CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 luglio 2021, n. 20356

Tributi – Contenzioso tributario – Omessa comunicazione della data dell’udienza di discussione – Effetti

Svolgimento del processo

H.C. sa e P.A. sa hanno impugnato davanti alla CTP di Milano un avviso di liquidazione con il quale sono state liquidate imposte ipotecarie e catastali, oltre interessi e sanzioni.

La CTP di Milano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 10017/44/15, ha respinto il ricorso.

H.C. sa e P.A. sa hanno proposto appello che la CTR di Milano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1362/16/2017, ha rigettato.

H.C. sa e P.A. sa hanno presentato ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.

– H.C. sa é P.A. sa hanno depositato Memorie.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo le società ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 31 e 61 d.lgs. n. 546 del 1992 e 24 Cost. perché la CTR avrebbe deciso la causa senza che fosse stata loro comunicata la data dell’udienza di discussione.

La doglianza va accolta.

Al riguardo, peraltro, si osserva che “La trattazione dell’appello in pubblica udienza, senza preventivo avviso alla parte, costituisce una nullità processuale che travolge, per violazione del diritto di difesa, la sentenza successiva, ma non determina la retrocessione del processo alla commissione tributaria regionale, ove non siano necessari accertamenti di fatto nel merito e debba essere decisa una questione di mero diritto, atteso che il principio costituzionale della ragionevole durata del processo impedisce di adottare decisioni che, senza utilità per il diritto di difesa o per il rispetto del contraddittorio, comportino l’allungamento dei tempi del giudizio” (Cass., Sez. 5, n. 8239 del 24 marzo 2021, non massimata; Cass., Sez. 5, n. 27837 del 31 ottobre 2018).

Nella specie, ancorché non vi sia prova della menzionata comunicazione, l’accoglimento del primo motivo di ricorso non può tradursi nella cassazione con rinvio della decisione impugnata, atteso che le questioni oggetto del contendere, portate all’attenzione di questo Collegio con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, concernono profili di puro diritto, circostanza che impone di decidere la controversia nel merito ex articolo 384, comma 2, c.p.c.

2) Con il secondo motivo di ricorso, le società ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 7 della legge n. 212 del 2000 e della legge n. 241 del 1990 perché la CTR non avrebbe considerato che l’avviso impugnato era illegittimo in quanto non conteneva indicazioni sulle modalità di conteggio degli interessi e sul relativo tasso di interesse applicato e sul fatto che l’importo richiesto comprendesse le sanzioni e gli stessi interessi. Inoltre, non era stato precisato se la somma da pagare fosse o meno comprensiva dell’imposta già corrisposta in precedenza in misura fissa.

Le doglianze sono infondate.

Infatti, l’onere di motivazione è stato nella specie assolto con la menzione nell’atto contestato di quello stipulato, in relazione al quale sono domandati i maggiori tributi, delle parti dello stesso, della normativa di riferimento e della ragione della nuova liquidazione (omessa autoliquidazione imposte principali ipotecaria e catastale sulla base imponibile di € 19.415.600,00).

Alla luce degli elementi indicati, è priva di rilievo la non specificazione delle sanzioni ed interessi, l’importo dei quali può essere agevolmente determinato applicando regole matematiche o criteri legali (Cfr. Cass., Sez. 5, n. 6812 dell’8 marzo 2019).

Allo stesso modo, non è necessario che la P.A. menzioni l’avvenuta detrazione o meno della somma già corrisposta, poiché S.fatto adempimento non è imposto da una normativa specifica e, comunque, dalla sentenza si evince che l’avviso contestato concerne “una maggiore imposta ipotecaria e catastale” e, dunque, prescinde dall’ammontare versato.

3) Con il terzo motivo le società ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della nota IV, articolo 4 della Tariffa Parte I d.P.R. n. 131 del 1986 e della direttiva 2008/7/CE, con conseguente disapplicazione del d.lgs. n. 347 del 1990, poiché la CTR avrebbe errato nell’affermare che le imposte ipotecaria e catastale potevano essere applicate all’operazione oggetto di causa, venendo in rilievo il conferimento di capitali (nel caso, beni immobili siti in Italia) in società in cambio di quote della stessa.

La doglianza è infondata.

