieste alle risultanze di causa, traendo anche argomento dalla mancata contestazione della controparte (Cass. n. 7654 del 2013, Cass. n. 3023 del 2012);
che, inoltre, in ordine alla compensazione delle spese di lite, il sindacato della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr. Cass. n. 24502 del 2017, Cass. n. 8421 del 2017) , applicandosi, peraltro, nel caso di specie, l’art. 92, comma 2, cod.proc.civ. come sostituito dall’ art. 45, comma 11, della legge n. 69 del 2009, trattandosi di giudizio instaurato dopo l’entrata in vigore della legge (4.7.2009), disposizione che prevedeva la compensazione delle spese “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione che, in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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