CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 marzo 2020, n. 7299
Tributi – Accertamento induttivo – Plusvalenza derivante dalla cessione d’azienda assoggetta ad imposta sostitutiva – Rettifica – Illegittimità
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrare («A.E.») ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di parziale rigetto degli appelli (riuniti in simultaneus processus) dalla stessa proposti avverso le (quattro) sentenze, emesse dalla CTP di Milano, di accoglimento dell’impugnazione di avviso di accertamento IRAP ed IVA per l’esercizio 2003, proposta da I. s.a.s. D.I.G. E C. in liquidazione, nonché delle impugnazioni dei conseguenti (tre) avvisi di accertamento IRPEF, per maggior reddito d’impresa, esperite dai soci G. I., A. I. e V..
2. La CTR, in merito all’accertamento induttivo a carico della società, ritenne infondate le doglianze mosse dell’A.E. avverso la statuizione di primo grado circa la ripresa a tassazione della plusvalenza derivante dalla cessione d’azienda, in quanto dalla dichiarazione relativa all’esercizio 2003 (presentata il 2004) risultò compilato il riquadro RQ (circa l’opzione per l’imposta sostitutiva) con indicazione della somma di euro 9.869,00 e con conseguente versamento di complessivi euro 1.875,00 con due mod. F24 (documentazione già nella disponibilità dell’Amministrazione).
In merito la Commissione regionale, in considerazione di specifiche eccezioni mosse dall’Amministrazione, chiarì quanto segue, «non appare di pregio, poi, l’eccezione riguardante il modesto ammontare della plusvalenza dichiarata in quanto, con l’atto impugnato, non è stata rettificata la materia imponibile ad imposta sostitutiva, ma è stato accertato un reddito da assoggettare a tassazione in modo ordinario. Anche l’ulteriore eccezione, riguardante la mancanza della prova che la plusvalenza dichiarata fosse proprio quella indicata nell’avviso di accertamento, non appare sufficiente per giustificare l’atto impugnato, perché l’ufficio non l’ha supportata con elementi che almeno evidenzino l’esistenza di una seconda cessione d’azienda, essendo egli in possesso, con l’assoggettamento all’imposta di registro, di tutti gli atti di questo tipo; al contrario, l’amministrazione, basando la sua difesa sull’omesso esercizio dell’opzione, nella dichiarazione dei redditi presentata il 22.3.2005, ha mostrato di riconoscere che vi era stata un’unica cessione».
2.1. La CTR, infine, considerò infondate le doglianze dall’Amministrazione mosse alla statuizione di primo grado, circa la rettifica del volume d’affari di cui all’accertamento induttivo, ritenendo che, nella specie, fosse errato l’importo (maggiore) riportato nella comunicazione IVA e non quello (minore) di cui al presentato mod. UNICO. In merito la CTR ritenne, «peraltro, …l’indizio offerto dall’ufficio … superato dall’argomentazione, altrettanto indiziaria ma del tutto ragionevole, addotta» dalla contribuente la quale, non potendo versare in atti le scritture contabili non precedentemente esibite all’Amministrazione richiedente, evidenziò «l’illogicità della rettifica in quanto la capacità produttiva della società, emergente dal volume d’affari, non smentito dall’Amministrazione, realizzato durante l’anno precedente la sua messa in liquidazione, era all’incirca pari alla somma riportata nel modello unico e non a quella, errata, della comunicazione dati IVA». Il Giudice d’appello ritenne infine confermata la «ragionevolezza dell’osservazione dei contribuenti … anche dall’avvenuta cessione dell’azienda in data 03.03.2003 e dalla conseguente improbabilità che, in soli due mesi, il volume d’affari si» fosse «addirittura moltiplicato rispetto all’intero anno precedente».
3. Contro la sentenza d’appello l’A.E. ricorre con due motivi, la società ed i soli soci I. si difendono con controricorso (prospettando anche profili di inammissibilità dei relativi motivi) mentre il socio V. ed EQUITALIA ESATRI, correttamente intimati, non si difendono.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. I due motivi del ricorso sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti.