Nella specie, è in questione l’assoggettamento ad imposta ipotecaria e catastale in misura proporzionale del conferimento dei diritti reali su alcuni immobili presenti in Italia in favore di una società di capitali con sede in Lussemburgo “a completa liberazione delle azioni emesse” da quest’ultima società al momento dell’aumento del proprio capitale.

Il regime d’imposizione agli effetti delle imposte indirette della vicenda giuridica come sopra individuata è interessato dalla menzionata direttiva 2008/7/CE e dalla precedente direttiva 69/335/CEE.

Infatti, l’articolo 1 della direttiva 2008/7/CE disciplina l’applicazione delle imposte indirette, fra gli altri, pure nei casi di “a) conferimenti di capitale a società di capitali”.

Inoltre, le lett. a) e c) dell’articolo 4, par. 1, della direttiva 69/335/CEE e l’articolo 3 della direttiva 2008/7/CE includono nell’elenco delle operazioni ad esse soggette, fra l’altro, anche “la costituzione di una società di capitali”, nonché “l’aumento di capitale di una società di capitali mediante conferimento di beni di qualsiasi natura”.

L’articolo 5 della direttiva 2008/7/CE stabilisce che “Gli Stati membri non assoggettano le società di capitali ad alcuna forma di imposta indiretta per le operazioni seguenti: a) conferimenti di capitale”.

Occorre stabilire, allora, se i conferimenti di capitali come quello oggetto della presente controversia ricadano o meno nell’ambito di applicazione dell’articolo 5 della direttiva 2008/7/CE, che ne escluderebbe l’assoggettabilità alle imposte ipotecaria e catastale.

Al riguardo, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGE, 11 dicembre 1997, causa C-42/96, Società Immobiliare S. S.p.A.) ha chiarito, decidendo su una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Venezia, che “La direttiva 69/335, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, come modificata dalle direttive 73/79, 73/80, 74/553 e 85/303, si applica ad imposte come l’imposta di registro, l’imposta ipotecaria e l’imposta catastale, qualora tali imposte vengano riscosse all’atto del trasferimento di proprietà di un immobile nell’ipotesi di conferimento di immobili ad una società di capitali. Le tre imposte costituiscono, in tal caso, imposte indirette aventi le stesse caratteristiche dell’imposta di conferimento e, pertanto, sono vietate a norma dell’art. 10 della direttiva. Tuttavia, l’art. 12 della direttiva va interpretato nel senso che autorizza uno Stato membro, in deroga al divieto di cui all’art. 10, a riscuotere le dette imposte, a condizione però che esse non siano superiori a quelle applicabili alle operazioni similari nello Stato membro che le riscuote“.

Il giudice comunitario (CGE, 25 ottobre 2007, causa C-240/06, FPF S.A./Uudenmaan verovirasto) ha ritenuto, per l’esattezza, in via generale qualificabili come “conferimenti di capitale”, agli effetti della direttiva 69/335, le operazioni che comportino il rafforzamento del potenziale economico della società beneficiaria, indipendentemente dalle modalità con cui siano poste in essere, specificando che, per aumento di capitale mediante conferimento di beni ai sensi della lett. c) dell’articolo 4, par. 1, della direttiva medesima deve intendersi un “aumento formale del capitale sociale per mezzo dell’emissione di nuove quote sociali”, “senza alcun riferimento agli effetti economici che tale operazione produce per coloro che vi partecipano”.

Infatti, come affermato da CGE, 30 marzo 2006, causa C-46/04, Aro Tubi Trafilerie, l’aumento del capitale sociale si deve intendere, ai sensi dell’articolo 4, n. 1, lett. c), della direttiva 69/335, come un aumento formale del capitale sociale per mezzo dell’emissione di nuove quote sociali, oppure dell’aumento del valore nominale delle quote sociali esistenti.

La direttiva 69/335/CEE sulla raccolta dei capitali, nella sua formulazione attualmente vigente, pone oramai il divieto di assoggettare ad imposizione indiretta i conferimenti d’azienda in sé considerati.

