CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 luglio 2020, n. 15179
Tributi – Reddito di impresa – Spese di sponsorizzazione di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche – Natura pubblicitaria – Deducibilità
Rilevato che
Con sentenza n. 873/30/15 del 31/03/14, depositata il 19/05/15 la Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla F. srl avverso la sentenza n. 83/4/13 della Commissione tributaria provinciale di Lucca che ne aveva respinto i ricorsi contro gli avvisi di accertamento per II.DD. ed IVA 2006/2009.
La CTR osservava in particolare che era necessario assumere decisioni differenti in relazione alle II.DD., da una parte ed all’IVA, dall’altra, posto che i costi pubblicitari ripresi a tassazione, in quanto effettivamente sostenuti e regolarmente fatturati, ingeneravano il diritto della società contribuente alla detrazione dell’IVA composta in rivalsa al soggetto fatturante; che – diversamente – trattandosi di costi “non inerenti” non potevano essere dedotti ai fini dell’imposizione reddituale e dell’IRAP.
Sotto questo secondo profilo il giudice tributario di appello argomentava circa l’inidoneità delle spese pubblicitarie in contesto quale fattore di crescita economica dell’impresa contribuente e quindi appunto affermava l’assenza di un nesso strumentale tra la “spesa” e I’ “impresa” medesima.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo cinque motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
Con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, poiché la Commissione tributaria regionale non ha considerato che le spese di sponsorizzazione de quibus erano inferiori ad euro 200.000 annuali e che i destinatari (sponsee) delle somme erogate, L.T. e S.T., erano associazioni sportive dilettantistiche, così non valutando la conseguente applicabilità dell’art. 90, comma 8, legge 289/2002, espressamente
eccepita, e quindi della relativa presunzione legale assoluta circa la natura “pubblicitaria” delle spese stesse.
La censura è inammissibile.
Sul punto la decisione di appello, in quanto confermativa di quella di primo grado, concretizza sicuramente una “doppia conforme” e pertanto il mezzo de quo non è proponibile ai sensi dell’art. 348 ter, cod. proc. civ.
Con il secondo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per la violazione/falsa applicazione dell’art. 90, comma 8, legge 289/2002, poiché la Commissione tributaria regionale, nella soluzione della controversia in diritto, non ha in alcun modo tenuto conto del contenuto precettivo di tale disposizione legislativa e non ha quindi considerato che nel caso di specie ne ricorressero i presupposti applicativi, con specifico riguardo al limite annuale della spesa ed alla natura soggettiva delle sue beneficiarie nonché più in generale dell’effettiva attività di sponsorizzazione compiuta dalle sponsee.
La censura è fondata.
Bisogna ricordare che il testo normativo de quo dispone che «Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’articolo 74, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917». Come già precisato da questa Corte (Sez. 5. n. 5720/2016; Sez. 6- 5 nn. 8981-14232-14235/2017), tale norma agevolativa ha introdotto una “presunzione legale assoluta” circa la natura pubblicitaria, non di rappresentanza, di dette spese di sponsorizzazione, peraltro ponendo precise condizioni per la sua applicabilità e precisamente che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa fissato dalla legge; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo da gioco, etc.).
Data l’assolutezza della presunzione deve considerarsi irrilevante la considerazione da parte della CTR della “antieconomicità” della spesa de qua, in ragione della sproporzione tra l’entità della stessa rispetto al fatturato/utile di esercizio della società contribuente ovvero della “inidoneità” della spesa stessa. Infatti tale presunzione legale riguarda sia la “natura” del costo, quale spesa pubblicitaria, sia l’inerenza del costo stesso sino alla soglia, normativamente fissata, dell’importo di euro 200.000, appunto perché quella in esame è una presunzione legale “assoluta”, la cui ratio evidente non riguarda la determinazione del reddito di impresa ovvero la base imponibile dell’IRAP, ma il sostegno finanziario dei privati alle attività sportive dilettantistiche.
In altri termini l’interpretazione teleologica e sostanziale della speciale norma in esame induce a ritenere che essa ha in via primaria finalità sociali extrafiscali, che normativamente sancisce come prevalenti sulle finalità fiscali.
Ciò posto, come detto la sentenza impugnata -che significativamente nemmeno menziona l’art. 90, comma 8, legge 289/2002- pur concretamente accertando la sussistenza dei presupposti, espressi ovvero impliciti, di applicabilità di tale disposizione legislativa che sopra si sono individuati, si è tuttavia soffermata sulla “non inerenza” dei costi in oggetto, basandone la propria decisione.
Così tuttavia il giudice tributario di appello ha consumato la denunciata violazione di legge, nei termini che si sono indicati.
Il ricorso va dunque accolto in relazione al secondo motivo, rigettato il primo motivo ed assorbiti il terzo (omessa pronuncia sull’applicabilità dell’art. 90, comma 8, legge 289/2002), il quarto (violazione/falsa applicazione degli artt. 41, Cost., 1322, cod. civ.) ed il quinto motivo (falsa applicazione degli artt. 109, comma 5, TUIR, 2607, cod. civ.), la sentenza impugnata va cassata e, decidendosi nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va accolto il ricorso introduttivo della lite anche in relazione alle imposte dirette.
Stante l’esito alterno dei gradi di merito ed il recente formarsi della citata giurisprudenza risolutrice di quello di legittimità, le spese processuali possono essere integralmente compensate.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo motivo, dichiara assorbiti il terzo, il quarto ed il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo della lite anche con riguardo alle imposte dirette; compensa le spese del processo.
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