CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 novembre 2018, n. 29643
Agenzia di lavoro interinale – Illegittimità del contratto di somministrazione – Rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Cessione di azienda
Rilevato
che il Tribunale di Agrigento, con la pronuncia n. 291/2014, ha dichiarato intercorrente tra C. C. e la S. A. S. sepa un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con decorrenza dalla data della decisione, e ha condannato la società a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, a titolo di indennità ex art. 32 comma 5° legge n. 183 del 2010, una somma commisurata a 2 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto: ciò sul presupposto della illegittimità del contratto di somministrazione di lavoro stipulato con l’agenzia di lavoro interinale e in forza della cessione di azienda intervenuta tra la originaria utilizzatrice M. spa e la S. A. S. sepa;
che la Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 667/2016, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, che confermava nel resto, ha statuito la nuova decorrenza del rapporto a tempo indeterminato in quella dell’8.6.2009, quale data di inizio del rapporto interinale;
che avverso la decisione di II grado la S. A. S. sepa ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;
che ha resistito con controricorso C. C.;
che la M. spa non ha svolto attività difensiva;
che sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c.;
che il PG non formulato richieste scritte.
Considerato
che, preliminarmente, va dato atto che nel presente giudizio alcuna rilevanza può attribuirsi alla indicazione, fornita dalla difesa del lavoratore con la memoria illustrativa, circa l’intervenuto fallimento della M. spa, già in liquidazione, atteso che tale evento non incide in sede di legittimità (cfr. ex plurimis Cass. 23.3.2017 n. 7477; Cass. 13.10.2010 n. 21153);
che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura: 1) la violazione dell’art. 18 comma 2 bis del DL n. 112 del 2008, conv. in legge n. 133 del 2008 e dell’art. 20 della l.r. n. 11 del 2010, in combinato disposto con l’art. 32 della legge n. 183 del 2010, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per avere erroneamente la Corte di appello escluso l’applicazione delle citate disposizioni alla fattispecie in esame in quanto, sull’assunto secondo cui la sentenza che accerta l’insussistenza dei requisiti che consentono il legittimo utilizzo dei contratti di somministrazione abbia natura dichiarativa e non costitutiva, ha affermato che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato sarebbe iniziato prima dell’entrata in vigore delle norme sopra richiamate; 2) la violazione dell’art. 2112 cc e dell’art. 2697 cc, per avere la Corte di appello, in primo luogo, violato l’art. 2112 cc, ritenendo che il semplice passaggio di personale, da un soggetto ad un altro, che è subentrato nell’attività economica da questo svolta, costituisca di per sé trasferimento di azienda e per non avere considerato necessario l’accertamento del tipo di attività svolta, delle concrete modalità di essa nonché dell’omessa verifica dell’effettivo passaggio o meno di beni o strumenti materiali; in secondo luogo, per avere violato l’art. 2697 cc ponendo a carico della S. A. S. sepa l’onere di dimostrare che, in presenza di fatti di per sé non sufficienti a dimostrare l’esistenza della fattispecie di cui all’art. 2112 cc, non vi fosse un trasferimento di azienda; 3) la violazione dell’art. 29 c. 3 del D.lgs 10.9.2003 n. 276 e dell’art. 20 della l.r. n. 11 del 2010, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per non avere i giudici di secondo grado ritenuto che, essendo l’assunzione degli 897 lavoratori avvenuta per rispettare un diritto di precedenza imposto dal legislatore regionale, tale circostanza non avrebbe potuto essere assunta come elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 2112 cc; 4) la falsa applicazione degli artt. 1 e 36 del D.lgs 30.3.2001 n. 165, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., perché, essendo la S. A. S. sepa sottoposta ad un forte ed incisivo potere di direzione, controllo e coordinamento da parte degli enti pubblici consorziati, la Corte di merito non avrebbe potuto applicare l’art. 2112 cc ma la disciplina delle citate disposizioni di cui al D.lgs n. 165/2001 in tema di indisponibilità di costituire rapporti di lavoro con la PA in virtù di provvedimenti giudiziari;
che il primo motivo non è fondato. Invero, è un dato acquisito e pacifico che, nel caso in esame, si verte in ipotesi di genericità della causale dei contratti di somministrazione di lavoro stipulati dal lavoratore con la società di intermediazione. Orbene, la conversione del rapporto in capo a M. spa a far data dall’inizio del rapporto (8.6.2009), con tutte le conseguenze in tema di normativa applicabile circa i divieti di assunzione previsti dalle leggi regionali, come in seguito si vedrà, trova la sua assorbente ratio nella disposizione di cui all’art. 27 Dlgs. n. 276 del 2003, nella sua versione ratione temporis applicabile a seguito della modifica di cui alla legge 24.12.2007 n. 247 e prima di quella di cui alla legge 24.12.2009 n. 191, che testualmente prevede, in ipotesi di somministrazione irregolare, la costituzione di un rapporto di lavoro con l’utilizzatore con effetto dall’inizio della somministrazione (cfr. in termini, per quel che interessa in questa sede, Cass. 15.12.2016 n. 25918 e, in motivazione, Cass. 1.8.2014 n. 17540). E’, pertanto, in virtù di tale disposizione che la Corte di merito ha correttamente individuato la decorrenza del costituito rapporto a tempo indeterminato e non per l’art. 32 legge n. 183/2010, esaminato ai fini di valutare la sollevata eccezione di decadenza dall’impugnazione dei contratti disattesa in entrambi i gradi di merito e della determinazione dell’indennità risarcitoria e, comunque, ritenuto, in modo esatto, non rilevante ai fini del regime degli effetti della pronuncia che dichiara la conversione del contratto di somministrazione irregolare; è opportuno per completezza sottolineare che la norma applicabile al caso concreto, in tema di divieto di assunzioni, è quella di cui all’art. 1 c. 10 della l.r. 29.12.2008 n. 25, perché la decorrenza della costituzione del rapporto a tempo indeterminato è anteriore all’1.7.2009, data dell’entrata in vigore dell’art. 19 del D.l. n. 78/2009 (conv. nella legge n. 102/2009), che ha introdotto l’art. 18 comma 2 bis al D.l. n. 112/2008 (convertito a sua volta nella legge n. 133/2008): norma la cui applicazione non è stata censurata con il presente ricorso per cassazione;
