CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 marzo 2018, n. 6658
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Società in liquidazione volontaria – Sentenza dichiarativa di fallimento – Istanza di reclamo – Rigetto – Patrimonio sociale insufficiente a far fronte all’intera esposizione debitoria
Fatti di causa
La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 16 luglio 2015, respinse il reclamo proposto dalla U. s.r.l., in liquidazione, avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento, pronunciata dal Tribunale di Ivrea il precedente 9 aprile 2015.
Ritenne il giudice del reclamo che dall’ultimo bilancio depositato dalla società nel 2011, prima di essere posta volontariamente in liquidazione, emergeva il superamento delle soglie rilevanti ex art. 1, secondo comma, l.fall., quanto all’attivo patrimoniale.
Soggiunse la corte di merito che, trattandosi di società in liquidazione, lo stato di insolvenza emergeva dall’impossibilità di fare fronte all’intera esposizione debitoria attraverso il proprio patrimonio sociale, costituito da un immobile già promesso in vendita a terzi e pure gravato da un sequestro preventivo disposto dal giudice penale.
Avverso la detta sentenza della corte d’appello, U. s.r.l., in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; non hanno spiegato difese il fallimento della U. s.r.l., in liquidazione, nonché tutti i creditori istanti per la dichiarazione di fallimento.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo deduce la ricorrente violazione dell’art. 5 l. fall. e dell’art. 2486 c.c., poiché la corte d’appello ha affermato che essa fallita versava in stato di insolvenza, nonostante dalla vendita del suo complessivo patrimonio immobiliare fosse possibile ricavare la liquidità sufficiente a soddisfare tutti i creditori concorsuali.
Con il secondo motivo assume violazione degli artt. 1, comma secondo, lett. a), e 15 l.fall., avendo il giudice di merito fatto riferimento, per valutare il superamento della soglia dimensionale dell’attivo patrimoniale, all’ultimo bilancio depositato nel 2011, prima che la società fosse posta in liquidazione e, comunque, in epoca anteriore al triennio precedente al deposito dell’istanza di fallimento.
Con il terzo motivo assume violazione degli artt. 1, comma secondo, lett. c), e 15 l.fall., stante l’errore del giudice d’appello che ha valutato tra i crediti scaduti anche quelli non esigibili garantiti dalle ipoteche iscritte sul patrimonio immobiliare della società.
Con il quarto motivo rileva la violazione degli artt. 1, comma secondo, e 15 l.fall., nonché degli artt. 2214 e 2216 c.c., per avere la corte d’appello erroneamente fatto discendere dall’assenza dei bilanci relativi all’ultimo triennio, la carenza di prova di una esposizione debitoria complessiva inferiore ad euro cinquecentomila.
2. Il primo motivo è inammissibile.
Secondo un orientamento consolidato di questa Corte, ove una società sia stata posta in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 l.fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (Cass. 03/08/2017, n. 19414; Cass. 07/12/2016, n. 25167).
La corte d’appello nella sentenza impugnata ha fatto esatta applicazione del principio suddetto, dovendosi ritenere inammissibili tutte le censure formulate dalla ricorrente con il motivo in esame in ordine all’accertamento in fatto – che compete al giudice di merito – circa l’esistenza di un evidente sbilancio tra le poste attive e quelle passive della società.
3. Il secondo, il terzo e il quarto motivo, da esaminare congiuntamente stante la stretta connessione, sono tutti parimenti infondati.
Al riguardo è sufficiente ricordare che in tema di istruttoria prefallimentare, l’omesso deposito da parte dell’imprenditore raggiunto da istanza di fallimento della situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata (al pari dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi), in violazione dell’art. 15, comma quarto, l.fall., come sostituito dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, si risolve in danno dell’imprenditore medesimo, che è onerato della prova del non superamento dei limiti dimensionali quale causa di esenzione dal fallimento, ai sensi dell’art. 1, secondo comma, l.fall., sostituito dal citato d.lgs. n. 169 del 2007 (Cass. 24/10/2017, n. 25188; Cass. 31/05/2012, n. 8769).
Dunque, la ricorrente non può certo dolersi della circostanza che il giudice non abbia ritenuto dimostrato il mancato superamento delle soglie previste dall’art. 1, comma secondo, l.fall., quanto all’attivo patrimoniale, ai ricavi lordi e all’esposizione debitoria complessiva, considerato che la fallita nel corso dell’istruttoria prefallimentare non aveva depositato alcuno tra i bilanci successivi all’esercizio del 2011 e neppure una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata.
Va decisamente escluso, poi, che le società poste in liquidazione volontaria possano sottrarsi alla dichiarazione di fallimento, semplicemente allegando la cessazione di ogni attività aziendale protratta per oltre un triennio anteriore alla presentazione dell’istanza di fallimento, essendo comunque onere dell’imprenditore fornire la prova che nel triennio rilevante – quali che siano le risultanze dell’ultimo bilancio disponibile – nessuna delle ridette soglie dimensionali sia stata effettivamente superata.
Infine, resta insindacabile in sede di legittimità l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito che, utilizzando l’ultimo bilancio disponibile in atti pure anteriore al triennio rilevante – e dal quale emergeva l’esistenza di un attivo patrimoniale superiore alla soglia di euro trecentomila -, ha ritenuto, tenendo pure conto dell’affermazione del debitore circa la persistenza di un qualche patrimonio immobiliare (in thesi addirittura sufficiente a ripianare la sua esposizione debitoria complessiva), che anche nel corso del triennio precedente al deposito dell’istanza di fallimento, l’attivo complessivo non si fosse ridotto sotto la soglia ex art. 1, comma secondo, lett. a), l.fall.
4. Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva da parte degli intimati. Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.p.r. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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