CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 novembre 2021, n. 34724
Rapporto di lavoro – Distacco – Denuncia di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori – Mancata proposizione nel ricorso introduttivo di primo grado – Ricorso in cassazione – Inammissibilità della censura
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Catanzaro ha respinto l’appello di A.C., confermando la pronuncia di primo grado con cui era stata rigettata la domanda del predetto, volta alla declaratoria di nullità o illegittimità della cessione di ramo d’azienda dalla S. s.p.a. al Consorzio I.C.it., con reintegra nel rapporto di lavoro presso la cedente e condanna della stessa al risarcimento del danno.
2. La Corte territoriale ha respinto le censure di illegittimità del distacco temporaneo dell’appellante dalla S. s.p.a. al Consorzio, poi divenuto cessionario di ramo d’azienda, rilevando, in conformità al Tribunale, che nel ricorso introduttivo della lite non era stata formulata alcuna domanda al riguardo e che, comunque, il mancato rispetto dei criteri di scelta dei lavoratori da distaccare era stato denunciato senza indicare alcun elemento di confronto con gli altri lavoratori. Ha considerato generiche le censure di ordine formale sul trasferimento di ramo d’azienda ed ha, comunque, accertato il rispetto della procedura di cui all’art. 47, l. n. 428 del 1990. Ha ritenuto integrati i requisiti normativi di cui all’art. 2112 cod. civ. per la configurabilità della cessione di ramo d’azienda in ragione del passaggio in capo alla cessionaria di un complesso aziendale funzionalmente autonomo, comprensivo di beni e di personale, destinato allo svolgimento della precedente attività di costruzione e posa delle infrastrutture di rete.
3. Avverso tale sentenza A.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. La S. s.p.a. ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria. Il Consorzio I.C.it. in liquidazione non ha svolto difese.
Considerato che
4. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 24 e dell’art. 5, legge n. 223 del 1991, dell’art. 8, comma 3, della legge n. 236 del 1993, nonché omesso esame di fatti e documenti riguardanti l’applicazione della procedura prevista dalle disposizioni suddette, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.
5. Il ricorso è inammissibile sotto diversi profili.
6. Una prima parte del ricorso censura l’illegittimità del distacco temporaneo del lavoratore presso il Consorzio per mancato rispetto dei criteri di scelta, di cui all’art. 5, l. n. 223 del 1991, nella selezione dei lavoratori da distaccare, in mancanza di specifici criteri adottati in sede di accordo sindacale ai sensi dell’art. 47, l. n. 428 del 1990.
7. Tali censure sono inammissibili in quanto non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha ritenuto non proposta, nel ricorso introduttivo di primo grado, una domanda volta alla declaratoria di illegittimità del distacco.
8. La seconda parte delle censure, che concerne la violazione degli obblighi di comunicazione previsti dalla l. n. 223 del 1991 e l’inosservanza dei criteri di scelta ivi indicati, è inammissibile sia per il contenuto del tutto astratto e generico, e sia per difetto di autosufficienza, non essendo trascritti, neanche in parte, né depositati gli atti processuali e i documenti su cui le stesse si fondano.
9. Questa Corte ha più volte precisato, con riferimento alla violazione e falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., che il vizio va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).
10. Si è sottolineato che il ricorso per cassazione, il quale contenga mere enunciazioni di violazioni di legge o di vizi di motivazione, senza consentire, nemmeno attraverso una sua lettura globale, di individuare il collegamento di tali enunciazioni con la sentenza impugnata e le argomentazioni che la sostengono, né quindi di cogliere le ragioni per le quali se ne chieda l’annullamento, non soddisfa i requisiti di contenuto fissati dall’art. 366 n. 4 c.p.c., e pertanto, deve essere dichiarato inammissibile” (Cass. n. 2750/1999 e successive numerose conformi).
1. Nel caso in esame, le critiche difettano del tutto dei requisiti appena descritti, né è dato comprendere l’oggetto della censura svolta ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., quale omesso esame di un fatto decisivo.
12. Per le considerazioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
13. La regolazione delle spese di lite nei confronti di S. s.p.a. segue il criterio di soccombenza. Non si provvede sulle spese nei confronti del Consorzio I.C.it. in liquidazione che non ha svolto difese.
14. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite nei confronti di S. s.p.a. che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Nulla per le spese nei confronti Consorzio I.C.it. in liquidazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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