che il secondo ed il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati per essere la gravata pronuncia conforme ai principi di diritto enunciati in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 24803/2015; Cass. n. 24804/2003; Cass. n. 6693/2015) in fattispecie analoghe in fatto a quella in esame e cui si intende dare seguito. In particolare, con le citate decisioni, si è affermato che tra la M. spa e la SAS era avvenuto un trasferimento di azienda, avendo la seconda società adoperato la quasi totalità della forza lavoro in precedenza addetta alla medesima attività e dipendente dalla M. stessa e che non ostava la circostanza che il fenomeno traslativo avesse riguardato soltanto il personale perché la giurisprudenza comunitaria aveva configurato come entità economica organizzata anche il “complesso organizzato di lavoratori subordinati specificamente adibiti all’espletamento di un compito comune”. Tali statuizioni hanno ricevuto un recente avallo sempre dalla giurisprudenza euro-unitaria (da ultimo sent. 11.7.2018 nella causa C- 60/2017) che ha precisato che: a) una entità economica può essere in grado, in determinati settori, di operare senza elementi patrimoniali materiali o immateriali significativi, di modo che la conservazione dell’identità di una unità di questo tipo al termine dell’operazione di cui essa è oggetto non può, per ipotesi, dipendere dalla cessione di tali elementi; b) in determinati settori in cui l’attività si fonda essenzialmente sulla manodopera, un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un’attività comune può corrispondere ad un’entità economica che può conservare la sua identità anche dopo il suo trasferimento qualora il nuovo titolare non si limiti a proseguire l’attività stessa, ma riassuma anche una parte essenziale, in termini di numero e di competenza, del personale specificamente destinato dal predecessore in tali compiti; in siffatta ipotesi il nuovo imprenditore acquisisce infatti l’insieme organizzato di elementi che gli consentirà il proseguimento in forma stabile delle attività o di talune attività dell’impresa cedente (punto 34); c) tale ipotesi di subentro tra imprese rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2001/23 concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, stabilimenti o di parti di stabilimento;
che, nei richiamati precedenti di legittimità, si è precisato inoltre, con riguardo alle altre doglianze di cui al motivo, che non si ravvisava, altresì, alcuna violazione dell’onere della prova perché la Corte di merito, accertata la sussistenza di un trasferimento di una attività economica organizzata, come dedotto dalla lavoratrice, ha ritenuto in sostanza infondati gli elementi contrari prospettati dalle società; si è sottolineato, infine, che non sussisteva la dedotta violazione dell’art. 29 c. 3 del D.lgs. n. 276 del 2003 (che dispone che “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto, non costituisce trasferimento di azienda o di parte di azienda” ed aggiunge che tale norma non costituisce violazione della direttiva n. 2001/23) per due ragioni: a) in primo luogo perché, anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, se vi è un passaggio di una attività economica organizzata tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa, può configurarsi un trasferimento di azienda dovendo, in tal caso, interpretarsi l’art. 29 D.lgs n. 276 del 2003 non in contrasto con la citata direttiva; b) in secondo luogo perché, nella fattispecie in esame (ove la convenzione quadro per l’affidamento dei servizi ausiliari della Regione Siciliana alla SAS è del 14.9.2012) comunque trovava applicazione la legge speciale regionale n. 11 del 2010 (che all’art. 20 ha previsto espressamente il trasferimento del personale delle società dismesse nelle società risultanti alla fine del processo di riordino), cui correttamente è stato attribuito dalla Corte territoriale valore programmatico e non precettivo e che non può interpretarsi nel senso di avere imposto autoritariamente la successione, nei vari appalti, da una società ad un’altra; che anche il quarto motivo non merita accoglimento perché la Corte di merito, con accertamento di fatto congruamente motivato e conforme a diritto, analizzate le disposizioni dello statuto della SAS (ed in specie quelle sui controlli risultati aderenti alle disposizioni che regolano le società per azioni di diritto comune) ha escluso che la stessa fosse assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici e che, in sostanza, costituisse una longa manus della p.a; per il resto la censura, benché avanzata ex art. 360 n. 3 c.p.c., si risolve nella mera riproposizione di una diversa interpretazione e valutazione delle clausole dello statuto senza dedurre, peraltro, alcuna violazione dei canoni ermeneutici; che, alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato;
che, a parere del Collegio, non sussistevano in appello, né sussistono in questa sede, i presupposti per la condanna della ricorrente al risarcimento ai sensi dell’art. 96 c.p.c., anche con riguardo al disposto di cui all’art. 90 della legge reg. Sicilia n. 8/2018, in quanto, avendo l’istituto natura sanzionatola e officiosa, presuppone la mala fede e la colpa grave del soccombente, nel caso di specie non ravvisabili per la particolarità delle questioni trattate le cui problematiche, peraltro, per taluni aspetti, sono state oggetto anche di recente di intervento della Corte di Giustizia Europea;
che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo, con distrazione; nulla va disposto per quelle relative all’altra intimata; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore del controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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