In particolare, la lett. c) dell’articolo 4 della direttiva 69/335/CEE, considerando che “le imposte indirette sulla raccolta dei capitali.., in vigore negli Stati Membri e cioè l’imposta sui conferimenti di capitali in società… danno luogo a discriminazioni, a doppie imposizioni e a disparità che ostacolano la libera circolazione dei capitali e che devono essere pertanto eliminate mediante un’opportuna armonizzazione”, ha posto a carico degli Stati Membri, con effetto dal 1° gennaio 1972, l’obbligo di assoggettare i conferimenti di beni eseguiti in sede di costituzione di società di capitali ovvero di aumento del loro capitale ad un’imposta proporzionale con un’aliquota compresa fra 11 e il 2%, nonché ad un’aliquota ridotta compresa fra lo 0,50 e 1’1%, nel caso in cui “una o più società di capitali conferiscono la totalità dei loro patrimoni, o uno o più rami della loro attività, ad una o più società di capitali in via di creazione o già esistenti” dietro “attribuzione di quote sociali”.

Tuttavia, l’art. 12 di tale direttiva ha fatto salva l’applicazione delle “imposte di trasferimento, ivi comprese le tasse di pubblicità fondiaria, sul conferimento ad una società… che persegue scopi di lucro di beni immobili o di aziende commerciali situati sul loro territorio” a condizione che gli importi delle imposte così applicate non siano “superiori a quelli che sono applicabili alle operazioni similari nello Stato membro che li riscuote”.

Con effetto dal 10 gennaio 1976, l’articolo 1 della direttiva del Consiglio del 9 aprile 1973, n. 73/80/CEE ha ridotto l’aliquota base dell’imposta sui conferimenti all’1%, nonché l’aliquota ridotta di tale imposta fra lo 0 ed il 0,50%.

Inoltre, poiché “gli effetti economici dell’imposta sui conferimenti sono sfavorevoli al raggruppamento e allo sviluppo delle imprese” e tali “effetti sono particolarmente negativi nell’attuale congiuntura la quale impone di dare priorità al rilancio degli investimenti”, l’articolo 1 della direttiva del Consiglio del 10 giugno 1985, n. 85/303/CEE, con effetto dal 10 gennaio 1986, ha posto a carico degli Stati Membri l’obbligo di esentare i conferimenti di beni che, alla data del 10 luglio 1984, erano assoggettati ad un’aliquota pari od inferiore allo 0,50% ovverosia, oltre ai trasferimenti del patrimonio, anche i conferimenti di aziende, nonché l’obbligo di assoggettare ad un’aliquota non superiore all’1% gli altri conferimenti di beni.

Pertanto la Corte di Giustizia (CGE, cause riunite C-197/94 e 252/94, Bautiaa/Directeur des services fiscaux des Landes) ha affermato che “il mantenimento in uno Stato membro di un’imposta sui conferimenti” di tipo proporzionale è incompatibile con la Direttiva… la quale impone con assoluta chiarezza di esentare da qualunque imposta sui conferimenti le operazioni di aumento del capitale mediante conferimento della totalità dell’attivo da una società ad un’altra“.

In seguito, l’articolo 5 della direttiva 2008/7/CE, entrata in vigore il 12 marzo 2008 ha confermato il generale divieto a carico degli Stati Membri di assoggettare “ad alcuna forma di imposta indiretta” le operazioni di “costituzione di una società di capitali” e quelle di “aumento del capitale sociale di una società di capitali mediante conferimenti di beni di qualsiasi natura” e, quindi, pure di immobili.

Tuttavia l’articolo 6 della direttiva 2008/7/CE, in deroga al divieto così sancito, introducendo una disposizione sostanzialmente equivalente a quella del citato articolo 12 della direttiva 69/335/CEE, ha continuato a fare salva l’applicazione “delle imposte di trasferimento, ivi comprese le tasse di pubblicità fondiaria, sul conferimento ad una società di capitali… di beni immobili o di aziende commerciali situati sul loro territorio”, ma sempre a condizione che gli importi delle imposte così applicate non siano “superiori a quelli che sono applicabili alle operazioni similari nello Stato membro che li riscuote”.

