CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 luglio 2021, n. 20422

Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Costi per noleggi di attrezzature e manodopera ritenuti inesistenti – Elementi indiziari – Fornitore privo di qualsiasi idonea documentazione contabile ed extracontabile – Onere di prova contraria a carico del contribuente

Fatti di causa

Con sentenza n. 54/25/2013 la Commissione Tributaria Provinciale di Milano accolse il ricorso proposto dalla A.C. Srl in liquidazione contro l’avviso di accertamento relativo ad IRES, IRAP ed IVA per l’anno di imposta 2007 con cui l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato la dichiarazione fiscale presentata da detta società recuperando i costi per l’importo di euro 470.000,00, indicati in dichiarazione come spesa per noleggi di attrezzature e manodopera della società N.E.

La rettifica era stata operata dall’Ufficio sulla base di un controllo eseguito dalla Guardia di Finanza di Bergamo presso la Srl N.E. attraverso cui era emerso che tale società aveva omesso qualsiasi dichiarazione fiscale per gli anni 2006 e 2007, non aveva esibito alcuna fattura in sede di verifica ed era priva di qualsiasi documentazione contabile ed extracontabile idonea a dimostrare l’ammontare dei ricavi relativi alle prestazioni per cui erano state emesse le fatture che erano state utilizzate dalla A.C. per supportare il costo di noleggi e manodopera e di un successivo contraddittorio con il legale rappresentante di quest’ultima società ormai in liquidazione, il quale, invitato a fornire chiarimenti in merito ai rapporti con la N.E. Srl, aveva dichiarato di essere in possesso solo delle fatture in quanto gli acquisti erano avvenuti sulla base di accordi esclusivamente verbali cui era seguita la emissione delle fatture.

Il contribuente aveva dedotto con il ricorso iniziale che le fatture dimostravano i costi e tale assunto venne accolto dalla CTP sul presupposto che la Amministrazione finanziaria non aveva fornito alcuna prova della inesistenza delle operazioni poste in essere.

Investita dall’appello della Agenzia delle Entrate che aveva lamentato la erroneità della sentenza di primo grado poiché era stata documentata e provata dalla Agenzia la inesistenza di qualsiasi documentazione (quali contratti, mail, corrispondenza e quant’altro) comprovante l’effettività dei costi sostenuti, la Commissione Tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 3745/34/2014, depositata in data 8 luglio 2014, confermò la sentenza di primo grado, rilevando che la fattura era documento idoneo a documentare il costo dell’impresa, per cui, in presenza di operazioni inesistenti, non spettava al contribuente provare che l’operazione era effettiva bensì alla Amministrazione, che deduceva la falsità del documento, che la operazione commerciale oggetto della fattura non era mai stata posta in essere.

Contro la sentenza della CTR, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, affidato ad un solo motivo, con atto notificato in data 23-27 febbraio 2015 al difensore domiciliatario della contribuente nel domicilio eletto.

L’intimata non si è costituita.

Ragioni della decisione

Con un unico motivo la Agenzia delle Entrate lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del TUIR in relazione all’art. 2697 c.c., per avere la sentenza impugnata applicato erronei principi giuridici in tema di distribuzione dell’onere della prova sul disconoscimento dei costi riportati a detrazione del reddito imponibile, poiché la Corte di Cassazione aveva ritenuto, con giurisprudenza ampiamente consolidata, al contrario di quanto asserito dal giudice d’appello, che l’Agenzia, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per non essere state mai svolte le attività riportate nelle fatture, era tenuta solo a fornire elementi indiziari in ordine al fatto che la documentazione fornita non era attendibile (come era avvenuto nel caso in esame in cui l’Ufficio aveva dimostrato la situazione di totale irregolarità contabile e fiscale della presunta ditta fornitrice e la totale mancanza di qualsiasi elemento idoneo a fare ritenere l’esistenza di un accordo contrattuale fra le due società, come d’altronde era emerso anche attraverso le dichiarazioni rese in sede di contraddittorio dal legale rappresentante della società contribuente), dopo di che spettava al contribuente dimostrare con validi mezzi probatori – che non potevano consistere nella mera produzione delle fatture o dei mezzi di pagamento, i quali vengono utilizzati proprio allo scopo di fare apparire una operazione fittizia- l’esistenza, la inerenza e la competenza del relativo costo al fine di poterlo dedurre.

