CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 novembre 2018, n. 29595
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Notificazione
Rilevato che
1.1 L’agenzia delle entrate propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 57/24/2013 del 14 maggio 2013, con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittima la cartella di pagamento notificata a L.C. per Irpef 2004 e 2005.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:
– tale cartella faceva seguito all’annullamento parziale in autotutela, in esito a procedura di accertamento con adesione, degli avvisi di accertamento sintetico inizialmente notificati;
– a fronte della rinnovazione del titolo così disposta, a nulla rilevava che il ricorso fosse stato proposto dalla L.C. direttamente avverso la cartella, e non contro gli originari avvisi di accertamento;
– ferma l’ammissibilità del ricorso, effettivamente illegittima doveva ritenersi la procedura seguita dall’agenzia delle entrate, la quale non aveva notificato, a seguito della rideterminazione del debito in autotutela, il prodromico avviso bonario di pagamento ex art. 2, co.2, d.lgs. 462/97.
Resiste con controricorso la L.C..
2.1 Con l’unico motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360, 1 co., n.3) cpc – violazione e falsa applicazione degli artt. 16, co.3, 19 e 21 d.lgs. 546/92, 2, co.2, d.lgs. 462/97, 4 dPR 37/97, 6, co.2, d.lgs 218/97, 137 segg. Cpc, 60 dpr 600/73 e 2, co.2, l. 212/00. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto ammissibile il ricorso contro la cartella non per vizi propri di questa, ma per questioni concernenti la pretesa impositiva, nonostante che:
– quest’ultima fosse divenuta ormai definitiva per mancata impugnazione degli avvisi di accertamento (il cui termine era stato soltanto sospeso per effetto della procedura di adesione);
– lo sgravio parziale in autotutela non comportasse rinnovazione dell’atto impositivo e non richiedesse, conseguentemente, la notificazione di alcun avviso bonario, ma soltanto la comunicazione dello sgravio ex art. 4, co.2, dPR 37/97; – tale comunicazione fosse stata ritualmente effettuata tramite lettera AR in data 24/2/11 (quando il termine di impugnazione degli avvisi era già perento), con esito di compiuta giacenza.
2.2 Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Va intanto premesso che l’atto impositivo era qui divenuto definitivo per mancata impugnazione da parte della contribuente. La procedura di adesione (rimasta senza esito) alla quale quest’ultima aveva inizialmente fatto accesso si limitava, infatti, a soltanto sospendere il relativo termine (art.6, co.3, d.lgs 218/97), senza sollevare la parte – una volta cessato il regime di sospensione – dall’onere di tempestiva impugnazione ex artt. 19 e 21 d.lgs. 546/92.
Ciò premesso, si osserva che la commissione tributaria regionale ha affermato una rigida regola di ordine generale, secondo cui l’autoannullamento parziale dell’atto impositivo sarebbe “sempre portatore di un contenuto impositivo “nuovo” rispetto alla pretesa originaria; con conseguente preclusione di immediata iscrizione a ruolo del minor importo, e deduzione diretta in cartella (essendo invece necessaria l’instaurazione di tutti gli ordinari e tipici incombenti dell’esercizio di potestà impositiva).
Orbene, non si ritiene che questa regola possa – quantomeno nella sua assolutezza – essere condivisa.
Va infatti considerato che l’autoannullamento parziale può presentare differenti cause giustificative, a seconda che esso integri la pura riduzione quantitativa dell’originario credito erariale (non importa se disposta d’ufficio ovvero su sollecitazione del contribuente la cui tesi difensiva sia in parte accolta), ovvero una riduzione non disgiunta dalla ripresa a tassazione di altri profili impositivi (ancorchè di entità complessivamente inferiore a quella originariamente pretesa).
Nel primo caso, l’autoannullamento non comporta “nuova” imposizione, bensì un semplice ridimensionamento unilaterale del credito tributario, così da ingenerare una situazione non dissimile da quella che si definisce – in ambito processuale – di mera riduzione del petitum (sempre ammissibile senza violazione del contraddittorio né dei divieti di mutatio e novità). In tal caso, l’affermata necessità di nuovo avviso con conseguente possibilità di impugnazione da parte del contribuente sortirebbe effetto eccedente il fine, dal momento che questi sarebbe ammesso a ridiscutere in contenzioso gli elementi costitutivi, rimasti fermi, dell’originaria imposizione nonostante l’avvenuta definitività di quest’ultima. Ciò spiega perché questo “tipo” di annullamento parziale non richiede la notificazione di successivo avviso di accertamento ovvero di avviso bonario, ma solo la “comunicazione” al contribuente di quanto disposto in autotutela (art. 4, co.2, dpr 37/1997).
Nel secondo caso, al contrario, l’autoannullamento comporta “nuova” imposizione (non importa se quantitativamente più contenuta rispetto a quella iniziale) mediante deduzione di presupposti e materie imponibili dapprima non rappresentati (per es., con ripresa a tassazione di altre voci e causali imponibili, non contemplate nel primo accertamento). In tale evenienza, non vi è dubbio che il contribuente debba essere posto in grado di contestare la nuova posizione assunta dall’ente impositore, mediante impugnazione dell’avviso di accertamento a tal fine notificatogli.
Posto, in definitiva, che l’azione dell’amministrazione finanziaria può manifestarsi in maniera diversa, e che non può escludersi a priori nè la configurabilità di uno sgravio effettivo e scevro da profili di nuovo recupero, né la sussistenza di una riduzione che mantenga purtuttavia effetto sostanzialmente “accertativo” e, dunque, “peggiorativo” della posizione del contribuente, occorre adottare una soluzione articolata, e non monolitica, del problema.
Ed in effetti, in tal senso si è già espressa questa corte di legittimità, con indirizzo – al quale si ritiene di dare qui continuità – secondo cui: “in tema di contenzioso tributario, l’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione in via di autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un’autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa”(Cass. 7511/16; così 25673/16).
Si tratta di orientamento che ha inteso dichiaratamente superare l’opposto convincimento invece espresso da Cass.14243/15, secondo cui: “in tema di contenzioso tributario, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, è impugnabile l’annullamento parziale, adottato nell’esercizio del potere di autotutela, di un avviso impositivo già definitivo, trattandosi di un atto contenente la manifestazione di una compiuta e definitiva pretesa tributaria, rispetto a cui, pur se riduttivo dell’originaria pretesa, non può privarsi il contribuente della possibilità di difesa”.
E le ragioni di tale superamento debbono essere qui condivise sul presupposto che l’esercizio in autotutela di una potestà meramente ed effettivamente riduttiva “non può comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento”(Cass. 7511/16 cit.).
3. La sentenza va dunque cassata con rinvio, al fine di porre il giudice di merito in condizione di appurare quale modalità di riduzione in autotutela sia in concreto ravvisabile; così da stabilire, all’esito di tale riscontro fattuale, se la cartella in oggetto consentisse la contestazione della “nuova” pretesa impositiva, ovvero fosse impugnabile – ormai intangibile il credito erariale – solo per vizi suoi propri.
P.Q.M.
accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
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