Da quanto precede emerge, dunque, che la direttiva 2008/7/CE proibisce agli Stati Membri che, al pari dell’Italia, abbiano soppresso le imposte indirette proporzionali sui conferimenti di beni eseguiti in sede di costituzione di società di capitali o di aumento del loro capitale di assoggettare ad ogni forma di imposizione indiretta tali conferimenti e che la medesima direttiva, facendo eccezione a S.fatto limite, consente di assoggettare alle imposte indirette sui trasferimenti soltanto i conferimenti di aziende o di immobili, a condizione che i menzionati conferimenti siano assoggettati alle predette imposte in una misura non superiore a quella a cui siano assoggettate le “operazioni similari”, ovvero tutte le altre operazioni di trasferimento di aziende o di immobili da chiunque e a qualunque titolo eseguite.

Di conseguenza, gli Stati Membri possono continuare ad assoggettare alle imposte proporzionali sui trasferimenti i conferimenti di aziende o di immobili non in quanto tali, bensì soltanto in quanto siano assoggettati alle medesime imposte proporzionali che interessano, in via generalizzata, tutti i trasferimenti di aziende o di immobili.

La Corte di Giustizia (CGE, 11 dicembre 1997, causa C-42/96, Società Immobiliare S. S.p.A.) ha concluso, poi, che “spetta al giudice nazionale accertare che le imposte rispettivamente di registro, ipotecaria e catastale, di cui esige il pagamento all’atto del conferimento di immobili in una società di capitali, non siano superiori a quelle gravanti su qualunque altro atto di trasferimento di proprietà effettuato da soggetti privati o da società non commerciali“.

L’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia è stato recepito anche dalle Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno statuito, in relazione ad un conferimento d’azienda eseguito nel 1995 e, quindi, ancora soggetto ad imposta proporzionale di registro, che l’articolo 12 della direttiva 69/335/CEE “autorizza gli Stati Membri a percepire, in deroga agli artt. 10 e 11, imposte di trasferimento, ivi comprese le tasse di pubblicità fondiaria, sul conferimento ad una società, associazione o persona giuridica che persegua scopi di lucro, di beni immobili o di aziende commerciali situati sul loro territorio” a condizione che tali imposte non abbiano “ad oggetto il conferimento in sé, ma – al pari di qualsiasi altra ipotesi di trasferimento di proprietà, quale che sia la persona che l’effettua ed a qualsiasi titolo ciò avvenga (vendita, donazione, successione, conferimento in società, o decisione giudiziaria) – il trasferimento della proprietà di detti beni (immobili od universitas)” (Cass., SU, n. 9301 del 19 aprile 2010; nello stesso senso, anche Cass., Sez. 5, n. 8778 del 5 aprile 2017; Cass., n. 17165 del 29 luglio 2014).

La citata giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte ha chiarito, più in generale, che l’assoggettamento ad imposta proporzionale di registro (ma queste considerazioni si estendono pure alle imposte oggetto del presente giudizio) del “trasferimento di un immobile o di una azienda (come di un ramo di questa) connesso all’atto di un conferimento di immobili ad una società di capitali, siccome non ha ad oggetto il conferimento in sé ma – al pari di qualsiasi altra ipotesi di trasferimento di proprietà, quale che sia la persona che l’effettua ed a qualsiasi titolo ciò avvenga (vendita, donazione, successione, conferimento in società, o decisione giudiziaria) – il trasferimento di proprietà di detti beni (immobili od universitas) non è in contrasto con la Direttiva comunitaria… n. 69/335/CEE e con i limiti ed i divieti in essa posti, in quanto rientrano nell’ambito di previsione di cui all’art. 12 della medesima Direttiva“.

In altre parole, l’assoggettamento ad imposta proporzionale di registro (e quindi anche alle imposte proporzionali catastale ed ipotecaria) di un conferimento di aziende o di immobili è compatibile con la direttiva sulla raccolta dei capitali soltanto allorché tale imposta abbia come presupposto in via generale il trasferimento di aziende o di immobili e pertanto colpisca tutti i trasferimenti di aziende o di immobili indipendentemente dal titolo per cui siano eseguiti e quindi tanto se siano eseguiti a titolo di conferimento, quinto di vendita, donazione e successione.