Il ricorso è fondato.

Appare in primo luogo corretta la deduzione del vizio per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., poiché, in tema di ricorso per cassazione, tale vizio consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017 Rv. 646811 -01; Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010 Rv. 614588 -01), come avvenuto nella specie, considerato che il motivo di ricorso pone proprio una questione di erronea ricognizione della fattispecie normativa astratta, relativa alle operazioni ritenute inesistenti dall’Ufficio ai fini fiscali e della interpretazione della regola che ne disciplina la prova, ancor prima ed indipendentemente dalla ricostruzione della fattispecie concreta che spetta esclusivamente al giudice di merito e su cui comunque la Agenzia ricorrente si è soffermata solo ai fini della ricognizione dei fatti della causa strumentali rispetto alle doglianze relative alla erroneità dei principi giuridici applicati dalla sentenza impugnata, in assenza, quindi, della mediazione derivante dalla valutazione delle risultanze di causa.

A tale stregua, il vizio di violazione di legge è stato quindi correttamente posto dalla Agenzia ricorrente con riguardo, in particolare, alla violazione dell’art. 2697 c.c. che si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia erroneamente disconosciuto la prova presuntiva ed attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (v., da ultimo, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01), poiché, in materia di deducibilità dei costi d’impresa, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (v. per tutte, da ultimo Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 33915 del 19/12/2019 Rv. 656602 – 01 e precedenti conformi: N. 30366 del 2019 Rv. 655932 – 01, N. 11873 del 2018 Rv. 648528- 01).

Ed anche in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, pur se la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto spettare all’Ufficio l’onere di fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, peraltro è stato altresì ritenuto che è sufficiente a tal fine la indicazione degli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, mentre è, per converso, sempre onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili (v., sul punto, da ultimo, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11873 del 15/05/2018 Rv. 648528 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015 Rv. 634233 – 01).

La Corte di Giustizia, sempre in tema di IVA, ha ugualmente rilevato che il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo – come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C-285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) – e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, ma solo nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, fermo restando che, nelle operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare, detto onere può esaurirsi, attesa l’immediatezza dei rapporti, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24426 del 30/10/2013 Rv. 629419 – 01), mentre nelle operazioni oggettivamente inesistenti (che vengono in considerazione nel caso in esame), una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018 Rv. 649610 – 01).

Orbene, alla luce di tali principi il giudice di merito ha nella sostanza operato una erronea inversione dell’onere della prova – laddove ha ritenuto che spettasse all’Ufficio provare la falsità della fatture e che le operazioni commerciali oggetto delle fatture non erano mai state poste in essere, in quanto la fattura sarebbe stata, già da sola, documento idoneo a provare il costo -, considerato che la stessa sentenza impugnata, a pagina 1, dà atto del contenuto della verifica della Guardia di Finanza, dell’esito del contraddittorio con il legale rappresentante della società contribuente e del contenuto dell’accertamento attraverso cui era emerso che la pretesa società fornitrice era non solo un evasore totale ma anche un soggetto privo di qualsiasi documentazione contabile ed extracontabile e che pure la APL Costruzioni non era in possesso di alcuna documentazione contabile (contratti, corrispondenza ecc.) che potesse dimostrare come sarebbe sorto e si sarebbe sviluppato un rapporto di noleggio di attrezzature e manodopera per il rilevante importo di 470.000,00 che non avrebbe lasciato alcuna traccia neppure extracontabile al di fuori di undici fatture, le quali non erano state neppure rinvenute presso il preteso fornitore che era non solo un evasore totale ma anche un soggetto privo di qualsiasi documentazione contabile cosicché avrebbe emesso le fatture al di fuori della esistenza di un impianto contabile.

In tale situazione, avendo la stessa sentenza impugnata ricostruito la fattispecie come, quella di fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti, tali risultanti attraverso la verifica fiscale presso il fornitore che risultava un soggetto fiscalmente “fantasma” e l’esito del contraddittorio con la società contribuente, sarebbe infatti spettato alla società contribuente dimostrare la effettività della prestazione attraverso prove che non potevano consistere nelle fatture.

Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio della causa per nuovo esame a diversa sezione della CTR della Lombardia che dovrà decidere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.