2.1. Con entrambi i motivi, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (nella sua formulazione, applicabile ratione temporis, antecedente sostituzione operata dal d.l. n. 83 del 2012), si deducono vizi di insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio.
In particolare, tralasciando inammissibili tentativi di sostituzione di proprie valutazioni di merito a quelle del Giudice, l’A.E. si duole dei detti vizi motivazionali in ordine: alla connessione della plusvalenza di cui al riquadro RQ della dichiarazione per il 2003 con la cessione d’azienda, ritenuta invece sussistente dalla CTR (peraltro, nonostante la mancata risposta al questionario da parte della società contribuente); all’accertamento dell’erronea indicazione del volume d’affari in sede di comunicazione IVA in luogo della corretta dichiarazione del detto volume (per un importo minore) in sede di presentazione del mod. UNICO.
2.2. I motivi sono infondati, nei detti limiti in cui sono ritenuti ammissibili.
Come già evidenziato in sede di ricostruzione dei fatti di causa (punti 2 e 2.1), la CTR non è incorsa nei prospettati vizi motivazionali fondando la propria statuizione su un esplicitato iter logico-giuridico, congruo e sufficiente (oltre che non sindacato in termini di violazione o falsa applicazione di legge).
In merito all’accertamento induttivo a carico della società, la CTR ha difatti considerato infondata la ripresa a tassazione della plusvalenza derivante dalla cessione d’azienda, in considerazione della compilazione del riquadro RQ (circa l’opzione per l’imposta sostitutiva), indicante l’importo di euro 9.869,00, e del conseguente versamento di complessivi euro 1.875,00 con due mod. F24. Documentazione, quella di cui innanzi, già nella disponibilità dell’Amministrazione e, quindi, ritenuta utilizzabile in giudizio nonostante la mancata risposta al relativo questionario.
La ricorrente, sul punto da ultimo evidenziato, confonde poi i presupposti per l’accertamento induttivo (artt. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973), nella specie la mancata risposta al questionario, con l’accertamento giudiziale non solo dell’ammontare della plusvalenza (accertata dalla CTR come essere l’unica relativa al periodo di riferimento) ma anche del pagamento della relativa imposta sostitutiva.
Quanto alla rettifica del volume d’affari di cui all’accertamento induttivo, infine, la CTR ha congruamente e logicamente motivato in ordine al ritenuto errore presente nella comunicazione IVA in luogo della corretta indicazione in dichiarazione. Quanto innanzi è stato altresì non contraddittoriamente argomentato, in considerazione peraltro delle specifiche eccezioni mosse dall’Amministrazione, anche in forza dell’avvenuta cessione dell’azienda in data 03.03.2003 e dalla conseguente improbabilità che, in soli due mesi, il volume d’affari si fosse «addirittura moltiplicato rispetto all’intero anno precedente» (valutazioni di merito non sindacabili in sede di legittimità).
3. In conclusione, il ricorso non merita accoglimento e l’A.E. deve essere condannata al pagamento, in favore delle sole tre parti costituite, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità che si liquidano, anche in considerazione del congiunto controricorso, nell’importo totale di euro 8.000,00, oltre al 15% per spese forfettarie, IVA e C.P.A., come per legge.
L’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228), un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione, trattandosi di Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esente dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (ex plurimis: Cass. sez. Cass. sez. 6-4, 29/01/2016, n. 1778, Rv. 638714-01; Cass. sez. 6-4, 05/11/2014, n. 23514, Rv. 633209-01; Cass. sez. 3, 14/03/2014, n. 5955, Rv. 630550-01).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle sole tre parti costituite, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità che si liquidano nell’importo totale di euro 8.000,00, oltre al 15% per spese forfettarie, IVA e C.P.A., come per legge.
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