CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 marzo 2021, n. 7382

Tributi – Accertamento analitico induttivo – Art. 39 del DPR n. 600 del 1973 – Applicabilità – Elementi indiziari – Prolungata e persistente antieconomicità della gestione

Ritenuto che

L’amministrazione finanziaria notificava alla società ” B.E. s.r.I. in liquidazione l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2011 con il quale l’Ufficio, in considerazione delle irregolarità riscontrate dall’esame delle scritture contabili, ai sensi dell’art. 39 del DPR nr 600/1973, rilevata la palese antieconomicità ( perdite consistenti, consecutive e reiterate nel tempo dal 2008 al 2011 in contrasto con il volume degli affari dichiarato) nonché l’inattendibilità delle scritture contabili, alla ricostruzione induttiva del reddito d’impresa in capo alla società, aveva rettificato un maggior reddito nella misura di € 239.289,00 con conseguente applicazione delle relative imposte Iva, Ires e Irap maggiorate di interessi e sanzioni.

Avverso il provvedimento dell’Ufficio la contribuente proponeva ricorso avanti alla CTP di Benevento la quale lo rigettava riconoscendo la fondatezza della pretesa impositiva.

Detta decisione veniva impugnata dalla società B.E. s.r.I. in liquidazione avanti alla CTR della Campania la quale con sentenza nr 2151/2019 accoglieva il gravame ritenendo fondate le eccezioni sollevate dall’appellante in merito alla sproporzione esistente fra il reddito rideterminato (€ 239.289) con il giro di affari (€ 292.444 o € 331.149).

Osservava in relazione all’antieconomicità che si doveva considerare la riduzione del giro di affari passato nel 2010 da € 1.300.000,00 ad € 330.000,00 nell’anno 2011.

Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione cui resiste la società contribuente con controricorso.

Considerato che

Con l’unico articolato motivo si deduce la non corretta da parte della CTR dell’applicazione ed interpretazione del dettato di cui all’art 39 del Dpr nr 600/1973

Si sostiene infatti che il metodo analitico induttivo può essere usato anche in presenza di una contabilità formalmente regolare ove si dimostri l’inesattezza di una più poste avvalendosi degli stessi dati forniti dal contribuente o anche di presunzioni dotate dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c.

Si evidenzia che nel caso in esame erano emersi in sede di verifica contabile vari elementi di “sospetto” con riferimento all’attendibilità delle scritture contabili tenute dalla società messe in luce nella motivazione dell’avviso di accertamento (perdite consistenti, consecutive e reiterate nel tempo in contrasto con il volume d’affari dichiarati).

Si rileva altresì che la pronuncia impugnata si porrebbe in contrasto con i principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza della Suprema Corte sia in ordine alla  legittimità del metodo accertativo impiegato dall’Ufficio sia in ordine all’applicazione della regola sull’onere probatorio sottolineando che nessuna plausibile giustificazione sarebbe stata data dalla CTR in merito alla prolungata e persistente “antiecononnicità della gestione” indizio sufficientemente grave dei ricavi in nero.

Il motivo con cui l’Agenzia delle Entrate censura l’errore di diritto ed il correlato vizio motivazionale della sentenza impugnata in relazione al medesimo rilievo (accertamento analitico-induttivo di maggiori redditi non dichiarati) è fondato.

Preliminarmente va respinta per difetto di specificità l’eccezione sollevata dalla controricorrente in merito alla prospettata illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto privo di firma autografa.

La CTR ha infatti respinto tale eccezione ritenendola inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c. e dell’art. 57 del Dlgs 546/1992. La ragione posta a base della rilevata inammissibilità non è stata in alcun modo scalfita dalle argomentazioni dedotte al riguardo dalla controricorrente che sviluppa considerazioni riguardanti il preteso vizio di nullità dell’avviso perché privo della firma autografa.

Con riguardo poi agli ulteriori vizi dell’avviso di accertamento dedotti in controricorso con riferimento alla pretesa violazione dell’art. 23, comma 1 del dlgs 2005 nr. 82 se ne deve rilevare l’inammissibilità per difetto di autosufficienza per la mancata trascrizione in ricorso del locus processuale nel quale detta eccezione è stata sollevata di guisa che la Corte non è posta in condizione di verificarne la tempestività.

Ciò premesso in punto di diritto va ribadito che in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’Ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse (cfr. Cass. nn. 27804/2018, Cass. 30/10/2018, n. 27552; Cass., sez. 5, n. 33508 del 2018; conf.: n. 8923/2018, 22347/2018; 6918/2013)

Egualmente, in materia di IVA, è stato soggiunto che “l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può  desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni” (cfr., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638202-01; eadem, Sez. 5. Ordinanza n. 25217 del 11/101/2018; n. 32624 del 2019.

Nel caso concreto l’accertamento induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti, era giustificato anche dal comportamento antieconomico della contribuente, che sembrava lavorasse in perdita, pur percependo ricavi di una certa entità .

Una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di un comportamento del contribuente, poichè assolutamente contrario ai canoni dell’economia, incombeva, come si è detto, sul medesimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo – in difetto – pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’amministrazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, (cfr. altresì Cass. nn. 7680/2002, 11599/2007);

Nel caso in esame, rispetto alle norme sulla ripartizione dell’onere probatorio, rileva la Corte che la C.T.R. non ha correttamente considerato il quadro presuntivo legittimante il ricorso al metodo induttivo.

Al riguardo, la motivazione della sentenza si rivela affetta da vizi giuridici, in quanto, a fronte degli elementi posti a base dell’accertamento e richiamati dall’Amministrazione finanziaria in sede di gravame, i Giudici di appello non si sono attenuti alle regole di diritto su enunciate e non hanno neppure considerato che, in effetti, il recupero fiscale era sorretto da elementi presuntivi che, nel loro insieme, comprovavano l’apparente antieconomicità della gestione aziendale e hanno fatto leva su argomenti non idonei a fondare il suo convincimento quale la pretesa sproporzione esistente fra il reddito rideterminato con il giro di affari dichiarato dalla contribuente senza considerare quanto rilevato dall’Ufficio in merito al fatto che in tutte le dichiarazioni presentate non erano stati compilati i quadri inerenti alla determinazione del reddito di impresa, del volume di affari ,degli acquisti e della liquidazione dell’Iva e del valore della produzione così come sottolineato dalla CTP, il cui passaggio motivazionale è stato debitamente trascritto dalla ricorrente in ossequio al principio dell’autosufficienza.

L’accertamento si era basato sul rilievo dell’inattendibilità delle scritture contabili e dell’antieconomicità della gestione imprenditoriale protrattasi per diversi anni.

Si legge infatti nell’avviso di accertamento ,riprodotto per gli aspetti più significativi, che nell’anno 2008 i ricavi dichiarati dalla società erano stati pari ad € 304.697,00 e le perdite annotate erano pari ad € 3183 nell’anno 2009 i redditi erano pari ad € 1.113.405,00 e le perdite registrate ammontavano ad e 1542,00 nell’anno 2010 i ricavi annotati erano pari ad € 1.377.709 ed il reddito registrato era pari ad € 3695,00 infine nell’anno 2011 a fronte dei ricavi dichiarati per € 331.149,00 la perdita annotata è stata di € 139,00.

Il mancato apprezzamento di tali indici fattuali, da parte della C.T.R., integra la lamentata violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), oggetto del ricorso.

Ne consegue che, accolto il ricorso, la sentenza è cassata, con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, che riesaminerà la controversia attenendosi agli enunciati principi di diritto e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, per un nuovo esame.