CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 novembre 2021, n. 34651
Tributi – IVA – Indebita detrazione – Operazioni soggettivamente inesistenti – Prova – Impresa individuale di autotrasporti priva di alcun automezzo e di abilitazione alla guida
Rilevato che
La società T. s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 1746/23/2016 depositata il 25 febbraio 2016.
La vicenda trae origine da una verifica nei confronti della ricorrente, esercente attività di trasporto merci su strada, in esito alla quale gli operatori rilevavano che la società avesse contabilizzato fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla ditta individuale “D.G.V.”, della quale, tra altre, la T. si avvaleva per coprire la rete dei trasporti dei quali era incaricata.
Da tale attività di verifica derivava l’avviso di accertamento TF503AB06706/2012, per l’anno 2007, al fine di recuperate a tassazione l’IVA indebitamente detratta.
La contribuente opponeva l’atto impositivo con esito sfavorevole in entrambi i gradi di merito. Ha pertanto impugnato la decisione del giudice regionale deducendo due motivi. Ha anche depositato memoria.
Ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 19 e 54 del d.P.R. n.633 del 1972 in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c.
L’Amministrazione basa la sua pretesa recuperatoria sul presupposto che le operazione fatturate, alla società T., dalla ditta individuale “D.G.V.”, fossero soggettivamente inesistenti e cioè da essa mai eseguite.
Senza che la contribuente potesse vantare la sua buona fede e reclamare l’inconsapevolezza che l’ emittente non avesse realmente reso la prestazione.
La CTR ha affermato che l’obbligo di verifica da parte del cessionario/committente sorge ove sussistano indizi che indicano il sospetto di evasione. Indizi che l’Amministrazione deve dedurre. Ed è ciò che l’Ufficio ha fatto indicando indici significativi, esaustivi dell’onere probatorio a carico dell’Ufficio, riportati in motivazione dal giudice regionale. Indici quali: il fatto che la ditta D.G. non aveva mai presentato dichiarazioni annuali; che aveva come unico cliente la società T.; che non era risultata intestataria di alcun automezzo, né di abilitazione alla guida.
La stessa titolare della ditta, D.G.V., sentita dagli accertatori, aveva, inoltre, dichiarato di non essere in possesso di alcuna documentazione contabile relativa alla ditta di cui risulta titolare, di non essere neanche a conoscenza d’essere titolare di una ditta di trasporti e di aver ricevuto dal T.V. la somma di euro 500/600 per la firme di alcuni “fogli”.
Il T., come è pacifico, era parente della D.G. ed era stato, a sua volta titolare, di una ditta di trasporto merci, poi cessata, della quale si era già avvalso la società T.. Società che, in persona del suo legale rappresentante, T.F., aveva continuato ad aver rapporti con il T., nella non meglio precisata veste di referente/direttore tecnico della ditta fatturante.
Ciò premesso, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, è corretto che la CTR abbia considerato adempiuto l’onere probatorio a carico dell’Amministrazione sulle circostanze sintomatiche di un possibile accordo frodatorio ed abbia, per contro, ritenuto che la contribuente non avesse dimostrato, per escluderlo, d’aver svolto tutte le verifiche possibili, anche sostanziali, mediante l’uso dell’ordinaria diligenza, proporzionata alla lunga attività imprenditoriale, sempre nello stesso settore.
Non era stata, cioè, provata la non conoscibilità da parte del cessionario/committente di un intento evasivo da parte del fatturante.
Dimostrazione invece necessaria per riconoscere il diritto del contribuente alla detrazione IVA, pur in caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
La decisione della CTR appare conforme alla giurisprudenza di questa Corte laddove ha affermato che «In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti [..] incombe sulla stessa l’onere di provare [.] anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto »(Sez. 5 – , n. 15369 del 20/07/2020).
La decisione impugnata risulta, dunque, suffragata dal fatto che la T. avesse intrattenuto un lungo rapporto commerciale con la ditta individuale D.G., ma svoltosi sempre e solo attraverso il T., senza sia stato specificato e documentato il suo ruolo, senza, cioè, che la parte ricorrente risulti aver verificato l’incarico che la titolare della ditta gli avrebbe conferito.
Ed è singolare che la società ricorrente non avesse mai avuto, per anni, rapporti diretti con la D.G. (mai menzionati in atti), pur trattandosi di ditta individuale, la cui natura farebbe piuttosto immaginare un diretto coinvolgimento della titolare nell’attività. Contatti che sarebbero stati naturali anche in ragione della non modesta entità del volume d’affari fatturato dalla sig.ra D.G., nel solo 2007, per oltre 300.000,00 euro.
Peraltro, l’attività intercorsa implicava, presumibilmente, fasi preparatorie e intese circa il “calendario” dell’attività (date, orari, destinazione dei singoli recapiti, disponibilità dei mezzi, conteggi). Fase questa alla quale non si fa alcun riferimento nel ricorso e che si deve ritenere avvenisse con il T., sulla base di una delega, come detto, mai prodotta e quindi di incerta esistenza. La figura della D.G. appare, pertanto, in mancanza di evidenze di segno contrario, come il rifermento nominalistico ad un soggetto, solo formalmente titolare di una ditta individuale, la cui partecipazione al lungo rapporto con la T., risulta inesplorato da parte di chi avrebbe potuto farlo.
La singolare situazione avrebbe dovuto indurre un operatore (se) in buona fede, oltre che a chiarire la posizione del T., a fugare ogni dubbio sulla effettiva operatività della ditta, mediante l’accertamento della disponibilità da parte della stessa di risorse strumentali e personali necessarie a rendere la prestazione.
Il secondo motivo censura che la CTR avrebbe omesso di motivare in merito alla difformità tra l’ammontare delle fatture ricevute dalla ditta D.G.V. e le somme rilevate dai verificatori. L’anomalia sarebbe stata riscontrata anche in anni diversi da quello in verifica ( 2008,2009 e 2010) Il motivo è da ritenere inammissibile dal momento che la parte, in violazione del principio di autosufficienza, non ha corredato il ricorso, inserendo nel suo corpo almeno lo stralcio della parte dell’atto d’appello, in cui aveva dedotto tale motivo di gravame. Né ha inserito lo stralcio del p.v.c. recante il computo delle fatture emesse nel 2007 dalla ditta D.G.. Pertanto, dalla sola lettura del ricorso per cassazione le affermazione della ricorrente sul punto non trovano modo di essere verificate e valutate.
In definitiva il ricorso va rigettato. Segue la condanna alle spese di giudizio oltre a quelle prenotate a debito.
Ricorrono i presupposti per il versamento del c.d. doppio contributo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 5.600,00 oltre a quelle prenotate a debito.
Dà atto che ricorrono i presupposti, ai sensi dell’art.13,comma 1-quater, del d.P.R. n.115 del 2002, per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello fissato per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.