In conclusione, deve affermarsi che l’articolo 12 della direttiva 69/335/CEE e l’articolo 6 della direttiva 2008/7/CE consentono agli Stati Membri che abbiano abolito l’imposta proporzionale sui conferimenti di beni di assoggettare alle imposte indirette sui trasferimenti il conferimento di aziende o di immobili soltanto in quanto sia soggetto a tali imposte non il conferimento in sé considerato, bensì tutti i trasferimenti di aziende o di immobili da chiunque ed a qualsiasi titolo eseguiti.

Questa lettura delle direttive in questione sarebbe confermata dal testo dell’articolo 6, comma 1, lett. b) della direttiva 2008/7/CE, per cui “Gli Stati membri possono applicare, in deroga alle disposizioni dell’articolo 5, le imposte e i diritti seguenti:

b) imposte di trasferimento, ivi comprese le tasse di pubblicità fondiaria, sul conferimento ad una società di capitali, di beni immobili o di aziende commerciali situati nel loro territorio”.

Sostengono le società ricorrenti che non troverebbe applicazione la lett. b) del comma 1 dell’articolo 6 appena menzionato, ma la lett. c) dello stesso articolo 6, comma 1, per il quale:

“Gli Stati membri possono applicare, in deroga alle disposizioni dell’articolo 5, le imposte e i diritti seguenti:

“imposte di trasferimento sui beni di qualsiasi natura che sono oggetto di un conferimento ad una società di capitali, nella misura in cui il trasferimento di tali beni è remunerato altrimenti che con quote sociali”.

Peraltro, la tesi delle società ricorrenti, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria e nazionale soprariportata, non è convincente perché priva di ogni significato la previsione della lett. b) suddetta che, ove detta tesi fosse accolta, sarebbe, nella sostanza, abrogata.

Al contrario, il senso da attribuire alla disposizione della lett. b) è quello di una regola concernente specificamente il conferimento ad una società di capitali di beni immobili o di aziende commerciali situati nel territorio degli Stati Membri mentre la lett. c) si riferisce, in generale, ai trasferimenti relativi agli altri beni “oggetto di un conferimento ad una società di capitali, nella misura in cui il trasferimento di tali beni è remunerato altrimenti che con quote sociali”.

Pertanto, deve affermarsi il seguente principio di diritto: “La direttiva 2008/7/CE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, si applica alle imposte di registro, ipotecaria e catastale, qualora tali imposte vengano riscosse all’atto del trasferimento di proprietà di un immobile e nell’ipotesi che detto trasferimento costituisca un conferimento ad una società di capitali. Le tre imposte costituiscono, in tal caso, imposte indirette vietate a norma dell’articolo 5 della direttiva menzionata.

Tuttavia, l’articolo 6 della direttiva citata va interpretato nel senso che uno Stato membro è autorizzato, in deroga al divieto di cui all’articolo 5, a riscuotere Sifatte imposte sui conferimenti di beni immobili o di aziende commerciali, situati nel suo territorio, effettuati in favore di una società di capitali, purché, però, esse non siano superiori a quelle applicabili alle operazioni similari nello Stato membro che le riscuote.

Spetta al giudice nazionale accertare che le imposte rispettivamente di registro, ipotecaria e catastale, di cui si esige il pagamento all’atto del conferimento di immobili in una società di capitali, non siano superiori a quelle gravanti su qualunque altro atto di trasferimento di proprietà effettuato da soggetti privati o da società non commerciali”.

Nella specie, i beni de quibus si trovano in Italia e le società ricorrenti non hanno dedotto che ì tributi richiesti “siano superiori a quelle gravanti su qualunque altro atto di trasferimento dì proprietà efféttuato da soggetti privati o da società non commerciali“.

Pertanto, il motivo va respinto.

4) Il ricorso va accolto limitatamente al primo motivo, respinti il secondo ed il terzo.

La decisione impugnata va cassata e la causa è decisa nel merito, ai sensi dell’articolo 384, comma 2, c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, con il rigetto delle originarie opposizioni delle società contribuenti.

Le spese di lite dì tutti i gradì sono compensate, sussistendo giusti motivi ex articolo 92 c.p.c., in ragione della particolarità della fattispecie.

P.Q.M.

– accoglie il primo motivo di ricorso, respinti il secondo ed il terzo, cassa e, decidendo nel merito, rigetta le originarie opposizioni delle società contribuenti;

– compensa le spese di tutti i gradi di giudizio.